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Natale al Nord, quasi come al Sud

di Sandro Vitiello

In risposta allo scritto proposto da Sandro Russo Come lo spieghi ad uno del nord…” [1]


Voi che passate tutto il tempo a mangiare…

Vi aspettavate una risposta da uno che vive al Nord? Non l’avrete perché le feste si santificano a tavola, anche al Nord.
Seguendo la tradizione e con nuove abitudini, frutto di incroci, legami e parentele che ormai hanno mischiato tutto.

Ho passato gran parte della mia vita in Lombardia e del cibo ho fatto anche una ragione professionale….
Il Natale è, ovviamente, uno dei momenti più importanti per ritrovare i piatti della tradizione ed esibire tutto il sapere tramandato da generazioni. E da queste parti ce ne sono… e tante.
Basta sfogliare il libro di Ottorina Perna Bozzi “Vecchia Brianza in cucina” per comprendere la varietà di questo territorio.

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Ricordiamo comunque che lasciati i comuni a nord di Milano prossimi alla metropoli, tutte quelle terre che andavano verso nord erano storicamente luoghi di povertà. Ne parla Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi” e la storia ce lo ricorda. C’era troppa popolazione e la terra non era ricchissima.
Quindi il piatto della tradizione invernale, quando la brina copriva i campi, era la cassoeula: una zuppa di verze nella quali venivano messe a cuocere le parti povere della macellazione del maiale.

Ma a Natale era un’altra cosa.
Per Natale si allevavano apposta i capponi – sempre di manzoniana memoria – che venivano esibiti come trofeo il giorno della festa. Accompagnati dalle salse tipiche e dalla mostarda di senape.
C’era il rito del risotto giallo allo zafferano, simbolo di ricchezza soprattutto per il colore. Preparato con un brodo di carni miste perché si arricchisse dei migliori sapori. Così come non mancavano tortelli, agnolotti e altre paste ripiene.
E poi c’erano (e ci sono) i salumi, sempre presenti come antipasto.

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Salumeria Franchi – Pianello val Tidone

Insieme ai patè, spesso prodotti con le interiora degli animali da cortile, accompagnati dagli immancabili brùsch; i sottaceti.
Questa è storia che tante famiglie conservano e rinnovano.
Ma siccome il melting pot culturale ed etnico è un dato di fatto, le tavole milanesi si riempiono di tutto e di più.
Negli anni settanta, tolta la città di Milano, il pesce era pressoché sconosciuto nell’alimentazione. Oggi è cibo comune.

A casa mia, democraticamente, facciamo Natale lombardo e Santo Stefano ponzese. Non escludendo le zeppole già dalla vigilia.
I meridionali del nord riempiono le loro case soprattutto di parenti. I nordici veraci con gli amici.
I ristoranti lavorano tantissimo fino a qualche giorno precedente il Natale con cene aziendali o di associazioni e dal ventitré dicembre in poi la casa diventa il centro del mondo.

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E’ un’abitudine diffusa quella di organizzare cene in cui i vari commensali portano qualcosa, così da non obbligare nessuno a passare giornate intere ai fornelli. La tavola principale è sempre attrezzata con abbondanza di sedie. Le scorte di cibo sono ovviamente adeguate e il consumo di vini e prodotti dolci aumenta significativamente.
Basti considerare un dato: il vino di un certo valore viene venduto quasi esclusivamente nel periodo natalizio.
Le enoteche realizzano quasi l’ottanta per cento del fatturato nel periodo pre-natalizio o per ragioni legate al Natale.

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E poi tra Milano e dintorni c’è il rito del panettone (ul panetùn).
Se quello industriale, comunque quasi sempre buono, va bene per fare colazione, nei giorni di festa o nelle occasioni d’incontro salta sempre fuori quello artigianale, di pasticceria, che più buono non ce n’è.
Perché me l’hanno consigliato… perché il pasticciere è amico mio… perché l’ho pagato quaranta euro!
Quindi cari amici e conoscenti sappiate che durante le feste non patiamo e che anche al Nord tutte quelle che in altri periodi dell’anno vengono considerate virtù, a Natale vengono messe da parte e, casomai, tirate fuori dopo l’Epifania.

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Adesso vi lascio… pecché aggia mètte a spugna’ ‘u baccalà.
Buone feste a tutti!