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Una canzone per la domenica (76). Sei bellissima… Ti prendo e ti porto via

proposta da Sandro Russo

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Le canzoni della domenica, così come sono proposte dai vari contributori, sono sempre speciali, per un motivo o per un altro. Che siano legate a un ricordo, a un’immagine, a un’emozione o ad un flash estemporaneo.
Questa è legata a un libro (di Niccolò Ammaniti (*), del 1999).
La canzone la conoscevo, ma l’avevo ascoltata distrattamente prima, senza farci troppa attenzione… Ritrovarla nel libro me la fece considerare sotto una nuova luce.

“Sei bellissima” fu il primo storico successo discografico di Loredana Berté, che nel 1975 rivelò al pubblico italiano tutta l’intensità, la grinta, la passione, oltre che la grande vocalità, di un’artista dallo stile ineguagliabile e dal talento indiscutibile. 

Costruita con una progressione “alla Cocciante” (la sua canzone rivelazione: Bella senz’anima è del 1974); o per meglio dire “alla Alain Barrière” (per chi ricorda E più ti amo (Plus je t’entends) che ‘esplose’ in Italia nella primavera 1964. O per dire ancora meglio “alla Jacques Brel”: le sue Ne me quitte pas e La valse a mille temps sono del 1959 [per le (molte) canzoni sue che abbiamo riportato sul sito, digitare Jacques Brel in “Cerca nel Sito” e seguire i link].

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Sei bellissima

Che strano uomo avevo io
Con gli occhi dolci quanto basta
Per farmi dire sempre
Sono ancora tua
E mi mancava il terreno
Quando si addormentava sul mio seno
E lo scaldavo al fuoco umano
Della gelosia
Che strano uomo avevo io
Mi teneva sotto braccio
E se cercavo di essere seria
Per lui ero solo un pagliaccio
A letto mi diceva sempre
Non vali che un po’ più di niente
Io mi vestivo di ricordi
Per affrontare il presente
E ripensavo ai primi tempi
Quando ero innocente
A quando avevo nei capelli
La luce rossa dei coralli
Quando ambiziosa come nessuna
Mi specchiavo nella luna
E lo obbligavo a dirmi sempre

Sei bellissima
Sei bellissima
Accecato d’amore, mi stava a guardare
Sei bellissima
Sei bellissima
Accecato d’amore, mi stava a guardare

Se pesco chi un giorno ha detto
Che il tempo è un gran dottore
Lo lego a un sasso stretto stretto
E poi lo butto in fondo al mare
Sono passati buoni buoni
Un paio d’anni e di stagioni
Ho avuto un sacco di avventure
Niente di particolare
Ma io uscivo a cercarti
Nelle strade fra la gente
Mi sembrava di voltarmi
All’improvviso
E vederti nuovamente
E mi sembra di sentire ancora

Sei bellissima
Sei bellissima
Accecato d’amore
Mi stava a guardare
Sei bellissima
Sei bellissima
Accecato d’amore, mi stava a guardare

Sei bellissima (sei bellissima)
Accecato d’amore, mi stava a guardare

[1]

La canzone Sei bellissima (1975), scritta da Claudio Daiano per il testo e da Gian Pietro Felisatti (ex componente del gruppo musicale beat de I Funamboli) per la musica,  fu arrangiata da Vince Tempera e presentata a un “Disco per l’estate”, dove però venne eliminata, essendo anche sfavorita dalla censura radiotelevisiva, accanitasi sui versi “a letto mi diceva sempre / non vali che un po’ più di niente”. Nel complesso la Rai giudicò il testo “troppo forte”, pertanto Sei bellissima uscì in due versioni: una con i versi incriminati ed un’altra con i versi sostituiti da un innocuo “e poi mi diceva sempre / non vali che un po’ più di niente” (sintesi di notizie dal web).

[2]

Il libro di Niccolo’ Ammaniti venne dopo 24 anni: il tempo giusto per farla entrare nell’immaginario di una generazione.
Per un film è più facile dire che un motivo musicale è “diegetico” (cioè fa parte della storia); per un libro meno. Per chi segue il sito sarà quasi obbligatorio ricordare Almost blue [3], la canzone di Chet Baker – “Una canzone per la domenica (17)” – che entra da protagonista nel libro di Carlo Lucarelli dallo stesso titolo].

