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Amelia Earhart. La passione per il volo e il coraggio nel sostenerla (2)

di Emilio Iodice
(traduzione di Silverio Lamonica)

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Dopo un breve periodo nel college, Earhart partì per unirsi ai genitori in California. Nel 1920, all’età di 23 anni, Amelia e suo padre assistettero ad uno spettacolo aereo a Long Beach, California. All’epoca l’aviazione furoreggiava. I piloti da combattimento che avevano perfezionato la loro abilità ed audacia durante la prima guerra mondiale, si esibivano in acrobazie in tutto il paese, mettendo in risalto i loro rotoli cilindrici nel cerchio della morte… l’intera faccenda era follemente pericolosa. I motori dei velivoli venivano meno alla minima avvisaglia, le eliche smettevano di girare per motivi inesplicabili. Poiché le piste di decollo regolamentari appartenevano al futuro, atterrare in un campo che dall’aereo sembrava piatto, ma che in effetti era costellato di buche e avvallamenti, avrebbe potuto causare la morte. Nel 1920, quaranta piloti furono assunti dal Governo per il servizio postale aereo, a partire dal 1921 tutti, tranne nove, trovarono la morte. Amelia fu imperterrita. Il rischio inerente al volo faceva parte della magia. Suo padre pagò per lei dieci minuti di introduzione al volo e cinque minuti per il giro nel cielo del sud della California, seppe di aver trovato la sua passione.
Nel momento in cui ho raggiunto due o trecento piedi dal suolo – disse – sapevo di dover volare”.

Amelia Earhart alla guida di un velivolo

Amelia era determinata. La voglia di volare era parte di lei. Per abbandonarsi al suo nuovo desiderio, aveva bisogno di denaro. La giovane si dedicò a tutti i tipi di lavoro: da stenografa, a camionista, a fotografa. Riuscì a mettere da parte circa 1000 dollari. Era una somma enorme. Il 3 gennaio 1921 fece la sua prima lezione.

Azionando le pale dell’aereo c.a 1920

Per raggiungere il campo di aviazione a Long Beach, effettuava una lunga corsa in autobus e poi percorreva a piedi molte miglia. Arrivò con suo padre ed incontrò un’aviatrice pioniera. “ Voglio volare. Vuoi insegnarmi?” Così cominciò.

Suo primo istruttore di volo fu una donna, Anita “Neta” Snook, non era bella. Neta era burbera, odorava di olio di motori ed era un po’ strana: vivere e respirare… questa era la nuova mania, chiamata volo. Amelia si presentò alla prima lezione con un equipaggiamento da cavallerizza. I jodhpurs, ossia la giacca di pelle e gli stivali sarebbero stati alla base del suo nuovo stile.

“L’impegno al volo di Earhart le richiese di accettare il frequente duro lavoro e le condizioni rudimentali che accompagnavano l’addestramento iniziale dell’aviazione. Scelse una giacca di pelle, ben consapevole che gli altri aviatori l’avrebbero potuta giudicare. Dormì indossandola per tre notti, per farla apparire consumata. Per completare la trasformazione del suo aspetto, si accorciò anche la chioma secondo lo stile delle altre aviatrici. Sei mesi dopo, Earhart acquistò un biplano Kinner Airster, giallo acceso; lo chiamò “Canarino”, perché era giallo. Il 22 ottobre 1922, Earhart volò con l’Airster ad un’altitudine di 14.000 piedi (m. 4.300) stabilendo un record mondiale per donne piloti. Il 15 maggio 1923 Earhart divenne la 16^ donna degli Stati Uniti a conseguire la licenza di pilota dalla Federazione Aeronautica Internazionale ( F. A. I. )

La prima licenza di pilota di Amelia Earharts, conseguita il 16. 05.1923 

Nuovi inizi
Per Amelia Earhart, gli anni ’20 furono un periodo di euforia, lavoro duro, sacrifici, soddisfazioni, delusioni, rischi, dolori, realizzazioni, notorietà e crescita. In quegli anni le finanze della famiglia si ridussero. I suoi genitori divorziarono. I suoi problemi di sinusite peggiorarono. Fu sottoposta ad un’operazione. Dopo il ricovero, fu fermamente decisa a guadagnare quanto più poteva.

