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Epicrisi 222. L’utopia di Delicado

di Rosanna Conte

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Non so come ringraziare Franco Zecca.
E’ da domenica che non faccio che riandare con la mente e il cuore a quel turbinìo di sensazioni, sentimenti e ricordi legati a Delicado [2].
E’ col ritmo del cavaquinho che ho attraversato tutta la settimana, con un contrasto immane fra lo spirito e l’azione.

E sì, perché abissale è la distanza fra l’entusiasmo, l’ottimismo, il coinvolgimento emotivo di quando si ascoltava alla radio quella musica e quanto oggi si va dispiegando davanti ai nostri occhi.

La musica di Azevedo, come la scrittura di Jorge Amado, ha radici profonde in quella mistura di genti diverse che è il popolo brasiliano. Espressione di questo crogiuolo culturale, il ritmo di Delicado attiva un gioco intenso di contatti in cui le vibrazioni passano in sintonia, da un corpo all’altro: il distacco è solo l’occasione per stringere di più l’altra mano per un nuovo avvicinamento.

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Insomma è una musica che unisce, che insinua il desiderio di conoscere l’altro che, quanto più è diverso, tanto meglio è, perché ci arricchisce di più.
Si può capire come sia triste allora guardare all’attuale sfacelo dell’animo umano che corre vanaglorioso e sterile sull’onda barbarica dell'”Io, prima di tutti!”
Oggi Delicado non può essere vissuto nella sua pienezza.

E non credo che riesca a consolarci del tutto il mare. E’ vero quanto dice Franco De Luca [4]: il mare ti culla, addolcisce il dolore della perdita, ti stordisce, ti vuole ridare energia, ma la perdita resta. Il mare ti dice anche la verità: la crudeltà umana ha radici profonde e la proclamazione di grandi valori rischia di restare solo una vuota emissione di voce.

Questo gioco duale da specchietto delle allodole si ritrova in tutto e si chiama ipocrisia.

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La ritroviamo nella propaganda politica dove fomentare l’odio in nome di un benessere comune è diventata la norma;

nell’affiliazione politica scelta solo in relazione a quanto si pensa di ottenere senza tener conto degli eventuali disvalori di cui si diventa, ahimé!, difensori e  che per l’occorrenza vengono minimizzati;

e la ritroviamo, ovviamente, anche nella morale corrente: pensiamo al grande gioco al massacro della dignità femminile così ben descritto da Tea Ranno [6] e quello che riguarda i beni comuni tratteggiato in tono leggero ma molto chiaro da Silverio Guarino [7].

Volendo si può evitare di essere troppo pessimisti: in fin dei conti esistono ancora azioni e sentimenti semplici che non nascondono altro. E penso all’amicizia di Tonino Impagliazzo per Beniamino Verde [8] e all’impegno totalizzante di questo sindaco che amava la sua isola e volle tutelarla.

Franco De Luca parla di umanità che può superare le barriere, ma l’umanità si costruisce partendo dal minimo comune denominatore tra l’esperienza dei sentimenti e le riflessioni sui sentimenti altrui.

Per essere umani bisogna provare e pensare e noi siamo tutti molto intenti a provare, ma poco a pensare.

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La nostra isola, come rileva Sandro Romano [4], ha avuto la caratteristica di segnalarsi per le contrapposizioni interne, ma non credo che oggi si possa fare ancora riferimento al dualismo Ponza-Le Forna che aveva ragion d’essere fino a qualche decennio fa.

I contrasti hanno le loro radici negli interessi economici che, attualmente, non sono così semplici da delineare perché l’articolazione del tessuto socio-economico dell’isola è piuttosto anarchico e lo spopolamento invernale aggrava la situazione. In una realtà sempre più complessa e mai lineare, dove manca anche una vera bussola per orientarsi si può facilmente diventare  preda di strumentalizzazioni vissute, invece, come una  libera scelta de-strumentalizzata.

In questa settimana si parla tre volte del Mare di Circe (leggi qui [10], qui  [11]qui [12]). Non so se questo progetto riuscirà a lasciare un segno positivo nell’isola. Per esperienza so che ogni progetto cammina sui piedi delle persone che devono realizzarlo. Se le persone non sanno camminare insieme è difficile che si conseguano gli obiettivi e questo lo sa bene chi criticando il progetto – liberissimo di farlo: ci mancherebbe altro! – l’ha avversato seminando sfiducia e insinuando fini reconditi per separare.

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La discussione intorno a Zannone [14] è poi quanto di più surreale ci possa essere. L’isola – che mai è appartenuta pienamente ai ponzesi – è diventata un pomo della discordia fra chi la “rivuole” a costo di rimetterci le penne e/o di consentirne l’accaparramento a chi i capitali li ha, e chi sta cercando di capire come mantenerne intatta la ricchezza naturale da rendere fruibile a tutti in sicurezza e rispetto dell’habitat, seguendo percorsi burocratici regolari.

Ma davvero pensiamo che far uscire dal parco Zannone, cosa richiesta dal comune – secondo me in un momento di insania totale, visto che è stata approvata all’unanimità – e che, perché possa realizzarsi, necessita di sopralluoghi e relazioni non dipendenti dal comune, possa sanare i problemi di Ponza?

La propaganda è sempre micidiale e fare propaganda su queste cose è davvero un delitto perché si dispensano illusioni e si incattiviscono gli animi. Sinceramente a Ponza non abbiamo proprio bisogno di azioni divisive e dilanianti di questo tipo.

Se non ci preoccupiamo di evitare scontri costruiti a tavolino per avere voti, non c’è nessuna speranza: potrebbero darci la Luna e noi non sapremmo mai utilizzarla. Altro che Zannone!

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Capita che possiamo sentirci uniti nello sdegno  come per il servizio del TG 1 sui dissalatori contro il quale ha alzato la sua voce il sindaco di Ventotene, Gerardo Santomauro [16]. La palese propaganda del servizio pubblico a favore di Acqualatina è stata vergognosa: mancavano non solo gli amministratori, ma anche i cittadini che sono i giudici ultimi degli interventi a loro destinati.

Ma queste occasioni non sono frequenti.

E’ solo la pratica della partecipazione e del confronto che può abituare a collaborare , a trovare soluzioni condivise; naturalmente penso al confronto reale, quello in cui si parla guardandosi negli occhi, non quello su fb che riduce tutto a spot e a grida che restano sulla superficie del problema. Insomma bisognerebbe vivere al ritmo di Delicado.

Abbiamo Ponza, un’isola bellissima che in un contesto di cooperazione poteva dar da mangiare a tutti, sfruttandola per terra e per mare, con percorsi storici, archeologici, eno-gastronomici, culturali in senso ampio, ma non l’abbiamo saputo fare né pare che siamo intenzionati a farlo.

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Certo possiamo continuare a rallegrarci della sua bellezza, pensando che da sola possa sostenerci, ma è più probabile che possa costituire uno scenario di sfondo in un film come “Ricordi? [18]” che non la miracolosa fonte che abbevera tutti i ponzesi.