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L’anello di diamanti (2)

di Emilio Iodice –
(traduzione di Silverio Lamonica)
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Silverio studiava con discrezione i giocatori. Don Pasquale sedeva a capotavola. Giunse da Ponza agli inizi degli anni ’20. Era alto, taciturno, scuro di carnagione, magro, forte e rude. Il volto molto abbronzato, era segnato da anni di esposizione al sole. Era ben vestito, indossava un costoso Borsalino nero, una cravatta scura e una camicia grigia. Era un Boss. Radunava bande di uomini per i lavori di escavazione, ricevendo una provvigione dalla società e un “regalo” dai lavoratori. Si prendeva cura dei suoi uomini e dei loro familiari.

Pasquale era rispettato e temuto; aveva legami con la malavita. Faceva parte della sua bravura, assicurarsi che nessuno stringesse rapporti al di fuori della cerchia e se nella Little Ponza accadeva qualcosa, doveva restare lì. La polizia e i politici locali erano suoi amici. Correvano voci che percepisse una percentuale sui “premi assicurativi” che i negozianti pagavano ai capi gangster per la “protezione”. Era ricco, ma non ostentava la sua ricchezza, di cui molto ritornò alla sua isola, dove costruì case per i genitori, i fratelli e le sorelle. Pasquale era scapolo e aveva un solo vizio: il poker.

Al tavolo c’erano pure Michele, Giovanni, Alessandro e Salvatore. Avevano il poker nelle vene.
Erano persone semplici che venivano dalle colline e dal mare di Ponza. Durante il gioco parlavano della pesca e della campagna isolana; quanto avevano guadagnato l’estate precedente; delle ragazze americane con cui uscivano e dell’ultima lettera arrivata dal paese di origine. Solo Don Pasquale sedeva in silenzio, concentrato sulla sua mano e su quelle degli avversari. Il gioco andò avanti per ore. Dalle nove di sera, furono disputate sette partite. Quando vennero distribuite le carte dell’ultima mano, si sentì bussare alla porta. Blackie andò a vedere chi fosse. Guardò attraverso lo spioncino. Un giovane dal volto ben rasato, con baffi ben curati e con un vestito nuovo addosso, era in piedi là fuori. Blackie lo conosceva. Era un napoletano, sbarcato di recente; si chiamava Gennaro. Era ben noto che facesse parte della Camorra napoletana e stava organizzando una cosca a Little Ponza. La mafia locale siciliana non avrebbe tollerato la concorrenza. Qualora avesse continuato ad insistere, sarebbe stato un uomo segnato.

“Voglio solo bere qualcosa” – disse Gennaro strascicando le parole; aveva bevuto. Blackie, attraverso lo spioncino, riusciva a percepire l’odore di whiskey nel suo respiro; lo lasciò entrare. Gennaro si recò al bar, mentre Blackie lo scrutava con attenzione vedendolo barcollare. “Scotch con ghiaccio” – ordinò. Ognuno osservava il napoletano. Silverio lo fissò per un attimo, poi fece del suo meglio per evitare ogni contatto visivo. Sapeva che poteva sorgere qualche problema.

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Gennaro il camorrista

Il vestito di Gennaro era un tweed di lana inglese grigio scuro, con un fiore nel risvolto ed un fazzoletto di seta. Indossava una camicia bianca inamidata, con una cravatta color guscio d’uovo. La bombetta copriva una profonda cicatrice che gli attraversava la fronte. Il volto era butterato e rossastro. Una pistola nascosta gli rigonfiava il petto e alla gamba sinistra vi era legato uno stiletto. Il napoletano sembrava che interpretasse la parte di un criminale di successo, un damerino truffatore. Voleva essere temuto e rispettato. Credeva di essere furbo e di poter ingannare chiunque, specie qualche ingenuo pescatore che veniva da uno scoglio in mezzo al mare.

Gennaro vagava con lo sguardo sul tavolo da poker, tenendo stretto il suo drink. Il bicchiere col ghiaccio tintinnava come un campanello, mentre si reggeva ad una sedia con gli occhi iniettati di sangue, stando in piedi nel lato opposto della stanza, di fronte a Don Pasquale. Silverio osservava il modo con cui il napoletano esaminava coloro che erano seduti al tavolo. Egli fissava Don Pasquale, i cui occhi non si muovevano dalle sue carte. Appena terminò l’ultima mano del gioco ed il denaro fu rimosso, Gennaro cominciò a parlare.

“Amici miei, stasera sono venuto qui con una grande opportunità per qualche fortunato. Possiedo un gioiello fantastico di grande valore. Vi hanno lavorato i migliori artisti napoletani e, con cura, è stato portato di contrabbando fuori dall’Italia. Garantisco che è di altissima qualità e vale molte volte di più del suo prezzo. Disse con parole incomprensibili e poco coerenti.
“Viene dalle miniere più profonde del Sud Africa ed è uno dei gioielli più rari al mondo” – dichiarò a voce alta volgendo lo sguardo verso Don Pasquale, il quale, a sua volta, alzò gli occhi per osservare Gennaro. Pasquale aveva vinto la gran parte del denaro in quel gioco. Gli altri giocatori se ne stavano seduti, in silenzio, ad osservare le dinamiche umane, mentre il napoletano si rivolgeva al Boss dell’edilizia di Ponza.

