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Diversità di opinione sul nome dell’arcipelago: Isole Ponziane o Isole Pontine?

di Pier Giacomo Sottoriva

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“Sabato 14 settembre, alle 18, appuntamento presso la libreria Al Brigantino di Corso Pisacane per “Incontri in libreria” (leggi qui [1]): “Nel segno di Eea. Isole Pontine o Ponziane?. I ponzesi raccontati da Silverio Lamonica, storico dell’isola, e Silverio Mazzella, autore e editore di molti volumi ispirati all’isola; con la partecipazione del giornalista e scrittore Pier Giacomo Sottoriva”.
In relazione a questo incontro – possiamo immaginare – riceviamo in redazione da Pier Giacomo Sottoriva (e pubblichiamo) il seguente articolo.

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Cari Amici di “Ponza racconta”, vi seguo e, sia pure con ritardo, intervengo nella polemichetta sulla denominazione da dare all’arcipelago di Ponza e Ventotene per chiarire il mio pensiero.

In sintesi: credo che non vi sia ragione per alimentare un disaccordo che non esiste. Entrambi i nomi “ponziano” o “pontino” hanno pari ragioni di essere nei termini che provo a spiegare. Premetto che scrivo con spirito acritico, senza alcun desiderio di fare polemica e solo per contribuire con le mie idee ad un piccolo dibattito che non riguarda né la storia dell’arcipelago, né le identità che lo hanno qualificato dopo il ripopolamento settecentesco ad opera dei Borbone, che delle isole erano privati proprietari.

E poiché le mie idee sono frutto di un ragionamento che attiene alla evoluzione della toponomastica locale, continuerò a chiamarle come ho fin qui fatto su libri, guide, filmati, articoli e su tutto quello che su Ponza e Ventotene vado scrivendo da oltre 60 anni.

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Parto da lontano, Fui invitato a Ponza a presentare uno dei libri di Ernesto Prudente. L’appuntamento era di sera, sotto “Mamozio”. Furono piazzate delle sedie quasi a bordo banchina per chi doveva parlare e altre a ridosso del muro di corso Pisacane. Non ricordo esattamente chi cominciò a parlare, era un amico ponzese, e capii subito che ero finito in un vespaio senza aspettarmelo. La persona che mi introdusse mi indicò, infatti, come una sorta di eretico della toponomastica, perché osavo parlare delle isole con l’aggettivo pontino e non con quello ponziano. E così, quella sera, mi trovai a dover fare il difensore di me stesso, più che l’ospite invitato. Ernesto, che era il mio anfitrione, si trovò ad essere, a sua volta, chiamato in causa con un imbarazzo che gli si sentiva dalle parole. Era stato anche lui colto di sorpresa da quel tema che metteva sotto accusa me che dovevo essere l’ospite d’onore, chiamato a presentare proprio uno dei suoi bei libri. Smorzai la polemica e cercai di ricondurla sul piano della battuta scherzosa, ma ho poi ritrovato quella polemica in altri tempi e con altre modalità. E questa è la ragione di questo mio scritto.

E allora: perché chiamo le isole con l’aggettivo Pontine e non con l’aggettivo Ponziane? In due sole parole: perché ponziano finisce per monopolizzare un arcipelago che comprende anche un’altra isola importante, anzi oggi internazionalmente più nota: intendo, ovviamente, Ventotene, resa ben conosciuta dal Manifesto per un’Europa libera e unita che da circa 80 anni viene nominato sul palcoscenico europeo.

La prima volta che usai il nuovo aggettivo “pontino” fu quando l’Ept di Latina dedicò alle isole un opuscolo chiamato, appunto, Le isole pontine. Erano gli anni Settanta del Novecento. Poi proseguii dando lo stesso nome ad uno dei volumi dei Documentari che l’Istituto Geografico De Agostini di Novara dedicò ai luoghi più belli d’Italia. Infine, lo ripetei in una guida che lo stesso Istituto Geografico mi commissionò insieme a quelle di Capri e delle isole Flegree negli anni Ottanta. A quel tempo nessuno obiettò alcunché.

Do atto che quel nome non lo proposi io, ma mi venne spontaneo, il che significa che esso già circolava. Io mi sono limitato a riproporlo nei numerosi successivi opuscoli e manifesti che lo stesso Ept produsse quando fui chiamato a dirigerlo. Io non esitai a ripetere lo stesso nome, anche per non creare confusione su un mercato tanto delicato come quello turistico, dove un nome può imporsi o può essere negato. Isole pontine non fu negato da nessuno per decenni ed anzi divenne un brand turistico.

Poi, improvvisamente, sorse la materia del contendere. allora io chiesi all’autorità che controllava l’operato dell’Ept, vale a dire l’Assessorato regionale al turismo, di indirizzare una richiesta di chiarimenti direttamente ai due comuni interessati; come desideravano che si chiamassero le loro isole: ponziane o pontine? Parlo di oltre venti anni fa, forse trenta. Rispose solo il sindaco di Ventotene, che trasmise una delibera di giunta, dicendosi contrario a continuare nell’uso dell’aggettivo ponziano, che oscurava Ventotene e l’assorbiva e ribadiva che era giusto chiamarle pontine. Ponza non ha mai risposto, o la sua lettera non è mai pervenuta all’ente che all’epoca curava la promozione del suo nome e della sua immagine in molti modi diversi.

