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A me cale andar per cale…

di Pasquale Scarpati

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Era il tempo in cui la vacanza in una località si protraeva per 15 giorni ininterrotti se non per un mese. Durante quel periodo il “furastiero” assaporava appieno i profumi dei luoghi, andava alla ricerca di ogni singolo anfratto, intratteneva rapporti con le persone del luogo. Si aveva tempo per adocchiare, per approcciare, per corteggiare e lasciarsi corteggiare.
– Come ti chiami? Da dove vieni? Di che segno sei?
– Non è il mio segno, però il mio ascendente è quello del tuo segno (anche se non era vero).
Giù qualche battuta “scema” e lei che ride e sta al gioco.
– Ci sta!? – Qualche “impiccione”.
– Me la presenti?
– Dopo.
Ma nello stesso tempo si pensava: – Tu sei scemo che te la presento!

Nascevano amori che, per lo più, duravano lo spazio di quella vacanza. Ne sono testimoni anche i testi di molte canzoni di quel periodo che parlavano di amori estivi e amori oramai svaniti a settembre.

Settembre, poi, era il mese della malinconia.
Da una parte perché si rimaneva nel ricordo dell’estate passata tra canti e balli sulle spiagge o nelle balere, dall’altra perché i luoghi di villeggiatura assumevano l’aspetto invernale o quasi. Con i loro silenzi nell’aria che, all’improvviso e stranamente, sembrava scivolare fresca e frizzantina sulla pelle.
Così, all’improvviso, tra la fine del mese di agosto ed il primo di settembre si creava uno spartiacque tra l’estate non ancora finita e l’autunno incipiente.
Gli amici raccontavano “le avventure” estive come se fosse passata un’eternità. La scuola iniziava il primo di ottobre. Ma per molti bisognava affrontare lo spauracchio dell’esame di riparazione che era semplice se si era stati rimandati in una sola disciplina ma diventava sempre più difficile se queste erano di più ma fino ad un massimo di quattro.
Poi molto dipendeva dalla “consistenza delle discipline”. Spesso a qualche disciplina “più importante” si accompagnava qualcuna “ secondaria” come in una sorta di contrappeso.
Nel silenzio soffuso non si poteva non ricordare episodi. T’arricuorde… – si diceva…

[1]

Era il tempo in cui tutta l’isola era fruibile sia per terra che, e soprattutto, per mare. La fruizione delle coste, delle calette, delle grotte, degli anfratti ci sembrava… naturale. Andiamo di qua o andiamo di là. Si aveva una vasta scelta. Si va verso la Parata o allo Spaccapurpo. Si arriva ai lontanissimi faraglioni di Lucia Rosa o addirittura alle Piscine o alle Felci (come se si dovesse andare a Formia).
O… a Palmarola: semisconosciuta!
– Mamma mia! Il giro del mondo!
Bisogna attrezzarsi. Non solo verificare se la barca è tutta a posto: motore, remi, serbatoio con la benzina, ancora, corde, ‘ggliema soprattutto ed altro ma bisogna provvedere anche per le provviste: acqua innanzitutto e poi il commestibile.
– Meglio pizza o panini?
– Che ci mettiamo in mezzo ai panini o alle fette di pane o al culurcio?
– Meglio il salame o la mortadella? Il formaggio si scioglie!
– Dint’u culurcio, ci faccio il buco e ci metto ’na pacca ’i pummadòre cu’ ’n’alice salata, o pure senza niente: tanto la lavo nel mare, così è già condita di sale. Poi la mollica che ho tolto la schiaccio sopra e la utilizzo come tappo.
– Ma no, purtamm’ coccosa d’a casa.

Il giorno seguente: pizza, panini, frittata semplice e con le patate, cattò’i patane (gâteau) e anche la… pasta stufata. Verdure di stagione: melanzane arrosto e a fungetiell’. Poteva mancare ’a parmiggiana? E i pummadore?” Ed infine ’u fiasch’i vin’ d’a cantina d’a nonna’” e ’na buttigliella c’u ppoche d’uoglie per condire o per alleviare qualche “pizzico” di eventuale medusa birichina.
– Uaglio’! …ma chi s’a mangia tutta ’sta rrobba.
– E ’a frutta? – Ecco spuntare un bel cocomero che troneggia in una bacinella piena di ghiaccio.
– E cca ce vo’ ’u bastemient’ ’i Sigarètt’!
Mo’ pigliamm’ ’u paràncule pe’ ’mbarca’!

[2]

Il mare piatto facilita l’operazione di imbarco a Giancos. Motore da cinque cavalli che per fortuna non fa le bizze e si avvia allegramente: ronza come un calabrone.
Prima tappa Grotte Azzurre.
– Attenzione allo spuntone di roccia! Avasci’a capa!
– Che bel fresco! Acqua limpida e mani “azzurre”.
– Passamm dint’a ’rotta chiù petta?
– No, iamm’ a Fruntone.

Primo bagno.
– Se sta mettenn’ ’u maestraliell’ frisch, iamm’ chiu’ a ripare.
Ci avviamo verso le grotte di Pilato. Altra tappa d’obbligo.
– Attient’ ’ncopp’u bord’ se sciuliéa!
Poi, via! Verso ’u Bagn’ Viecchie. Iniziamo a pranzare. Si mescola tutto.