All’età di 24 anni, Amelia aveva un aeroplano per conto suo ed una serie di lavori strani per sostenere le sue abitudini. Lavorò presso la compagnia telefonica, poi guidò un camion per il trasporto della ghiaia. Iniziò a fare fotografie, come attività collaterale, in lei crebbe l’interesse nel fotografare i bidoni della spazzatura. Scrisse: – Non riesco a definire tutti gli umori di cui un bidone della spazzatura sia capace.
Nonostante i suoi sforzi, subì una battuta d’arresto finanziaria dopo l’altra. Amelia fu costretta a vendere il suo aeroplano, Il Canarino. Fu un colpo al cuore, ma era giunto il momento di cambiare rotta.

Riproduzione de “Il Canarino”

Si recò nella costa orientale degli USA, studiò al MIT (Istituto di Tecnologia del Massachussets – NdT) e all’Università della Columbia, ma interruppe gli studi perché sua madre non poteva più aiutarla. I problemi si accumularono. Nel 1925, nel Massachussets, Amelia lavorò come insegnante ed operatrice sociale per assistere gli altri. Tuttavia la passione per il volo riprese di nuovo. Mise da parte un po’ di soldi in modo che potesse guadagnare volando.

Earhart si unì al Capitolo della Società Aeronautica Americana di Boston, di cui più tardi fu eletta vicepresidente. Lavorò per lo sviluppo dell’aviazione locale. Earhart aiutò a finanziare la costruzione del primo aeroporto a Quincy, Massachussets e, il 3 settembre 1927, fu la prima persona a volare da quell’aeroporto.

Amelia rappresentò la Kinner Airplane & Motor Corp nell’area di Boston. Era un’azienda pioniera nella creazione di motori aeronautici. Ciò l’aiutò a capire i meccanismi complessi dei motori aerei e gli elementi essenziali per pilotare un velivolo.

Amelia scrisse articoli sui giornali in merito al volo e divenne molto nota nei circoli regionali dell’aviazione. Fu in quel periodo che la Earhart gettò le basi per promuovere se stessa e le donne come aviatrici.

Il volo trans-Atlantico 

Charles Lindberg

Nel 1927 Charles Lindberg “elettrizzò” il mondo, volando non stop da New York a Parigi. L’anno dopo l’interesse crebbe a causa di una donna che volava attraversando l’Atlantico. Poche donne esperte pilota desideravano farlo per il pericolo che vi era connesso. Ad Amelia Earhart fu chiesto di assumere quel ruolo. Sorvolare l’Atlantico era non solo sorprendentemente pericoloso, ma era anche costoso. I piloti avevano bisogno di meccanici, strutture, sostenitori, sponsor e promotori.

“Amy Phipps Guest, un’ereditiera di mezza età ‘che andava a ruota libera’, figlia di Henry Phipps Jr, socio in affari di Andrew Carnegie, valeva letteralmente miliardi. Sognava un’avventura e non vide alcun motivo di non dover essere la prima donna a volare attraverso l’Atlantico. Noleggiò un aereo, che all’epoca era considerato d’èlite, da Donald Woodward, erede della “fortuna in gelatina”, assunse un paio di piloti, ma poi cedette alle pressioni della famiglia che l’intera impresa era semplicemente pericolosa. Attraverso le sue aderenze, Guest contattò il rinomato pubblicista George Putman e lo imbarcò nell’impresa come uno dei coordinatori del progetto.

Prepararono una lista di donne che avevano esperienza nel volo e che potevano essere delle passeggere sul volo oltre Atlantico. Aviatrici come Neta Snook non avevano la grazia e l’aspetto femminile, tali da poter innescare una campagna pubblicitaria, catturando il pubblico.
La reputazione di Amelia, quale stella emergente dell’aviazione, con più di 500 ore di volo al suo attivo ed incidenti non gravi, le diede la precedenza. Così come – e parimenti importante – la sua anima temeraria da maschiaccio, era celata da una dolce parlantina, signorile all’apparenza. Sfoggiava una testa scompigliata di riccioli biondi (sebbene la sua capigliatura fosse ben contenuta, il suo aspetto di aviatrice elegante, in lotta con le intemperie, richiedeva che si arricciasse i capelli ogni giorno) insieme ad una spolverata di lentiggini e ad un amichevole sorriso a 32 denti. Più importante – forse criticabile – era il suo fisico, comune per quei tempi, era fatta come una falda: alta, col petto piatto, una canna sottile. Indossava i pantaloni – niente da dire, ma lo faceva per nascondere le sue caviglie grasse – suo unico difetto fisico.

