Attualità

Lettera di una giovane di Ponza

di Martina Carannante  

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Ponzaracconta è sempre più una piazza ricca di dibattito, in questi giorni ce ne sono stati molti, ma quello che più mi ha fatto riflettere è stato quello tra Luisa e Vincenzo, tra i commenti di un suo passato articolo (leggi qui).
Riparto volutamente da alcune cose scritte recentemente da Vincenzo, non perché, come si può pensare, ce l’abbia sempre con lui, ma perché effettivamente focalizza dei punti da analizzare con cura e non solo sommariamente.
Viene chiesto a Luisa se sia delusa o meno di come vadano le cose sull’amato scoglio… non posso rispondere per bocca di Luisa, ma io sì – solo delusa – e così ho pensato di formulare la mia riflessione e renderla pubblica.

Sicuramente la situazione isolana non è idilliaca, certo, ma neanche tragica come spesso e volentieri viene dipinta o si spinge a pensare. Certo, una persona che vive a Ponza due mesi l’anno ha una visione diversa da chi la vive 365 giorni o da chi ci viene in vacanza; nessuna delle tre visioni, però, può essere giusta o assoluta.
Così come quella di chi ancora vorrebbe Ponza come 60 anni fa, o di chi la vorrebbe maggiormente futuristica… Sono idee, opinioni personali, rispettabili, ma sempre una visione parziale.

Sull’amato scoglio tantissime sarebbero le cose da fare – se ne potrebbero trovare almeno cinque per ogni lettera dell’alfabeto -, ma spesso si pensa talmente tanto in grande che si cerca “comme spusta’ ’na parracina”, ma non come ripulire il proprio pezzo di spiaggia in concessione o lo spazio pubblico davanti casa; così che la polvere si mette sotto il tappeto – ma sempre là rimane! – e neanche la parracina alla fine viene spostata perché è troppo complicato farlo.

È facilissimo dire: – Eh io ho tremila idee, uno per ogni abitante dell’isola! Io so come deve essere Ponza… io so come fare…
Il difficile, però, diventa la materialità, ciò che passa tra il dire ed il fare, insomma. È lecito pensare, esprimersi e prospettare un qualcosa, un futuro diverso, però una cosa rimane l’ideologia, l’altra è la possibilità.


Tommaso Campanella (1568 – 1639), il grande filosofo che descrisse la sua idea di città nell’opera “La Città del Sole”, ha puntualizzato come per lui dovesse essere il luogo di vita ideale, ameno… un’opera filosofica fantastica, ma completamente utopica ed irrealizzabile.
Perché parlo di questo? Per far capire ai cari lettori che le idee non sempre corrispondono con la realtà, non sempre quello che si dice è effettivamente la verità così come non tutto quello che ci viene raccontato o proposto corrisponde all’effettività ed al vero.

Prendiamo un tema a caso: la cosiddetta “tutela del residente ponzese” di cui Vincenzo parla ad ogni inizio settembre: “Il ponzese che vive sull’isola anche in inverno deve essere tutelato!”.
Giustissimo… ma cosa vuol dire?
Deve essere tutelato il Ponzese o deve lui stesso tutelare l’isola? Ma poi da chi si pretende questo? Nella mia “Città del Sole” deve essere il cittadino a tutelarsi e auto-tutelare il territorio, deve rispettare se stesso, il suo vicino e l’isola stessa. Deve alzarsi tutti i giorni per lavorare e produrre e nei periodi di magra pensare a come poter migliorare.
Il ‘mio’ cittadino ideale dovrebbe lottare tutti i giorni per proteggere se stesso ed il suo territorio, i beni materiali ed immateriali; per non far rimanere tutta questa idea un’utopia, divento io il mio cittadino ideale e cerco nel mio, nel possibile di far diventare quella utopia realizzabile.

Per il resto, forse sarò tacciata di essere saccente, non vedo altro che chiacchiere o lettere a caso scritte per creare scalpore, aspettative a vuoto, per parlare, ma poi di concreto – che poi è quello che interessa a tutti – non c’è quasi nulla.

Il pifferaio magico della famosa fiaba, lo ricordate?! Pure da queste parti ce n’è uno, il piffero lo suona benissimo, però poi è da vedere effettivamente quanti topini ha dietro.

