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Una canzone per la domenica (33). Organetto, mio perduto amor

di Sandro Russo

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Chissà come mai viene fuori solo adesso questa storia dal mio passato, dopo tutto quel che ho scritto sul sito!
Sarà, come dice Erri De Luca a proposito della memoria e della scrittura:
– Cos’è per lei la memoria e a che serve?” – gli chiedono.
Non è un album di fotografie – risponde – né un posto, né una biblioteca o un’enciclopedia da consultare: non si può tornare sui passi per riviverne un pezzetto. È un enorme ghiacciaio che, come succede spesso, ogni tanto si ritira e restituisce pezzi e reperti. La memoria sputa dettagli in maniera così forte e violenta che mi obbliga a riscriverla. Ecco, la scrittura è la seconda volta della memoria, il caso, l’accidente che coinvolge molti pezzi e molte ossa del passato.

Sarà proprio così, perché ne avevo già scritto en passant (leggi qui [1]), ma mai direttamente…
Eh sì..! Ho avuto un passato – diversi anni, anche – in cui ho suonato l’organetto.
Una passione cominciata per caso: incredibile come storie diverse si combinano e si congiungono di nuovo nella vita…

All’inizio di tutto ci fu la scoperta del “Circolo Gianni Bosio”, nel quartiere S. Lorenzo di Roma (dove vivevo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80). Anzi il primitivo innesco fu una cena a casa di Vincenzo Padiglione – proprio il “professore” che molti anni dopo sarebbe stato proposto come curatore del (futuro) Museo di Ponza – che aveva cominciato a suonare e ne era entusiasta.

Anima del circolo Gianni Bosio (un etnomusicologo alla cui memoria era dedicato il Circolo Culturale) era Ambrogio Sparagna e alcuni suoi giovani collaboratori che iniziavano allo strumento noi neofiti.
Dopo qualche anno si delineò il progetto di un’orchestra fatta solo di organetti – la mitica BBB – Bosio Big Band e Ambrogio ne fu il naturale leader.

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La sede degli incontri e delle prove furono prima gli umidi scantinati di via dei Volsci, poi un più accogliente seminterrato a Monteverde; intanto la Banda cresceva e si precisavano le ambizioni di Ambrogio su cosa farne. Una formazione originale: solo organetti e in più due ragazze che suonavano il tamburello. In un secondo tempo anche l’insegnamento dello strumento passò dalla pratica “a orecchio” ad una più solida base musicale con l’apporto di un entusiasta musicista ed etnomusicologo argentino Enrique Càmara.

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Le prove, ai primi anni (ci sono anch’io, in seconda fila tra le due ragazze)

Ambrogio, attraverso le sue conoscenze nel mondo dello spettacolo trovava per la Band buone occasioni per esibirci, in tutti i teatri interessati, in tutte le feste di paese che gradivano un intermezzo musicale in cui si ballasse in piazza al suono trascinante degli organetti; fu in quel periodo di grandi entusiasmi che producemmo anche due dischi in vinile. Registrazioni in studio; una cosa seria!

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“Pari e Dispari” è del 1987; “Trillillì”  del ’90. Al centro la foto e i nomi del gruppo dell’87; in fondo il gruppo al secondo disco

Facevamo lezione o “le prove” un giorno a settimana, dopo aver ‘praticato’ ciascuno per suo conto a casa. Ognuno aveva avuto la sua settimana, più o meno dura, ciascuno con i suoi problemi, ma per le due ore che eravamo lì, dimenticavamo tutto, affascinati (e tiranneggiati) da un Ambrogio matto invasato che ci lasciava andare solo quando aveva ottenuto da noi esattamente “quel” risultato, il suono che aveva nella testa.

Sono anche di quel periodo le avventure dei viaggi in pullman, per raggiungere le località dove avremmo suonato; posti mai sentiti prima, prevalentemente al Nord, dall’Emilia-Romagna in su, lande infestate di zanzare che si davano appuntamento nel pomeriggio per la prova microfoni e all’ora del concerto serale… Ma c’era sempre un momento magico tra noi sul palco, e con il pubblico che ci seguiva e poi si scatenava a ballare sotto il palco.

Questi viaggi in pullman – cui arrivavo magari stravolto da una guardia in rianimazione – li ricordo come un sogno, frammenti di un dormiveglia… aprivo gli occhi e comparivano sterminati campi di girasole; mi riaddormentavo per svegliarmi col batticuore di una brusca frenata dell’autobus; poi coretti improvvisati degli altri passeggeri-musicisti; qualcuno mi parlava, poi ricadevo nel sonno.
Più o meno in quel periodo facemmo con amici del gruppo anche una trasferta a Ponza – era un periodo, ricordo, in cui era tutta ggialla ’i vastacciétt’ – perché nel frattempo anche Isidoro Feola era stato sedotto dall’organetto e insieme ci demmo da fare per organizzare.

E poi e poi… cominciai a trovare sempre più difficile partecipare alle attività e alle trasferte del gruppo, smisi di suonare per un periodo lungo e… non ripresi più. È esperienza comune, per chi suona uno strumento, non accettare di regredire, rimandare il giorno in cui riprenderà e poi non farlo mai.

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I miei organetti

Una storia un po’ triste? Non direi… suonare mi ha dato molta gioia, le amicizie fatte nel gruppo anche… Per un po’ ho continuato ad andare ai concerti del gruppo e alle esibizioni di Ambrogio che nel frattempo aveva ottenuto grande successo e iniziato collaborazioni di prestigio (ho scoperto che ha anche una buona scheda su Wikipedia [10]). Fino a diventare “maestro concertatore” del Festival della Taranta di Melpignano, incarico biennale che viene assegnato a musicisti di rilievo.

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Ricordo di Ambrogio, di averlo incontrato un giorno davanti alla chiesa di San Giovanni a Formia, lui in macchina con un amico che veniva da Maranola e io a piedi che andavo a prendere la nave per Ponza. Fermò il traffico e creò un ingorgo per venirmi ad abbracciare e scambiare due parole… – Come stai? Mannaggi’atté..! E fatti vivo qualche volta… fatti sentire… Certo certo!

Questo fu il pezzo che mi sedusse a casa di Vincenzo e mi attirò nel magico mondo dell’organetto: “Valzer per Siglinda” è contenuto nell’album Malvasia dell’omonimo gruppo di musica popolare italiana formatosi nel 1978. Hanno prodotto un solo album.

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