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Ponza e l’ultimo sfregio

Ponza e l’ultimo sfregio
di Elisa Benzoni

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Ponza è parte di me. Qui ho conosciuto mio marito e senza Ponza i miei figli non esisterebbero. Qui ho passato le mie estati dai 10 anni in poi con tutta la mia numerosa famiglia, e poi da più grande con gli amici. Ho un debito di riconoscenza con lei. Per questo scrivere è così difficile, per questo ho rimandato per anni. Ma non si può rimandare per sempre…

Cari ponzesi a voi qualcosa è sfuggita di mano.
Ponza da anni è solo il porto borbonico e il mare. Il resto è tutto da rifare. Sporcizia e incuria ovunque.
Ma il mare reggeva. Il mare di Ponza e le sue baie sono bellissimi. Non ce ne è per nessuno!
Poi però venne il 2019. E un’altra ferita, temo non sanabile. La barriera di massi nella bellissima cala del Frontone che andrebbe a collegare la spiaggia e i suoi scogli.
Peccato che era troppo alta, peccato che le rocce non erano quelle tipiche ponzesi, peccato che era nella posizione sbagliata, peccato che è ad oggi estremamente pericolosa da percorrere…
Peccato.

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I problemi erano relativi a uno sperone di roccia sul camminamento accidentale e certamente pericoloso e poco agibile, che portava agli scogli. Ora, buttare giù lo sperone di roccia, prima che cadesse su passaggio e persone, è stato considerato probabilmente, a livello ambientale, di alto impatto. Meno comprensibile come non sia considerato di alto impatto ambientale la barriera attuale che ha stravolto baia e mare. Uno sfregio, uno scempio. Queste sono le parole.
La paternità dello sfregio è attribuibile alla Regione Lazio. E’ suo lo stanziamento di 1 milione e 300 mila euro di fondi per ridurre il rischio idrogeologico, il come e il risultato sono però discutibili.
Si poteva prendere in considerazione la costruzione di un pontile in legno, magari da far costruire e manutenere annualmente agli artigiani locali. No. Una barriera frangiflutti con pietre dolomitiche, un’opera pesante da ogni punto di vista. Financo un pontile in cemento sarebbe stato un intervento più leggero, di impatto minore, e anche di più facile rimozione. E la scelta della Regione Lazio appare senza senso, mancante di attenzione al risultato finale. Il tutto, beninteso, nel sostanziale silenzio generale.

E allora ti viene in mente che non c’è ritorno, non c’è redenzione, e anche l’agricoltura che è rinata ultimamente, semina e raccoglie su un terreno che è pieno di sporcizia e di cose che non ci dovrebbero essere. Per non parlare degli odori. E penso alle Eolie e al profumo di fiori che ti accompagna costantemente. Qui si passa dalla spazzatura alla fogna, ed è quasi considerato normale. Basta guardarsi intorno basta uscire dalla cornice disegnata da Winspeare, e a volte non è neanche necessario.

Scomparsa la natura incontaminata e selvaggia degli anni Sessanta, che rendeva la bellezza del luogo autentica, violenta, indistruttibile, e che pertanto costituiva l’essenza di questo magnifico mare; si è costruita una cornice di disservizi, o, meglio, di servizi assai modesti, figli di un’indolenza, prima caratteristica dell’animo ponzese, che se da una parte ha “protetto” l’isola da una massiccia speculazione edilizia – attività che ha confezionato, per fortuna, solo pochi piccoli mostri – dall’altra ha dirottato l’economia verso solo uno sfruttamento intensivo dell’unica risorsa disponibile: il mare. Senza una strategia o un piano anche solo per capire quale fosse il tipo di turismo su cui puntare.

E oggi ogni ponzese – e anche noi che un pochino ponzesi lo siamo per l’amore che qui ci porta sempre – pensa con sufficienza altera, e anche un po’ snob, a Ventotene. Ma forse lì c’è una cosa che la salverà: la coscienza di sé. L’identità. Materia che qui scarseggia.
Non ho ricette al di là di questo. Solo decidete chi volete essere!