– Vuo’ ’u panine o ’a pizza?
– Mitt’ cca!
– Te magn’ pur’a pasta e ’u cattò?
– Mitt’ cca’!
– E ’a parmiggiana mica adda rimane’!
– Mitt’ cca’!

[3]

Una nuotata e un boccone.
– Cumm se sent’ che ’u sol’ ’ncoccia ’ncopp’i spall’, accussì ce vuttamm ’nd’a ’ll’acqua.
Si mangia sulla battigia cu’ i piedi dint’a’ll’acqua.
Si arraffa tutto quello che passa davanti alle mani. Sono unte: una lavata veloce. Sabbia non ce n’è e l’acqua è tersa. Sollevo qualche ciottolo ben levigato e ’nu rufule mi dice: ciao, ciao, lasciandosi cadere. Oggi non lo cerco, lui non m’interessa! Ho ben altro a cui pensare! Agguanto o’ culurcio, lo schiaccio: pomodori e olio che colano di lato. Leccarsi le dita, che delizia!
– Parìmm’ tant’ purcheciéll’!
’A famm è ’na brutta bestia!
– ridiamo di gusto.
L’archetto è la scusa per poter ficcare la testa nell’acqua per passarci sotto. Che frescura! Ma stando con la testa nell’acqua, che si fa? Due patelle, belle grosse. Due e poi due e poi altre due e altre ancora. Quelli a riva si sono attaccati al cocomero, bello rosso. Invitante e fresco. È zuccherino, sodo e granuloso al punto giusto. Dolce come un gelato. Arrivano anche le patelle. Cocomero e patelle! E chi si muove più!
– U’ gir’ ’i’ll’isola po’ aspetta’: n’ata vota!

[4]

L’astro infuocato scema i suoi raggi. Raccogliamo tutto, ma proprio tutto. Quel poco di pane avanzato lo buttiamo ai pesci che immediatamente arrivano, salgono in superficie, pizzicano e se ne vanno. Soddisfatti li vediamo dileguarsi. Anche loro hanno avuto la loro parte!
Non c’è plastica..!
È ora di ritornare ’mbriachi ’i sole e ’i mare.

Noi ci dirigiamo ai Conti da nonna Tummetella.
Prima ci fermiamo da zia Marietta a Giancos. Vuole offrirci qualcosa ma non accettiamo e poi da zia Sabettina a Santa Maria che sta con l’eterna macchina da cucire in funzione.
Si alza e, vedendoci rossi e affaticati, senza dirci niente, ci offre ’na limunata fresca. Saliamo ai Conti comm’ tant’ tuotene stracquati: borze e spaselle.
Prendiamo le sedie e ci godiamo l’aria frizzante ’ncoppa ’a curteglia, raccontando e ridendo, ridendo e raccontando.
Qualcuno si siede sul muricciolo, un altro, come è suo solito fare, infila la testa nel secchio piangente, colmo d’acqua sempre fresca, tirato su dalla piscina. Poi alza la testa e si gode il firmamento, pensando… Poi andiamo a letto.

[5]

Durante la notte c’è un via vai verso il buco nel cemento (gabinetto) che si trova, come corpo a se stante, fuori dalla casa, sul margine della curteglia.
Non appena uno rientra in casa, un altro esce di corsa. Il chiavistello di legno della porta di legno a momenti piglia fuoco. Se poi uno non ce la fa a trattenere c’è sempre la campagna circostante ma bisogna stare attenti a non incappare… ’ndi palette d’i fechetinie.
Qualcuno di noi osserva: – A farce veni’ ’u mal’i panz’ nun songhe stat’i patell ’nzieme a ’u mellone e tutta’ll’ata robba, ma songhe stat’i tropp’ risate!
– Dimane chiammamm a Cuncetta e ce facimme fa’ i vierm’.
– Ma chi? ’a Spiritista!? – e giù ancora risate.
Ma ridiamo ancora di più quando, il giorno dopo, apprendiamo che anche agli altri componenti della comitiva è successo lo stesso andirivieni notturno.
– A rischie ’i ve piglia’ ’nu’ pandeche… – osserva preoccupata, come sempre, mia madre.

Nella notte stellata poeteggio:
A me cale
andar per Cale
pur nel sommovimento
addominale!

Ci sarei andato mille altre volte ancora insieme alla “notte bianca” come appendice.
Oggi in un mondo pieno di preclusioni, di divieti e di esborsi di denaro per ogni dove: dalle tasse di soggiorno e di sbarco, alle soste a pagamento, al pagamento per visitare persino le chiese e a volte anche per ascoltare una Messa, posso e possiamo considerarci fortunati di aver potuto “godere” appieno dell’Isola e di ogni altra cosa. Peccato, però…

Ah dimenticavo… Era il tempo in cui Rosa ’i Santella insieme a ’Ntunetta ’i Pataccone, a Filomena ’i Franc’ Feola, a nonna Civitella e ad altre donne del circondario aveva già cantato le preghiere in onore della Madonna Assunta.
Molte di esse poi, approfittando della frescura notturna, si erano recate a piedi alle Forna dove don Gennaro cantava le lodi della Madonna Assunta portandola in processione per le sue stradine…

Buon ferragosto a tutti, con il riso e il sorriso… condiviso!
Pasquale