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Don Pasquale

Don Pasquale si alzò dal tavolo e si sedette su una sedia con le spalle al muro, le braccia conserte e le gambe divaricate. Ascoltava come il Napoletano si componeva e parlava.

Signore, voi sembrate una persona che apprezza la bellezza – disse a Pasquale – lo vedo dai vostri abiti e dal bel Borsalino”. Le parole scivolavano fuori dalla bocca di Gennaro, come quelle di un abile oratore che pronuncia il discorso. “Permettetemi di mostrarvi il regalo meraviglioso che ho per voi e che renderà molto felice qualcuna che voi amate. Avete la mia parola circa la sua qualità ed il valore”. Ribadì. Gennaro era molto brillo, ma ciò non gli impediva di proseguire nella sua azione. Ogni parola che pronunciava, aveva un’inflessione drammatica ad effetto. Nel bar tutti trattenevano il respiro.

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Cofanetto con anello di diamanti

Silverio lo guardava mentre frugava nella tasca del cappotto. Tirò fuori una scatoletta rotonda nera, coperta da un panno sontuoso e foderata con pelle marrone di vitello. Appena Gennaro l’aprì, una luce abbagliante attraversò il salone ed emerse un gioiello raggiante che illuminò la stanza. Era magnifico. L’anello brillava come un astro fiammeggiante, emanando un calore celestiale. I diamanti erano così luminosi da sembrare in fiamme.

Il napoletano levò in alto l’anello, in modo che lo vedessero tutti e lo avvicinò a Don Pasquale. “Dieci carati dei più preziosi diamanti e brillanti azzurri, trovati esclusivamente vicino Pretoria, montati su un anello d’oro di 18 carati. Ho ragione di credere che fosse il dono di nozze di un’imperatrice europea . Un gioiello di questa qualità – insistette – costerebbe oltre 5.000 dollari ”. Rivolgendosi a Don Pasquale, disse: “Per voi, mio buon amico, lo offro a soli 1000 dollari. E’ meno di ciò che pagai. Lo vendo perché sono disperato – e con le lacrime agli occhi, aggiunse – la mia sorellina a Napoli ha bisogno di un’operazione urgente e devo mandarle dei soldi, altrimenti morirà”. Gennaro era uno splendido attore.

Porse l’anello a Don Pasquale che lo estrasse dalla scatola e lo infilò al mignolo, girandolo e rigirandolo con cura, per catturare la sua luminosità. Era bellissimo. “500 dollari” – disse Don Pasquale, restituendo con freddezza l’anello a Gennaro. “E’ impossibile, 800” – replicò il napoletano a Don Pasquale. “600 dollari e non un penny di più” – rispose il ponzese. Don Pasquale si alzò dalla sedia come se si accingesse ad andar via. “Ok, hai vinto” – disse Gennaro, porgendo l’anello a Don Pasquale, il quale lo guardò di nuovo prima di metterlo in tasca.

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Banconote da 100 dollari 

Tirò fuori il portafoglio pieno di soldi ed offrì sei banconote da cento dollari a Gennaro. Il napoletano guardò il denaro, sorrise e lo mise al sicuro.

Barcollando verso la porta, si rivolse a Don Pasquale e disse: “Che sciocco! Pensi davvero che ti avrei venduto un anello di diamanti veri per quel prezzo? Tu e la tua gente siete proprio una manica di cafoni. Quell’anello è vetro puro”, dichiarò ridacchiando, con lo stupore di un ubriaco.

Il ponzese lo fissò senza emozionarsi. “Bene, bene. Mi hai davvero fatto fesso. Ma dovresti sapere una cosa – affermò Don Pasquale con un largo sorriso – prova a mettere in circolazione quelle banconote e vedrai cosa accadrà”. Il napoletano sbiancò, guardando che ognuno rideva nella sala. Aprì la porta e, inciampando, uscì nell’aria fredda della notte buia. Da allora non si rifece più vivo.

[6]

                      Ricorda la cattiveria, la disonestà e l’inganno che manifesti verso gli altri… non stupirti quando ti si ritorcono contro.                                                                                    (Sarah Moores)

[7]

L’inganno può darci qualcosa che vogliamo nell’immediato, ma alla fine lo porterà via.
(Rachel Hawtorne)

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Si può ingannare tutti per un po’ e qualcuno per sempre, ma non si può ingannare tutti per sempre.
(Abramo Lincoln)

Il racconto completo nell’originale inglese in file .pdfThe diamond ring. By Emilio Iodice [9]

[L’anello di diamanti (2) – Fine]