Amelia Earhart, prima del suo volo trans-atlantico, giugno 1928

Amelia era comprensibilmente apprensiva; quel volo era una grande scommessa; le possibilità di successo erano scarse; le probabilità di farcela non erano a suo favore. Numerosi piloti tentarono di seguire la stessa rotta di Lindberg. Fallirono tutti; per la maggior parte il tentativo finì in tragedia. Nel 1928 ci furono già tre tentativi; in tutti e tre i piloti trovarono la morte.

Amelia valutò i rischi e i benefici. In caso di successo, Earhart avrebbe marcato la differenza per l’aviazione e per le donne in particolare. Era questo il suo obiettivo. “Lei ne convenne, perché aveva la passione per il volo, ed essendo la prima donna – anche lei non avrebbe avuto controlli – era comunque fantastico”.

A causa sua l’impresa, grazie alla campagna di Putnam e Guest e il pericolo connesso, ebbe una diffusa copertura mediatica. L’Atlantico era una trappola mortale per gli aviatori e sarebbe potuto esserlo anche per le prime viaggiatrici in aereo.

George Putnam e Amelia Earhart

Amelia Earhart fu subito scelta come versione femminile di Charles Lindberg
Putnam, Guest ed altri aiutarono finanziariamente il volo. Earhart fu d’accordo a volare come passeggera, scattando foto, assistendo i piloti e tenere un registro che sarebbe diventato eventualmente un libro. Prima della partenza, preparò delle lettere per ciascuno dei suoi cari, che avrebbero dovuto aprire qualora lei fosse morta.
Il 17 giugno 1928 l’idrovolante che trasportava Amelia Earhart, un pilota e un co-pilota, partì da Trepassey, Newfoundland, in Canada.
“Fu sistemata dietro agli amici (tra serbatoi di combustibile mortale)… il pilota Wilmer ‘Bill’ Stultz e il co-pilota Louis ‘Slim’ Gordon.
Amelia sopportò il disagio delle 20 ore e 40 minuti di volo da Trepassey Harbour, Newfoundland (Labrador, Canada – NdT) a Burry Port, Galles (G.B.) registrando le sue memorie con scarsa o nessuna luce.
Incontrarono tempeste, venti letali, pioggia gelida e violente correnti aeree. Per un po’ furono dispersi in mare. La radio s’era spenta. Non erano più in grado di comunicare.

Il carburante dell’aereo diminuì pericolosamente. Con riluttanza, gettarono via i serbatoi ed altri oggetti pesanti per alleggerire il velivolo. Furono presi dal panico quando l’aereo consumò le ultime gocce di carburante. Stavano per schiantarsi. Di punto in bianco, con soli pochi minuti di benzina residua, videro una barca da pesca e finalmente la riva. Sembrò come un miracolo.

Ammararono al largo della costa del Galles meridionale, dopo 20 ore e 40 minuti dal decollo. Il team era esausto, felice, euforico e ancora vivo. Ce l’hanno fatta.
Ci vollero delle ore prima che toccassero terra e la civiltà. Quando lo fecero, erano in migliaia ad aspettarli, per dare loro un regale benvenuto.

Amelia minimizzò il suo ruolo. “ Shultz ha fatto tutto il volo, come doveva. Io ero solo un bagaglio, come un sacco di patate. – ed aggiunse – Forse un giorno ci proverò da sola”.

Earhart descrisse la sua avventura attraverso l’Atlantico in “20 ore e 40 minuti”.
Il libro, in sostanza, era il suo diario giornaliero del viaggio in aereo, descritto ora per ora e diventò subito un best seller. Le osservazioni di Amelia rivelano molto in merito alla sua tenacia, praticità, fermezza e senso di stupore.

Amelia Earhart, 14 giugno 1928

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[Amelia Earhart (2)Continua]
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