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Sullo spopolamento di Ponza. Crudele analisi di un fenomeno dilagante

di Alessandro Romano
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Mai come in questi ultimi tempi, nel periodo invernale si era arrivati a simili livelli di spopolamento. A Ponza se ne parla con sgomento e rassegnazione, come se un male oscuro stesse inesorabilmente colpendo la nostra comunità isolana residente, disperdendola. Quali le cause di questa situazione estremamente critica che rischia di arrecare danni gravissimi ed irreversibili alla struttura socioculturale isolana e quali i possibili rimedi per ridurre, se non bloccare, questo stillicidio che sta trasformando il centro abitato in un paese fantasma? Per arrivare a delle risposte esaustive ed individuare dei possibili rimedi occorre analizzare e valutare innanzitutto alcuni elementi:

a) distinguere i trasferimenti definitivi da quelli periodici;
b) individuare il periodo dell’anno di maggiore spopolamento;
c) censire le zone dell’isola maggiormente soggette al fenomeno;
d) distinguere l’età della popolazione in partenza;
e) individuare i mestieri e le occupazioni dei partenti;
f) individuare i luoghi di destinazione;
g) registrare le ragioni espresse dai migranti stagionali.

Se si va indietro nel tempo e si cerca di rispondere ai quesiti sopraelencati si ha subito un quadro chiaro di quanto in passato la nostra comunità ha subito.
Al di là delle tragiche vicende ottocentesche legate agli eventi politici sul continente, appare chiaro che la nostra comunità isolana ha subito dei cambiamenti nella consistenza residenziale sempre per motivi prettamente economico-occupazionali.
Le aberranti politiche del novello Stato unitario e le disfunzioni economico-sociali generate dall’allora Governo a cavallo delle due guerre mondiali, provocarono continue partenze verso l’America del nord di una consistente parte di popolazione giovane di sesso soprattutto maschile.
Questo massiccio flusso migratorio di manodopera, interrotto per qualche anno solo durante la Seconda Guerra Mondiale, per riprendere in grossa misura appena dopo, comportò dei rientri solo in piccolissima percentuale e, soprattutto, in età oramai non più lavorativa.
A questo flusso fu interessata in modo uniforme tutta l’isola, da Le Forna alla zona Porto, con punte maggiori sugli Scotti, sui Conti e in zona Sottocampo.
Questo trend di partenze cominciò a calare per poi cessare solo negli anni ’60. Infatti, oltre alla ripresa economica dell’Italia, a Ponza muoveva i primi passi il turismo. Fu proprio in quegli anni che cominciarono a sparire quelle sacche di miseria che avevano ridotto i giovani ponzesi, anche di sesso femminile, a lavori massacranti nella miniera e nelle campagne solo per assicurarsi un’esistenza al limite della sopravvivenza.
Va comunque osservato che quella nuova linfa economica rappresentata dal turismo, almeno nei primi tempi affiancò e non sostituì l’economia principale basata sulla pesca, sulle campagne e sulla miniera.

Fu la Cassa per il Mezzogiorno (Legge del 10 agosto 1950 nº 646) e le sue successive proroghe per tutti gli anni ’60 che contribuì fortemente, unitamente ad alcune punte di benessere anche nel parassitario emerse qua e là soprattutto nella zona portuale dell’isola, Santa Maria compresa, a gettare le basi a quel piccolo capitale imprenditoriale ponzese con ramificazioni spesso parallele e complementari tra pesca e turismo. Fu il boom economico isolano.
In questo periodo non solo si fermarono le partenze, ma vi furono numerosi casi di rientro e di investimenti, anche considerevoli, sia sul turismo che sulla pesca ed il trasporto.
Un ripopolamento così corposo che causò un’incredibile crisi abitativa a danno soprattutto dei nuovi nuclei familiari, in molti casi costretti ad insostenibili affollamenti nelle vecchie abitazioni paterne, tanto da arrivare ad un tollerato e diffuso abusivismo edilizio fatto di sopra-elevazioni, grotte-case e di baracche-case.
Era proprio in questo periodo che bisognava intervenire energicamente per stabilizzare un fenomeno troppo lasciato alla libertà dei mercati economici interni ed esterni ed affidato alle iniziative, non sempre oculate, di alcuni sprovveduti e/o spregiudicati imprenditori locali. Purtroppo tutto fu affidato al caso ed al “laissez faire” del nascente liberismo ponzese.
Sta di fatto che l’assestarsi prima e la prepotente prevalenza poi dell’economia turistica su tutto il resto del tessuto produttivo locale, causò dei dannosi diversivi negli investimenti, in parte indotti dal blocco delle costruzioni sull’isola ed in parte legati ad una ricerca di un miraggio di benessere che l’isola nemmeno potenzialmente riusciva ad offrire.

