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L’abito blu (2)

di Emilio Iodice –
(Traduzione di Silverio Lamonica)

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Per la puntata precedente, leggi qui [1]

In una delle nostre visite, il corpo di un soldato fu inumato per il riposo eterno.
Papà osservava, mentre adagiavano la bara nel suolo consacrato con dignità, rispetto e onore. Sentiva che uno dei suoi veniva seppellito. Prima di andar via, papà mise un’immagine di San Silverio sulla tomba. Era il simbolo d’amore e di omaggio per una persona che aveva dato tutto, per salvare le ultime vestigia della democrazia, in una terra lontana.

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La tomba del Presidente Kennedy

Ci recammo nel luogo dove riposa il Presidente Kennedy; papà era ammutolito. Fissò la fiamma eterna. Camminava sulla tomba di Robert Kennedy.

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Foto e parole di Robert Kennedy

“ Ogni volta che un uomo si batte per un ideale, o agisce per migliorare le condizioni di molti altri, o lotta contro un’ingiustizia, manda un lieve fremito di speranza … questi fremiti formano una corrente capace di spazzar via le muraglie più imponenti dell’oppressione e della resistenza. Quella è la fonte di ogni grandezza in tutte le società e, nel nostro tempo, è la chiave per progredire”.
Lesse le parole scolpite nel granito. Poi mi prese da parte, guardandomi negli occhi. “Non andare mai in politica, figlio mio – mi disse con fermezza – tu sei onesto, coraggioso, nobile e pieno di integrità. Proprio come loro. Ammazzeranno anche te, perché ti batti sempre per fare la cosa giusta”. Mi mise la mano sulla spalla e, coi suoi occhi gonfi di lacrime, aggiunse: “Ricordati, se mai ti dovessi trovare nei guai, l’unica persona al mondo che verrà a salvarti sono io.” Dopo ciò che mi disse, fui sopraffatto dall’emozione.

***

Papà arrivò il giorno prima della visita speciale, fissata per incontrare il mio nuovo capo. Lui e mamma portarono del cibo: formaggio, biscotti, salumi, pane e ogni specie di verdure cotte. Quando Silverio e Lucia venivano da New York, era sempre una festa.

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Foto di gruppo a un ricevimento

La mattina dopo eravamo pronti e ben vestiti; papà indossava l’abito blu che usava solo per i matrimoni e le occasioni speciali. Addosso un orologio d’argento Omega e un elegante ferma-cravatte che gli regalai quando lavoravo per la Continental Can Company.

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Il pulmino Dodge

Guidavamo il pulmino verde e bianco Dodge di papà; sul frontale, in lettere d’oro, c’era inciso “Silvio e Lucia”. Nel retro c’era una rete per aragoste, un gallone di vino e una bottiglia d’acqua. La macchina odorava di pesce.

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Quando raggiungemmo Pennsylvania Avenue, nei pressi dell’edificio Old Executive Office, dissi a papà di svoltare per una strada laterale. Appena ci avvicinammo, si aprì il cancello.

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Procedemmo in macchina sotto un porticato, fiancheggiato da pilastri e salutati dalle guardie. Papà era ammutolito; sentiva che qualcosa di strano stava per accadere. Appena entrammo, ci salutarono molti tra segretari e militari.

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Fummo scortati attraverso un lungo corridoio, fiancheggiato da colonne bianche, bandiere e un busto di George Washington, finché raggiungemmo un’alta porta in mogano, lucidata, dove c’erano due uomini di grossa statura, vestiti di scuro; ciascuno aveva una radio appiccicata all’orecchio. Stavano ritti come sentinelle e annuivano sorridendo nel vedermi. Uno di loro disse qualcosa al microfono, annunciando il nostro arrivo. Papà ed io sedemmo su comode sedie, senza scambiarci parola.
Improvvisamente la porta si aprì e apparve il mio superiore; era alto, di bell’aspetto, i capelli rivelavano una sottile attaccatura bionda, indossava un abito a righe grigie e rosse, con una cravatta bianca e blu. Ci strinse calorosamente la mano.