Questa era solo l’ultima azione svolta per discutere di toponomastica isolana, anche se la Comunità delle isole è stata battezzata con l’aggettivo “ponziana”.

Ora, vi prego di seguire il mio banale ragionamento per spiegare perché oggi sono convinto che è giusto proseguire con isole pontine.
E’ necessario premettere che la toponomastica non è una scienza fissa e stabile, neppure dal punto di vista filologico, perché gli etimi dei nomi delle località a volte si arguiscono facilmente, altre volte sono del tutto oscuri o tali da generare quanto meno equivoci. Un antico collega in giornalismo, ormai scomparso, Raffaele Castrichino, ha provato molte volte, con grande diligenza ed anche aggressività, a dare dignità di ètimo ad alcuni nomi di località nostrane: Scauri, Minturno, Formia, Gaeta, Itri, ecc. A volte è stato convincente, altre volte è dovuto ricorrere a spiegazioni che lasciano il tempo che trovano. Lui si schierò con l’aggettivo ponziane, e mi riservò delle lezioni di stile, che io apprezzai ma che non mi convinsero. Ma nulla nuoce alla nobiltà del suo intento di ricercatore, neppure qualche scivolone. Io fui un suo bersaglio preferito, a proposito di pontine e ponziane, ma non me ne sono mai avuto a male. Ognuno ha diritto alle proprie idee, e se le idee riscuotono consensi, vuol dire che funzionano.

Isole pontine è ormai conosciuto dagli operatori del turismo, dai giornalisti ed anche dagli storici non affetti da pignoleria campanilistica. Porto come prova di quanto affermo un estratto di un sostanzioso volume illustrato che si chiama “Italy”, e che illustra i luoghi più pregiati del turismo italiano. Tra questi luoghi non potevano mancare le nostre isole. L’articolo è pubblicato sotto la firma del giornalista Michael Wewshaw, ed è del giugno 2004. il titolo è Pontine islands, a world away in six shades of blue, ossia: le isole pontine, un mondo in sei toni di azzurro. Che è un bel titolo.

Poi, ripeto che la toponomastica non è un timbro perenne. Spesso è capitato di vedere un nome mutare nel corso degli anni, dei decenni, dei secoli, sia perché l’impone l’uso comune, sia perché l’impone la contingenza storica. Nella provincia di Latina, si potrebbero citare le decine di nomi di località che sono stati cambiati con la bonifica delle paludi; e ricordare i nuovi toponimi introdotti con la costruzione dei borghi. L’esempio più semplice è Littoria, il nome del capoluogo, che si è chiamata così dal 1932 al 1945, quando lo Stato, attraverso la Deputazione Provinciale, le mutò nome per ragioni di rifiuto politico. Ma ricordo anche Formia che si chiamò per alcuni secoli e fino al 1861 Mola di Gaeta e Castellone. E ricordo Monte San Biagio, che era Monticelli. ed Esperia che era Roccaguglielma, e Piperno che divenne Priverno, nome peraltro prossimo al classico ed originario Privernum.

Non si può dimenticare che Minturnae divenne Traetto (ad trajectum) dopo le invasioni barbariche che costrinsero la città a spostarsi in collina ripristinando l’antico nome di Minturnae, italianizzato in Minturno.

Il comune di SS Cosma e Damiano ha acquisito il suo attuale nome modificando quello di Casali che aveva quando era ancora aggregato a Castelforte; la catena subappenninica che oggi chiamiamo dei monti Lepini, Ausoni e Aurunci, fino agli anni venti del Novecento ebbe la denominazione comune di Monti Volsci. E, per venire a tempi più recenti, alla fine degli anni cinquanta Campo Morto di Aprilia divenne Campoverde. Per restare alle isole, Ventotene si chiamò Pandataria, Bentilem, e in molti altri nomi che sono anche varianti fonetiche; Ponza vanta l’antichissimo, mitico , e abbandonato nome di Eèa, mentre le isole minori si chiamano oggi in modo foneticamente diverso da quello di un tempo (Palmarola/Palmaria; Zannone/Sennone).

Nessuno scandalo, quindi, se si cambia un nome, a meno che a quel nome non si voglia attribuire una forza di supremazia campanilistica che oggi non vale neppure la pena di menzionare.

Ed in questo finisce per darmi, sia pure involontariamente, ragione l’amico Paolo Iannuccelli che, inserendosi in questa educata polemichetta, ha sostenuto, in definitiva, che chiamare le isole col nome di pontine anziché ponziane, sarebbe come “se volessimo chiamare Milano col nome di Mediolanum o Bologna come Bononia, o Priverno come Piperno o Campoverde come Campomorto o i Monti Lepini, Ausoni, Aurunci come Monti Volsci”. A parte quest’ultimo esempio che non calza, perché quando si chiamano i singoli settori, va bene distinguerli col nuovo nome; ma quando li si chiama tutti insieme, mi chiedo come altro si possa chiamarli se non Monti Volsci.

