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Omaggio a Fellini nel centenario della nascita

a cura di Sandro Russo
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Sintesi della Lectio Magistralis tenuta da Alessandro Alfieri -, professore di Storia del Cinema e Analisi del Film – presso la Upter, Università Popolare di Roma, il 21 gennaio 2020.

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Fellini oggi. A 100 anni dalla nascita
Benché sia impossibile condensare nelle due ore di una relazione la personalità complessa e l’opera di un grande maestro del cinema, il compito può essere più agevole se si restringe il campo alla attualità di Fellini.

Proveremo a chiarire come e perché Fellini risulti ancora oggi estremamente attuale, a confronto con altri cineasti (per fare dei nomi: Visconti, Antonioni) la cui opera appare per certi versi più datata.
E in tema di confronti – paralleli – discendenze, identifichiamo un filo rosso che lega Fellini a Rossellini (il regista romagnolo partecipò come sceneggiatore alla realizzazione di Paisà – soprattutto per l’episodio ambientato a Napoli) e Pasolini a Fellini [l’impronta di Pasolini nella scrittura di alcuni episodi de La dolce vita (come nella scena “del miracolo”) è evidente]. Consonanze e anche divergenze, come vedremo a proposito della posizione presa nei confronti della televisione: Rossellini vi collaborò pienamente; per Pasolini era il veleno che snaturava il carattere degli italiani; Fellini passò – come vedremo – da una posizione critica iniziale ad una sporadica, tardiva collaborazione (girò degli spot pubblicitari per la tv).

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Questa trattazione sarà sviluppata in tre punti:
1 – Cosa permane di “felliniano” nella cultura contemporanea;
2 – L’eredità di Fellini nel cinema e nei registi attuali:
3 – I rapporti con i media, soprattutto la televisione.

[4]Un murale dedicato a Fellini nella sua città natale

1 – Fellini ironizzava – ma in qualche modo era compiaciuto – di essere diventato già in vita, un aggettivo: “felliniano”, così riportato dalla Treccani:

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Un modo di raccontare, fatto di sincerità e finzione, caratteristico di tutto il cinema, era in lui espresso al massimo grado. Quello che il suo maestro Rossellini aveva intuito, Fellini fa esplodere: il concetto che il cinema, che pure si nutre di realtà, al tempo stesso “la ricrea”. Di fatto, nella vita di tutti i giorni si applicano le categorie, i modi, i sentimenti dei film.
C’è molto di Proust in Fellini [non a caso anche lo scrittore francese è diventato un aggettivo: “proustiano”, anche se non in vita]; analogamente, c’è senz’altro una componente narcisistica in Fellini. Parla di se stesso, ma il risultato di questa affabulazione diventa messaggio universale. La memoria involontaria ha una capacità generatrice: è capace di ricreare anche quel che non si è mai vissuto.
L’attualità di Fellini ha anche altre sfaccettature.

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La dolce vita
– film pessimistico, cinico e disperato come pochi – nacque nel mondo della classe medio alta e degli intellettuali degli anni ’60, ma quello stesso mondo contribuì a definire e a rendere manifesto (un esempio per tutti: lo stesso termine ‘paparazzo’, che non esisteva prima del film).

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Fellini 8½, film del 1963 co-sceneggiato e diretto da Federico Fellini. Un regista che teme di aver perso l’ispirazione (impersonato da Guido, Marcello Mastroianni, l’alter ego di Fellini), filma tutti i suoi giri a vuoto, gli incontri più o meno importanti, badando nel frattempo a tenere a bada produttore, sceneggiatori e attori che vogliono indicazioni da lui… fino all’epifania finale che gli rivela che proprio quello è il film. Non dissimile per grandi linee dal procedimento di Proust in À la recherche du temps perdu dove lo scrittore – in sette libri e nelle circa tremila e settecento pagine che compongono il romanzo (il più lungo della letteratura mondiale) – annota minuziosamente tutte le difficoltà che lo ostacolano nella elaborazione di una grande opera – gli impedimenti e le cadute, la sua fragilità fisica e debolezza mentale nello scorrere implacabile del tempo… – ed è, questa lunga preparazione, essa stessa il romanzo.
Ma neanche è certo che Fellini abbia letto e approfondito l’opera di Proust; così come – a suo dire, ma era un famoso ‘bugiardo’ – non sapeva troppo della storia del cinema, dell’espressionismo tedesco e dei grandi registi russi; mentre conosceva personalmente Bergman e Kurosawa.