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Lo studio ovale

Ci accompagnò nel suo studio e ci chiese di sedere su un sofà, di colore beige con linee azzurre cremisi. Nel mezzo c’era un piccolo tavolo in stile coloniale. Ai lati della scrivania e lungo la parete, c’erano delle sedie con la medesima tappezzeria. Ad una estremità dello studio c’era un ritratto di Abramo Lincoln e dall’altro lato, quello del generale Giorgio Washington. La sua scrivania era munita di cassetti avanti e dietro ed era finemente decorata con incisioni in legno.

Ci condusse a fare il giro della stanza, mostrandoci i monumenti che si potevano ammirare dalle finestre. Fu un giorno glorioso e quello studio ovale sembrava l’epicentro della tranquillità e della pace.

Gli chiese: “Silvio, vuoi un caffè?” Papà rispose di si. Cominciò a conversare, parlando della sua vita politica, e notò che Silvio era nato nel 1913, proprio ad un mese di distanza. Parlò di me; sapeva che un padre desiderava sentire qualcosa che riguardava il proprio figlio. Nei quaranta minuti successivi, gli parlò del mio lavoro, dei progetti e quanto fosse felice per ciò che avevo fatto. Chiese a Silvio notizie della sua vita e volle conoscere qualcosa dell’Italia e di Ponza. Papà, si espresse nel suo inglese stentato, con orgoglio e chiarezza. Fu un momento speciale.

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Il Presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford

Prima di congedarci, l’uomo con cui lavoravo diede a papà una cartolina di un ritratto che gli era stato donato, con il suo autografo. Mio padre lo guardò, lo baciò e lo mise in tasca. Ringraziò quest’uomo alto, di bell’aspetto, coi capelli biondi e disse good bye.

Sulla via di casa, papà fermò la macchina prima di entrare in autostrada. Mi guardò e mi resi conto che pesava attentamente le sue parole. “ Non riferire mai a nessuno di questa visita. Nemmeno a tua madre o a tua moglie. Nessuno deve sapere ciò che fai. Devi sempre stare attento. Cercheranno di farti del male. – Disse. Dopo un attimo di esitazione ricominciò a parlare – Ricordati delle tue radici, figlio mio. Non montarti mai la testa. Noi siamo gente semplice e onesta, che viene da un’isola e ne siamo fieri. Nelle tue vene scorre il sangue d’Italia e di Ponza. Non dimenticarlo mai. E se per caso puoi fare qualcosa per il popolo italiano e per quello scoglio solitario in mezzo al Mediterraneo, fallo. Nostro Signore e San Silverio ti proteggano. Dio benedica l’America”, pianse abbracciandomi. Traboccai d’amore per mio padre.

Vent’anni dopo Silverio Iodice riposò in pace. La sua perdita fu uno shock enorme. Da tutto il mondo arrivarono telegrammi e messaggi per rendere omaggio a questo immigrato italiano.

Per vestirlo, mamma preparò l’abito blu. Sentì che in una delle tasche c’era qualcosa. Trovò la foto dell’uomo che incontrò tanti anni prima e per il quale lavoravo. Si rese conto che papà la teneva stretta a sé, per guardarla spesso con orgoglio.
La foto era del Presidente degli Stati Uniti.

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Foto e citazione di Douglas MacArthur

Dovere, onore, patria. Queste tre venerabili parole dettano, in modo reverenziale, ciò che dovresti essere, ciò che puoi essere, ciò che vorrai essere. Sono il tuo punto di partenza per prendere coraggio, quando sembra che il coraggio venga meno; per riguadagnare la fede, quando sembra che ci siano poche cause per cui lottare; per creare speranza, quando si abbandona la speranza.

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Foto e citazione di Michelle Obama

Il successo non consiste in quanti soldi puoi fare, consiste nella differenza che crei nella vita della gente.

 

File .pdf del lavoro originale: The Blue Suit [13]

[L’abito blu (2) – Fine]