Dicevo, a parte quest’ultimo caso, ha ragione lui nel dire che nessuno si sognerebbe di chiamare Priverno col vecchio nome di Oiperno. Ma la foga della sua polemica (rispettosissima) finisce per portarlo a dire involontariamente che ho ragione io, perché se un nome nuovo si impone ad uno più antico, è difficile che quello antico possa sopraffare quello nuovo. E così Paolo mi fornisce un ulteriore argomento, deludendo il mio ego un po’ ignorante. Il mio ego credeva di essere l’autore dell’aggettivo pontino, applicato alle isole, mentre Paolo mi ricorda che l’aggettivo pontine riferito alle isole fu usato per la prima volta nel 1928 (ma non dice dove) e poi in occasione della inaugurazione della miniera di bentonite della Samip nel 1935. Ma ne fa carico al fascismo, che voleva “pontinizzare” un po’ tutta l’area. Ma il termine pontino non è fascista. E’ latino, e viene sì’ da Suessa Pometia (pometinus), ma quest’ultima viene, a sua volta, da pontus, che significa mare o distesa di acqua come le paludi, perché le paludi pontine sembravano un mare; ed anche perché furono mare fino a ventimila anni fa. E forse torneranno ad esserlo se i climatologi hanno ragione: essi preconizzano che le tre aree costiere pontine – la ex palude, la piana di Fondi-Monte San Biagio e quella di Sessa-Garigliano diverranno entro la fine del secolo altrettanti golfi per l’invasione delle acque marine che si sollevano ogni anno.

Iannuccelli ha ragione anche quando ammette che io non mi sognerei mai di chiamare “ponziani” i “ponzesi”, così come non mi sognerei mai di chiamare “ponziani” i “ventotenesi”. e non chiamerei mai napolani i napoletani, né ivreani gli abitanti di ivrea che si chiamano invece eporediesi. E, comunque, i nomi sono “fatti“, sia nel senso che sono realtà, sia nel senso che vengono fatti, ossia creati, attraverso l’uso comune. Iannuccelli argomenta che “queste isole, posizionate di fronte al meraviglioso golfo di Gaeta, non hanno niente in comune con il termine pontino o agro pontino o paludi pontine”. Ma, a parte che le isole non sono posizionate davanti al Golfo di Gaeta ma di fronte all’arco marittimo Terracina-Circeo, esse appartengono, quindi, geograficamente, all’Agro pontino (basta guardare una mappa nautica e misurare le miglia marine dalla costa), nulla viene portato a sostegno della vecchia denominazione (ponziano-a), se non la tradizione antica; ma altrettanto nulla viene portato come dimostrativo contro la denominazione pontine, che io mi limito a basare sulla constatazione dell’uso comune che di quel nome si fa da diverse decine di anni, in ragione della loro posizione geografica.

In altri termini, la mia tesi è che la lingua evolve ed anche la toponomastica. Se così non fosse, l’Italia dovremmo chiamarla Enotria o Esperia o Ausonia; la Sicilia, Trinacria; il Lazio, Etruria; la cittadina di Esperia, Roccaguglielma; Monte San Biagio, Monticelli; e che ne direste se andassimo a “passare le acque” ad Anticoli di Campagna anziché nella celebre Fiuggi; o se la bella cittadina di Borgorose (Rieti) la chiamassimo Borgocollefegato, come si chiamava fino ad alcuni decenni fa? Il vocabolario, anche toponomastico, evolve con gli anni. Certo, le nostalgie non vanno represse, ma solo comprese. E mettiamoci anche il fatto che il termine pontino, legato come è a una bonifica che fa parte della storia del Novecento, è quasi dappertutto già noto, e consente di localizzare immediatamente anche le isole che si chiamano con quel nome.

Oltre tutto, mentre io azzardo – con tutta l’umiltà possibile – una tesi – discutibile, ma dignitosa – che vede la parola pon-ziano come avente radice comune con pon-tus, ossia mare – neppure una argomentazione scientifica di provenienza radicale o una spiegazione pratica viene opposta a questa mia asserita prevalenza dell’uso comune. Che altro dire? So di dispiacere a Paolo Iannuccelli e ad altri, ma mi auguro che tutti abbiano spirito per accettare la mia posizione e rispettarla.

Io, forse sbagliando, seguo i tempi che viviamo. Sono i tempi che chiamano le ex isole Lipari col nome di isole Eolie (che è anche molto bello), e le ex ponziane col nome di pontine; così come, ormai, è divenuto comune chiamare anche l’estremo lembo sud della provincia di Latina (la zona aurunca) col nuovo deprecato ma ormai usato da tutti aggettivo geografico-toponomastico di pontino.

Con il che io intendo definitivamente chiusa – per quanto mi riguarda – questa simpatica, ma ormai scontata discussione, riconoscendo il diritto a chi lo voglia di chiamare le isole di Ponza, Palmarola, Zannone e Gavi col nome di isole Ponziane, per sottolinearne la valenza anche storica.

Pier Giacomo Sottoriva

21 settembre 2019