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Giusto per entrare un po’ nell’atmosfera del libro, propongo qui di seguito una recensione (ampiamente condivisa) tra il critico e l’innamorato, di Simone Stefanini dell’ottobre 2016 da https://www.dailybest.it/ [4]

Perché “Ti prendo e ti porto via” di Ammaniti ha colpito al cuore un’intera generazione
Il romanzo di formazione più importante degli anni ’90, che usa un linguaggio al quale ancora oggi siamo debitori

“È il 1999 quando Mondadori porta nelle librerie Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti, scrittore romano al suo secondo romanzo. Il suo stile, prima di questa storia, era stato decisamente pulp, provocatorio e sinistro. Quelli della sua generazione (Aldo Nove, Luisa Brancaccio, Massimiliano Governi e tanti altri), ai tempi li chiamavano gioventù cannibale, a causa di un’antologia di racconti curata da Daniele Brolli e uscita nel 1996, tutta a base di sangue e merda, i due punti di riferimento del genere.
Ma che succede quando un cannibale cresce? Scrive il romanzo di formazione più importante di quel periodo, un libro che il New York Times ha definito “una storia picaresca di provincia che sprofonda nel dramma, è un Amarcord, con carattere”.

Facciamo un passo indietro nel tempo: anni ’90, niente social, pochi telefonini, i giovani leggono ancora molto e di romanzi generazionali ce ne sono proprio tanti, da Due di due di Andrea De Carlo a Tutti giù per terra di Giuseppe Culicchia, passando per il Jack Frusciante di Enrico Brizzi. Libri mandati a memoria da una generazione di giovani curiosi e disillusi, che sentono sulla loro pelle il fallimento del modello anni ’80 e l’inizio della crisi, quella che diventerà il peccato originale con cui nasceranno i bambini nei 2010’s.
Ammaniti arriva a capire prima di tanti colleghi ciò che serve per far incollare i lettori alle pagine: un misto di linguaggio colloquiale e sboccato, di brand naming, di trash consapevole, di situazioni assurde trattate con verosimiglianza assoluta, di citazioni di musica pop in mezzo alla tragedia più nera.
Capisce che il nuovo millennio sarà quello della nostalgia canaglia, il sentimento più forte di qualunque altro che coinvolge anche i giovanissimi, che non avendo ricordi propri a cui attingere, sogneranno epoche diverse che non hanno vissuto.
Capisce che per far diventare italiano Stephen King, lo devi trasportare nella provincia, quella dei bar e delle zanzare, quella in cui non c’è niente, tranne il proprio mondo interiore. Lo devi far andare a braccetto con le storie di Vasco Rossi, di Loredana Bertè e di Max Pezzali. Nei posti dove è più facile perdere l’innocenza.

Per scrivere un libro così devi parlare delle vacanze, come fossero quelle dei Ragazzi della Terza C andati a male. Devi parlare del bello del paese come fosse il fidanzato dei sogni delle ragazze di Non è la Rai. Devi parlare dei segreti, delle risate, della solitudine, del bullismo, della scuola che non finisce mai, neppure quando suona la campanella. Ci deve scappare il morto e tutto deve crollare, per mostrare le cose come stanno e in tutto questo, un amore infinito, sconfinato e totale come si può provare solo tra le medie e le superiori.

Pietro è timido e ha pochi soldi in tasca, Gloria Celani invece è ricca, ed è la sua migliore amica, della quale lui è innamorato cotto. Una storia come tante a Ischiano Scalo, immaginario paesino maremmano in cui c’è il mare ma non si vede. Lui è molto timido e viene da una famiglia che è meglio perderla che trovarla. Fortunatamente, viene capito dalla sua professoressa, Flora Palmieri, una donna sola e un po’ strana (dai capelli rosso fuoco – NdA) che si va ad innamorare di un playboy che più tamarro non si può, tale Graziano Biglia. Due storie d’amore immenso e assurdo, la bugia più grande la più vera che ci sia, come direbbe Luca Carboni. Amore mio, che non ho amato mai, non smetterò di amarti mai. Neppure dopo la tragedia, dopo il punto di non ritorno, quello che cambia la vita. (…)”.

