Cinema - Filmati

I bambini e le favole (3). Pinocchio. Gianni Rodari e tutti gli altri

di Patrizia Montani

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Dunque, dopo tante peripezie, il burattino diventa bambino e la storia finisce.
Ma non finiscono le pene  del povero Pinocchio che, lasciato nel cassetto per decenni, fu ripescato, letto, glorificato, utilizzato, cinematografato e sezionato come raramente accade a un personaggio letterario.
Mentre ai tempi della sua prima pubblicazione, dice maliziosamente Rodari, gli veniva preferito il libro Cuore perché le maestre ci facevano più bella figura e la critica lo ignorava collocando Collodi tra gli autori minori, il fascismo arruolò Pinocchio per fare propaganda, ritenendolo libro educativo e patriottico (…ma che faccia tosta!).

Le letture, di volta in volta esoteriche, psicoanalitiche, cattoliche, strutturalistiche, contenutistiche o financo reazionarie sono tutte concordi nel sottolineare l’intento educativo dell’opera.

Giorgio Manganelli (2002): Di tutti i libro su Pinocchio, il più terrificante ma anche il più euforico, enigmatico e carico di rivelazioni, più cupo ma anche più ricco di risonanze metaforiche e simboliche

Scrive Gianni Rodari: “Pinocchio, tra le favole, contiene una novità assoluta: il bambino è al centro della storia, questo consente al lettore l’identificazione col personaggio, il distacco da esso e la salutare possibilità di riderne”.

Nell’Italia in cui fu scritto il romanzo, le prediche sulla bontà, l’obbedienza, il risparmio, il rispetto per i genitori e l’autorità costituita erano alla base della educazione contadina piccolo borghese; ai nostri giorni, fa osservare Rodari, non resta nulla di questi precetti, i bambini non li ascoltano più; rimane la parte immaginifica della favola che non invecchia.

Altre voci…
Tra i vecchi libri di casa, trovo un ritaglio di giornale, pensate, Paese sera dell’8 aprile 1972: esce il Pinocchio “televisivo” di Comencini. Bellissimo, tutti concordi.


Le avventure di Pinocchio è uno sceneggiato televisivo tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Collodi, diretto dal regista Luigi Comencini, e trasmesso per la prima volta dalla televisione italiana sul Programma Nazionale nell’aprile 1972, suddiviso in cinque puntate.

Si tratta di una versione del romanzo fedele e libera nello stesso tempo: il regista in persona spiega, nell’intervista, di aver voluto mettere l’accento sul rapporto affettivo padre-figlio; questo, a mio avviso, dà al racconto calore e poesia, che mancano nel romanzo.

Il personaggio di Pinocchio è un bambino vero (e che bambino! …niente effetti speciali per trasformare il burattino in bambino). La rinuncia del regista al moralismo dello scrittore, la descrizione degli adulti non così tanto cattivi e soprattutto la simpatia palpabile per un ragazzo intraprendente, vitale, libero, fanno del film un’opera a sé stante rispetto alla favola.

E’ proprio vero che di Pinocchio si può dire tutto e il contrario di tutto senza neanche contraddirsi.
La sua vicenda umana può essere letta – e questa è la mia ultima lettura -, come la storia, non di un bambino, ma di un adolescente.

Un bambino è un essere giovanissimo che fin dai primi minuti di vita è una persona a tutti gli effetti. Quando Collodi scrisse la fiaba, Freud aveva 7 anni, si poteva ancora dire che un neonato non prova dolore, emozioni, bisogni, come un pezzo di legno.
Invece l’adolescente è proprio come Pinocchio (absit injuria verbis). Assiste confuso e sconcertato alla trasformazione del proprio corpo, non vede l’ora di fuggire da casa, anche solo per qualche ora, agisce con impulsività, spingendosi verso il limite, spesso superandolo a rischio della vita.

A questo punto potremmo dire che “Pinocchio” è un romanzo di formazione, ma ho l’impressione che tra Goethe e Salinger il nostro Collodi, col suo burattino in mano, si troverebbe a disagio.

***

Allegato al Commento di Sandro Russo del 27.10

Forse ha poca attinenza con la favola di Pinocchio – o forse no: è una favola per adulti come altre che hanno costellato la carriera di Totò -, ma è impossibile non mostrare, cogliendo l’occasione di questo excursus di Patrizia su Pinocchio, la caratterizzazione del burattino che fece l’attore napoletano in “Totò a colori”; regia di Steno (1952).

 

YouTube player

Da cui discende quella dell’uscita di scena di Benigni nel sottofinale de “La vita è bella” (1997), preludio al suo film Pinocchio del 2002 (…per non spaventare il bambino mima un burattino che viene trascinato via dai gendarmi, mentre i soldati tedeschi lo portano via per fucilarlo; peccato non aver trovato la clip su YouTube).

[Pinocchio (3) – Fine]

3 Comments

3 Comments

  1. Sandro Russo

    27 Ottobre 2019 at 06:56

    Allegato all’articolo di base un breve filmato con la caratterizzazione del burattino che fece Totò in Totò a colori (1952).
    Da cui discende quella dell’uscita di scena di Benigni nel sottofinale de La vita è bella (1997), preludio al suo film su Pinocchio del 2002.

  2. gianni sarro

    28 Ottobre 2019 at 12:19

    La citazione finale di Totò da parte di Sandro mi piace molto, non tanto per il Principe, quanto perché riprende e allarga l’impostazione dell’articolo di Patrizia (brava, ancora complimenti). Pinocchio è un personaggio dall’immagine picassiana, tant’è sfaccettato e pieno di spigoli, che si presta a più piani di lettura.

  3. Letizia Piredda

    31 Ottobre 2019 at 05:57

    Tra le ipotesi che sono state avanzate, in ambito psicologico, sulla figura di Pinocchio, una tra le più interessanti è quella di Gabriel Levi (*). Levi ipotizza che Pinocchio corrisponde a quella che è stata definita in ambito psicopatologico la personalità “come se”, che presenta le seguenti caratteristiche:
    – difficoltà ad esprimere le emozioni in modo genuino, diretto
    – difficoltà ad attivare un processo di interiorizzazione
    Il fatto che Pinocchio sia di legno rende bene questa rigidità emotiva; è un burattino e quindi può solo copiare gli altri senza riuscire a interiorizzare.
    – disposizione passiva verso l’ambiente e tendenza a modellarsi in funzione delle aspettative che gli altri hanno nei loro confronti
    Pinocchio subisce l’influenza degli altri che cerca di assecondare per essere accettato
    – tendenza a cambiare spesso idea, a seconda della persona con cui ci si identifica al momento
    – alta suggestionabilità, per cui spesso ci si può trovare a compiere azioni riprovevoli sul piano sociale
    Pinocchio è estremamente volubile, non riesce a rispettare le regole e tantomeno ad interiorizzarle: per questo finisce spesso vittima di personaggi senza scrupoli o pochi di buono, come il gatto e la volpe, Lucignolo e Mangiafuoco.
    Allo stesso tempo, di fronte a Geppetto, non può non sentirsi in colpa, vedendolo triste, si difende dicendo bugie, e cerca sinceramente, ma con scarso risultato, di diventare buono.

    (*) Gabriel Levi è professore emerito di Neuropsichiatria Infantile dell’Università “La Sapienza” di Roma

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