Attualità

No chef! La presentazione del libro di Rinaldo Fiore

proposto da Sandro Russo

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Pubblico scelto di estimatori e amici per la presentazione ieri sera, al Palazzo comunale di Marino, del libro di Rinaldo Fiore:, No chef (sottotitolo: Per single e addomesticati. Sono ammessi errori e omissioni).

I lettori di Ponzaracconta conoscono bene Rinaldo e il suo universo di ricordi, che ruota intorno ad un’infanzia mitizzata in un paesino dell’Abruzzo, Castiglione Messer Marino (CH): per tutti i suoi scritti cerca per Autore: Fiore.
Rinaldo è stato mio amico-collega agli inizi della professione (entrambi medici); poi ci siamo persi di vista, ognuno per strade diverse, e ci siamo incontrati per caso (no Facebook!) 45 anni dopo!
Il libro che presenta – No chef! – ha avuto per così dire i suoi natali su Ponzaracconta, essendo stati diversi capitoli pubblicati sul sito, durante le lunga gestazione del volume.

Così Rinaldo, prendendo la parola per primo, ieri sera, ha raccontato del suo paesino, isolato per quattro-sei mesi all’anno dalla neve che arrivava fino a tre metri e mezzo, e del mangiare che era l’attività più vitale e importante.
Non a caso a fianco al tavolo dei relatori è posto uno dei suoi acquerelli: paesaggi ampi, aperti, tendenti all’infinito, dove protagonista è la neve!


Le ricette sono rigorosamente “ricordate” dalla cucina semplice di sua madre; in qualche caso “indirettamente” ricostruite attraverso familiari e amici.
Al suo fianco Ugo Onorati, critico letterario e amico di militanza comune in Apollo Buongustaio.


Onorati cita il filosofo ateo Ludwig Feuerbach che nel 1850 affermò “Siamo quel che mangiamo” e la contestazione che gli fece Gramsci, anche lui da ateo ma ben consapevole che il cibo è soprattutto “cultura”: presso tutti i popoli simbolo di comunione nella gioia, nel dolore, nell’ospitalità”.
Altra citazione, di Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo, che al grido di “guerra alla pastasciutta” propugnava in sua vece una cucina futurista (1932) (insieme all’abolizione della forchetta e del coltello); e contro di lui, Massimo Bontempelli e molti altri intellettuali dell’epoca, clinici e alimentaristi illustri, mobilitati in difesa del piatto nazionale.

Altri commenti dalla seconda presentatrice, Nicolina Cianci, psicologa, amica e quasi compaesana di Rinaldo (il suo paese di origine dista circa 7 km da Castiglione M.M.). Nessuna come lei che ‘professionalmente’ lavora con le emozioni ci poteva parlare della “esattezza affettiva” delle ricette di Rinaldo che non vuole affossare gli chef veri, ma riportare in primo piano le suggestioni legate alla preparazione del cibo, ai gesti semplici e sapienti che abbiamo imparato ad apprezzare nelle mani e nei gesti delle nostre mamme e nonne, la stessa possibilità di poter ricreare quelle ricette, per errori ed approssimazioni, fino a quel preciso sapore-emozione.

Le sagne si mangiano con le mani dent’ lu cutture

Altri aneddoti di Rinaldo sulla genesi de le sagne a lu cutture (leggi qui sul sito) e sul rito della condivisione: un capiente caldaio posto non al centro del tavolo, ma della stanza, dal quale ci si serviva con le mani; della particolarità de lu cazzemarre (leggi qui). 

Fino a che anche il mistero fa capolino nella breve presentazione. Di quando la mamma di Rinaldo “sbagliò” due sole volte nella sua vita, due piatti facili facili, degli gnocchetti al sugo e un pollo, che non erano guasti o avariati all’inizio della cottura, ma portati in tavola risultarono immangiabili perché irrimediabilmente inaciditi. Per quanto abbia chiesto, a fratello, sorella e altri, Rinaldo dice che non si è mai spiegato quegli episodi…

Fine della presentazione, complimenti a Rinaldo e alla sua musa Paola, rito delle dediche con firma dell’amico-autore…
Riprendo in macchina la strada di casa e guidando nella notte mi viene nitido alla mente il pensiero che mi aveva appena sfiorato mentre Rinaldo raccontava degli gnocchetti inaciditi.
E ho ricordato “Dolce come il cioccolato” (Como agua para chocolate) della scrittrice messicana Laura Esquivel (1989) – poi anche film di Alfonso Arau: Come l’acqua per il cioccolato (1992), per la sceneggiatura della stessa Autrice.

Dove la protagonista Tita, nasce prematura su un tavolo da cucina da una madre fredda e autoritaria, tra impasti e cipolle tagliate. Viene cresciuta nella stessa cucina dalla cuoca Nacha; da lei la ragazza impara tutti i segreti della cucina, passione in cui riversa tutti i suoi stati d’animo. Poi viene l’amore e l’assurda proibizione materna (come nella tradizione messicana) di non poter sposare l’uomo amato perché lei, ultima figlia, deve badare alla madre in vecchiaia. L’amato Pedro sposerà invece la primogenita Rosaura, e a Tita è imposto, dall’inflessibile genitrice, di preparare il pranzo di nozze.
Piange Tita mentre impasta e inforna e altrettanti pianti (insieme al vomito) faranno gli invitati subito dopo aver mangiato i suoi manicaretti.
Ricordo il libro (e il film) come un bell’epigono di realismo magico sudamericano, trapuntato di elaborate (e piccanti) ricette messicane. Lontanissime dalla campagna dei Castelli che mi si illuminava sotto i fari… Così funzionano le associazioni e la memoria.



Il titolo allude ad una frase idiomatica spagnola, “como agua para chocolate” che si riferisce ad una persona in preda alla passione, che è “bollente come l’acqua per fare la cioccolata calda in tazza”

 

 

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