La recensione è più lunga di così; continua, ma le cose importanti – di Ammaniti e di quegli anni – si saranno capite.

[5]

Ancora… in diretta dalle pagine del romanzo di Ammaniti (pp. 402-3 di 452, dell’edizione Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 1999):

…Mi specchiavo nella luna e lo obbligavo a dirmi sempre sei bellissimaaaa! sei bellissimaaaa! Ahhhh Ahhhh
STOP

Questa canzone era la verità.
In questa canzone c’era più verità che in tutti i libri e in tutte le stupide poesie che parlano d’amore. E pensare che la cassetta l’aveva trovata in un giornale. I grandi successi della musica italiana. Non sapeva neanche come si chiamava la cantante. Non era un’esperta.
Ma diceva delle grandi verità.
Questa canzone avrebbe dovuto insegnarla agli studenti.
«A memoria» mormorò Flora Palmieri facendosi scivolare una mano sulla faccia.

PLAY.
«Sei bellissimaaaa! Sei bellissimaaaa! Ahh!»
«Ti diceva sei bellissima… Ahhh!» prese a cantare anche lei, ma era come avere le pile scariche.

[6]

Ma certo a rendere così suggestiva questa canzone sarà stato il valore aggiunto della magia che ci ha messo dentro la cantante… Tanto che lo scrittore Aldo Busi, colpito dall’intensità della performance sanremese della Bertè (con Luna, del 1997), le dedica a sorpresa un componimento intitolato semplicemente L’amore, pubblicato sulle pagine del quotidiano La Stampa il 22 febbraio del ’97:

A volte penso / Di essere un sogno / Che qualcuno / Si è dimenticato di fare. / Il sogno nel cassetto / Aperto nel momento sbagliato, / Il dormiveglia di una dalia d’inverno / Che lascia i suoi petali / Alla brina che l’uccide / Grata di conservare intatto / Il suo cuore, il cuore del cuore / Per la primavera alle porte: / Aprile tu, o tu, aprimi tu, o tu / O tu, o tu, o tu… tu? / Che come me pensi a volte / Di essere un sogno / Che qualcuno / Si è dimenticato di fare, / Un’altalena occupata / Che qualcuno / Si è dimenticato di spingere, / Una foto con l’autoscatto / Venuta fuori trasparente / Che non si vede bene, che si vede niente, / Un nastro dimenticato annodato sul letto / Che da solo non sa / Sciogliere questo nodo / Né ricorda più / Come fu / Che tu, o tu, possiedi le dita delle mie mani / Le labbra della mia bocca, / Il cuore che usa me / Per battere in sé, per battere in te, / O tu, o tu, o tu… tu? / A volte penso / Di essere un sogno / Che qualcuno si è dimenticato di fare, / O tu, o tu, o tu… tu? / Ma poi non penso più.

 

Note

(*) – Bibliografia e filmografia complete correlate a Niccolò Ammaniti (classe 1966).
Scritti:
Branchie
(1994), Fango (racconto 1996), Ti prendo e ti porto via (1999), Io non ho paura (2001, Premio Viareggio), Fa un po’ male (fumetto 2002), Come Dio comanda (2006, Premio Strega 2007), Che la festa cominci (2009), Io e te (2010), Il momento è delicato (racconto 2012), Anna (2015).
Film tratti da sue opere:
L’ultimo capodanno di Marco Risi (1998, tratto dal racconto L’ultimo capodanno dell’umanità pubblicato nella raccolta Fango), Branchie di Francesco Ranieri Martinotti (1999), Io non ho paura di Gabriele Salvatores (2003), Come Dio comanda di Gabriele Salvatores (2008), Io e te di Bernardo Bertolucci (2012).

– Un’altra canzone di Loredana Bertè: Mare d’inverno [7], è stata proposta da Franco De Luca (settembre 2019).