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Amarcord – anche l’espressione dialettale romagnola “a m’arcord” (“io mi ricordo”) è diventato ‘amarcord’, un neologismo della lingua italiana – film del 1973, racconta la Rimini degli inizi anni ’30; viene visto e rivisto dagli spettatori negli anni ’80, poi nel 2000, nel 2020 e rivela una inesausta attualità, con la figura del narratore con la bicicletta (Luigi Rossi, l’avvocato) che con implacabile retorica spiega allo spettatore le caratteristiche della sua gente, e sta lì a ricordare ad ogni snodo narrativo: “Questo è un film!”
Sempre a proposito di questo film l’antifascismo di Fellini è reale, non di facciata: più corrosivo e critico di molti film più impegnati. Attraverso il registro del grottesco sono gli stessi fondamenti del regime ad essere messi alla berlina e demoliti.

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2 – Influenza di Fellini sul cinema contemporaneo
Un po’ in tutto il cinema di Fellini è presente la tendenza a raccontare la storia e la cronaca attraverso la loro trasfigurazione grottesca; per ottenere questo scopo utilizza movimenti di macchina anche per inquadrature brevi. Il piano-sequenza (l’inquadratura lunga senza stacchi di montaggio) non è per Fellini; piuttosto la continuità è mentale, tra la realtà del presente del personaggio, la sua memoria e il sogno.

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L’eredità felliniana in altri registi. Due per tutti: Sorrentino e Scorsese:
Paolo Sorrentino (Napoli, 1970) non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per Fellini, a parte sue improvvide (provocatorie?) dichiarazioni televisive in cui dichiara di non averci niente a che fare… Ma quando vince l’Oscar per La Grande Bellezza (film del 2013) grida al mondo quattro nomi che l’hanno ispirato: “Scorsese, Talking Heads, Maradona e… Fellini!”.
Più che una disamina analitica, per chiarirne la filiazione per temi, inquadrature e senso dell’immagine, può valere questo breve video:
Dell’ispirazione. Fellini e Sorrentino
A cura di Giuseppe G. Stasi. Montaggio di Giancarlo Fontana

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Martin Scorsese (New York, 1942) è una specie di nume tutelare del cinema italiano; da oltreoceano lo segue con attenzione, anche nel settore dei giovani registi, ed è un profondo conoscitore ed estimatore del cinema italiano classico.
Fellini costituisce una delle maggiori influenze per Scorsese, soprattutto per la definizione grottesca di molti personaggi. Sebbene Fellini non abbia mai girato mafia-movies, il modo di Scorsese di presentare i suoi personaggi lo ricorda molto, nell’uso frontale della macchina da presa che ne accentua il carattere grottesco. Un po’ l’effetto selfie che Fellini ha in qualche modo anticipato (basti pensare ai personaggi da lui inquadrati mentre mangiano: delle vere sintesi del carattere).

3 – Televisione
Fellini a suo modo ha una posizione molto critica nei confronti della società dei consumi (in questo senso è evidente la sua vicinanza con Pasolini). L’opera sua forse più corrosiva in questo senso è Ginger e Fred (1986), terz’ultimo film della sua carriera (mancavano ancora Intervista e La voce della luna).
In La dolce vita: soprattutto nell’episodio del miracolo e nella scena dei paparazzi che inseguono la madre ancora inconsapevole della morte dei figli, è rappresentata in tutta la sua crudezza l’invasività della comunicazione scandalistica.
Le tentazioni del dottor Antonio, episodio di Boccaccio ’70 (1962) sono la risposta al perbenismo borghese, dove lo sprezzante moralista viene attratto proprio dal simbolo che più disprezza.
Boccaccio ’70 è un film del 1962 in quattro episodi diretti da Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli e Luchino Visconti. Nel II episodio il dr. Antonio Mazzuolo è un puritano moralista ossessionato dal corpo femminile. La sua vita viene sconvolta da un cartellone pubblicitario su cui campeggia una figura di donna (Anita Ekberg) che reclamizza le qualità del latte… fino ad esserne perseguitato nei sogni e nella vita.
Le tentazioni del dottor Antonio – Bevete più latte (Frammento da YouTube):

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La critica alla società dei consumi comunque non impedì a Fellini di lavorare per la televisione; anche per gli spot di quel Carosello così odiato da Pasolini. Naturalmente a modo suo… in quella maniera sognante, sorniona; con l’intelligenza caustica, bonaria ma feroce che troviamo anche nei film maggiori…

Oh, che bel paesaggio, con Silvia Dionisio e Victor Poletti – Bitter Campari (1984):

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Rigatoni Alta SocietàBarilla (1985)

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La pubblicità per Banca di Roma: Il sogno, con Anna Falchi, Paolo Villaggio e Fernando Rey; 1993

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Sul sito:
Se mi ricordo di Fellini… [12]
Articolo di Sandro Russo sulla morte di Fellini, con il video della famosa scena della Fontana di Trevi (de La dolce vita – 1960) ‘rigirata’ dall’amico Ettore Scola con i veri Fellini e Mastroianni per C’eravamo tanto amati – 1974):

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