2 Comments

2 Comments

  1. vincenzo

    29 Settembre 2019 at 09:45

    Martina io quando scrivo non lo faccio – questo da anni – contro qualcuno, lo faccio essenzialmente per riflettere e far riflettere.
    Improvvisamente tu scopri che la crisi della nostra isola è colpa del nostro individualismo. Hai ragione questo è un aspetto! Questo aspetto negativo l’hanno individuato tutti; è un po’ quello che dice Franco De Luca per giustificare anche “lo sfregio di Frontone”.
    Ma noi in passato di volta in volta, pur consapevoli del male che affligge i nostri “cuori” abbiamo criticato i Sindaci: Balzano, Porzio, Vigorelli e per tre legislazioni Ferraiuolo. Perché lo abbiamo fatto? Questi figli (tranne lo svizzero) avevano tutti il vizietto genetico-culturale (un peccato originale che condanna i ponzesi fin dalla nascita). Per cui: perché li abbiamo criticati? Perché: questi Primi Cittadini hanno accettato – per ambizione o interesse personale o politico – la delega parziale che i loro concittadini consegnavano loro eleggendoli: “Fai quello che sai e puoi fare ma non mettere le mani nel mio piatto”. Anzi per vincere le elezioni questi eroi della demagogia, hanno promesso ad ogni cittadino che non solo non avrebbero messo le mani nel loro piatto ma quel piatto sarebbe diventato più abbondante.
    Cosa succede quindi? Che nel corso degli anni la politica alimenta il “vizio culturale”.
    “Il cane si morde la coda”: bisogna che si trovi qualcuno che abbia la capacità, la voglia e la forza di rompere questo circolo vizioso. Chi può farlo?

  2. Silveria Aroma

    29 Settembre 2019 at 15:18

    “Chi può farlo?” è una domanda lecita, e – al termine di un’estate che ci ha forse visto toccare il più basso livello qualitativo di tutti i tempi – direi quasi necessaria.
    Individualismo o no, trovo che pochi affrontino la questione senza incolpare altri, usare toni sgraziati a avere – pronto in tasca – uno slogan risolutivo. Abbondano le bocche guarnite di parole intense per l’amato scoglio (e giù: cuore, amore, casa, capanna e un cuore di panna). Troppo spesso, però, dimentichiamo che l’amore (anche quello per la propria Terra) è vuoto se disgiunto dal rispetto: deve rispettare sé stesso, il suo vicino e l’isola stessa.
    Alle parole di Martina voglio accostare quelle del poeta dell’ecologia profonda, Gary Snyder: la natura non è un posto da visitare. È casa nostra.
    Perché, perché così troppo spesso, ci dimentichiamo che l’isola è casa nostra?
    Prima di chiedersi “chi” non dovremmo – forse – chiederci “perché”?
    A che serve individuare all’interno di una comunità un membro capace di guidare, come un pastore buono ma severo, le persone? Neanche il più forte, il più giusto potrebbe guidare una comunità che non risponde con vivida partecipazione lasciando da parte invidia e vecchie ruggini. Non dovremmo essere prima noi, ciascuno di noi, a mostrare passione per questo scoglio in mezzo al mare partendo dal più elementare riguardo? Potremmo, magari, pensare a una crescita più consapevole e un po’ meno arruffata che non trascuri una comunicazione aperta, chiara e onesta, senza toni esacerbati e slogan penetranti ma vuoti, facendo sì che la mano destra sappia cosa fa la sinistra sempre, mettendo al centro l’idea di comunità operosa (di operosità ne vedo tanta, specie in chi proclama poco) e ponendo in essere qualcosa che – finalmente! – ci distanzi dalla brutta china che abbiamo preso nel tempo.
    Forse chi si è affacciato sull’indotto turistico negli ultimi dieci anni o poco più non sa che quest’isola è stata traversata da un flusso di persone di ben altra fatta. Ma erano altri tempi; non si parlava al cellulare urlando in viva voce, i telefonini non rientravano nel corredo di un tavolo apparecchiato e non andavano spostati per posare i piatti, i bambini non erano incantati da uno schermo senza ricevere attenzione (e educazione) dagli adulti. La passione per il mare era autentica e si cercava un’interpretazione personale della bellezza, senza volere, a tutti i costi, rientrare nel gruppo più folto e figo. La nostra società è cambiata profondamente ma non giurerei che sia cambiata in meglio. No, non sono una nostalgica. Semplicemente trovo che la buona educazione, come i rifiuti, non andrebbe mai abbandonata.
    Nei tanti sacchetti di plastica colorata in cui si raccoglie il residuo della digestione canina che trovo sparsi per strada, nei vasi, accanto ai cestini dei rifiuti, talvolta cerco una chiave interpretativa di questa nostra società. Due gli elementi deducibili al volo.
    A metà agosto, giorno più giorno meno, l’area dei cassonetti di Santa Maria è stata liberata dai rifiuti ingombranti. Qualche giorno dopo, un bel televisore panciuto, vecchio modello, giaceva per terra. Sono arrivate a tenergli compagnia, mensole di vario genere e diverse nei colori. È comparsa una bella cucina smaltata di bianco (hai visto mai uno volesse un caffè mentre guarda la TV?!). Non hanno tardato ad arrivare i materassi (così stiamo più comodi) e infine è piovuto – sul tutto – un bel divano verde speranza (speranza di scoprire che l’amore è rispetto o non è, altro che amato scoglio!)
    Torno da dove sono partita e, ancora, insisto: perché?

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