Fu così che fin dalla fine degli anni ’70, seguendo la scia degli “sfollati dalla miniera” (un’altra tragedia sociale non affrontata dal verso giusto), molti isolani acquistarono abitazioni a Formia, Terracina, Latina e Napoli. Furono loro i pionieri del nuovo spopolamento. Partendo dalle tristi vicende minerarie che videro cancellare per sempre la contrada “La Piana”, uno dei quartieri più belli e suggestivi di Le Forna, e dando una risposta attuale ai quesiti su esposti, possiamo affermare senza ombra di dubbio che quella che adesso stiamo vivendo a Ponza è uno “spopolamento derivante dal benessere”.
L’aspirazione ad una troppo mitizzata vita sul continente, la necessità culturale di ostentare uno status symbol non sufficientemente appagabile restando sull’isola, la necessità di investire su beni di rifugio diversi dalle tradizionali fonti di guadagno isolano, hanno reso lo spopolamento stagionale progressivamente contagioso. I disagi lamentati nei servizi, nei trasporti, nella sanità e nelle scuole, anche se in buona parte fondati, in questo caso sono solo un’amplificata e strumentale giustificazione per nascondere la vera ragione: una diffusa volontà di abbandonare il paese nel periodo invernale al di là di ogni oggettiva necessità di vita.
Prova ne è che, in tutti questi anni, ogni qualvolta si è cercato di intavolare un discorso serio sull’allungamento della stagione delle presenze turistiche, anche i principali attori dell’imprenditoria locale non hanno saputo (voluto?) dare risposte e proposte serie e concrete, insabbiando sistematicamente ogni progetto o disertando clamorosamente ogni iniziativa.

Quale futuro in una tale condizione? E’ difficile fare pronostici non allarmanti. Di certo è che quella attuale è solo una tragica fase di transito e non, come la maggior parte dei ponzesi stagionali vorrebbe, una condizione (furbesca) di stabile convenienza. Dove si arriverà? Analizzando attentamente le caratteristiche del fenomeno, emerge chiaro che il sistematico svernamento di molti residenti ha per effetto collaterale un loro graduale sradicamento etnico, per l’inevitabile adattamento a condizioni e forme di vita sociale differenti, che se da una parte soddisfano le lamentate (pretestuose) carenze di una residenza invernale isolana, dall’altra ne crea altre che inducono il ponzese a collocarsi stabilmente fuori Ponza.
In questa nuova condizione gli spostamenti stagionali invertono direzione e diventano irreversibili: l’abitazione principale (di proprietà) sta sul continente e l’isola resta il luogo temporaneo degli interessi.

Ma gli effetti collaterali non finiscono qui ed il fenomeno con il tempo assume aspetti più inquietanti. Infatti un tale dualismo residenziale produce inevitabilmente nelle nuove generazioni ponzesi un definitivo sradicamento generazionale quando si iniziano a cercare forme di reddito e sistemazioni fuori dall’isola, spesso legate alla necessità di vendere le proprietà ponzesi.
I segni di questo spostamento etnico sono evidenti. Basta osservare da chi sono gestite molte delle attività commerciali di Ponza-porto e chi sono i nuovi proprietari di molte abitazioni (in inverno disabitate) per comprendere che è in atto un graduale enorme passaggio di proprietà.

Con tali premesse, quando il transito di proprietà si sarà diffuso massicciamente anche nel restante territorio isolano e la maggior parte delle principali risorse economiche e commerciali saranno in mano ad un capitale e ad un’imprenditoria non isolana, assisteremo ad un primo timido prosieguo delle attività anche nei periodi non balneari, con un conseguente incremento di popolazione non ponzese. Si sta dunque aspettando scientemente questa metamorfosi etnica?

Va osservato che la passata Amministrazione con la sua politica ha apertamente favorito, ampliato ed accelerato questo processo di spostamento e travaso già in atto da anni, suicidandosi politicamente per aver innescato una conseguente inaspettata e disperata reazione di autodifesa nei ponzesi di fondazione residenti sull’isola che, dal canto loro però, nonostante abbiano intuito il pericolo e non abbiano seguito la via perdente dei migranti stagionali, nulla ancora fanno per trovare un’unità di intenti non solo per fronteggiare al momento tali tentativi di indotta deportazione etnica, ma anche per tracciare concretamente un loro sicuro futuro sulla loro isola anche nel periodo invernale.

 

Foto di Federica Di Giovanni dal suo recente libro fotografico Isole d’inverno [2]