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L’home run di Frankie (4)

di Emilio Iodice (traduzione a cura di Alice Cutini Calisti)

 

per la terza parte (leggi qui [1])

Frankie aveva appena finito la seconda media. Aveva tredici anni. Era fine giugno. Non aveva scuola fino a settembre. Chiese a Lucia di lasciarlo andare dietro l’angolo del negozio per guardare i ragazzi che giocavano a stickball. Disse di sì, specialmente perché Silverio era al lungomare a lavorare.

Frankie era nervoso. Non conosceva nessuno dei bambini della zona. Frequentava una scuola Cattolica, mentre la maggior parte di loro frequentava scuole pubbliche. La comunità era una mescolanza di italiani, irlandesi, ebrei e alcuni ispanici e neri. I ragazzi stavano giocando su una strada larga e irregolare. Era uno spazio triangolare che confinava con aree residenziali e degli ampi edifici con appartamenti. Cinque viali confluivano nella strada principale. Era in forte pendenza, con terra e ghiaia disseminati in tutta l’area. Numerose macchine, camion e un autobus occasionale viaggiavano sulla strada. Quando questo accadeva, i ragazzi dovevano fermare il gioco, raggrupparsi e iniziare di nuovo. Non era un posto semplice per giocare.

Frankie si avvicinò al punto in sui erano seduti i ragazzi che aspettavano il loro turno alla battuta. “Ciao, mi chiamo Frankie”, disse a uno di loro. Aveva i capelli rossi e un sacco di lentiggini sulle guance e sulla fronte. Si chiamava Red. Frankie ricevette un lungo silenzio come risposta. Il ragazzo non rispose né lo guardò. Gli altri fecero lo stesso. Si comportavano come se non fosse lì. Frankie rimase in piedi a bordocampo a guardare la partita. Udì ogni forma di linguaggio volgare quando i ragazzi, regolarmente, venivano eliminati al piatto o quando la loro palla era afferrata dalla squadra rivale. Esultavano selvaggiamente quando segnavano. Se qualcuno realizzava un home run era trattato come una divinità. Tutti i ragazzi si conoscevano bene. Sentì soprannomi come Smilzo, Secco, Viscido e Roccia.

“Voglio giocare”, disse Frankie al bambino che sembrava essere il caposquadra. Si chiamava JoJo. Era alto, magro e abbronzato. “Non abbiamo bisogno di nessuno. E comunque, che ne sappiamo se sei capace?”, rispose sarcastico. “Non so giocare ma posso imparare, e sono forte e veloce”, disse Frankie. “Via di qui”, urlò uno dei ragazzi. “Non abbiamo bisogno di te e non ti vogliamo”, urlò un altro. “Smamma”, urlò un altro ancora. Frankie se ne andò via lentamente.

Era ferito e scoraggiato. Rifletté sull’accaduto. Era l’estraneo. Voleva essere accettato ed entrare a far parte della squadra, ma non aveva nulla da offrire. Per riuscirci, doveva imparare le regole del gioco, seguirle ed essere in grado di dare un contributo alla squadra. Aveva bisogno di preparazione. Frankie era determinato a diventare un grande giocatore di stickball, o a morire nel tentativo. Ricordava le parole del prete della sua parrocchia: “Non puoi aspettarti di unirti alla Chiesa oggi e di essere eletto vescovo domani”.

Frankie osservò e studiò lo sport del baseball, che era alla base dello stickball. Decise che si sarebbe concentrato sulle stelle del passato per capire come erano riuscite a raggiungere il successo. Aveva visto dei film sui grandi battitori di home run. Il suo idolo era Babe Ruth. Era conosciuto come “Il Sultano dello Swat”, “The Great Bambino” e “The Babe”. Era un battitore potente, stabilì record leggendari che resistettero per decenni. Molti consideravano Babe il più grande giocatore di tutti i tempi.

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Babe Ruth (per gentile concessione di Sports Illustrated)

Frankie lesse circa la vita di George Herman (Babe) Ruth. Era un povero ragazzo che crebbe nell’orfanotrofio di St. Mary a Baltimora, nel Maryland. Era gestito da alcuni fratelli cattolici. Uno in particolare, Fratello Mathias, divenne il mentore e la guida di Babe. Gli insegnò a giocare a baseball. Ruth lo chiamava “l’uomo più grande che io abbia mai conosciuto”. Babe divenne famoso per la sua determinazione e il suo impegno.

Frankie rimase colpito dalle leggendarie parole di saggezza di Babe che divennero il suo eterno motto:

Non permettere mai alla paura di sbagliare un colpo di ostacolarti.

Ogni strike mi porta più vicino al prossimo home run.

Gli home run di ieri non fanno vincere la partita di oggi.

Babe Ruth non solo realizzò più home run di ogni altro giocatore nella storia, ma mandava la palla più lontano di ogni altro. Spesso i suoi home run erano come esplosioni di palle di cannone che volavano oltre le mura dello Yankee Stadium e atterravano sul binari della metropolitana. Infatti, spedì una palla a più di 180 metri di distanza e stabilì il record per l’home run più lungo della storia. Il Great Bambino “chiamò” anche il suo colpo in una partita leggendaria contro i Chicago nel 1932

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Babe chiama il suo Colpo
(per gentile concessione di The Baseball Hall of Fame)

Con due strike in suo sfavore, indicò con due dita il pennone che si trovava nella sezione più distante dello stadio. Babe disse che il prossimo tiro avrebbe colpito lì. La folla e i giocatori rivali fischiarono e risero. Il lanciatore era determinato a usare il suo tiro più veloce per eliminare il leggendario Babe Ruth. Colpì la sfera con un ardente spirito di rivalsa. Era una palla bassa ed esterna, particolarmente difficile da colpire per Ruth.

Invece, il Sultano dello Swat fece un passo avanti e uno di lato e fece oscillare la sua mazza con potenza e precisione estreme. L’oscillazione della mazza tagliò l’aria con un suono furioso. La folla di Chicago udì un forte schianto quando il Great Bambino sparò la sfera nei cieli. Per un momento sembrò sparire. Improvvisamente, si immobilizzò e guardarono la palla volare oltre il pennone con i colori della bandiera americana.

Babe la indicò come se fosse la sua destinazione ultima. Sorrise e si sistemò umilmente il berretto mentre girava lentamente le basi. Fece un inchino prima di tornare in panchina. Tutti gli spettatori dello stadio si alzarono applaudendo rumorosamente. La squadra rivale fu ridotta a un silenzio scioccato dalla magnificenza del Sultano dello Swat. Babe Ruth aveva di nuovo dimostrato di essere il più grande giocatore di tutti i tempi. Era una delle performance più elettrizzanti nella storia del baseball.

[4]

“Babe Ruth ha dichiarato che il segreto del suo colpo, qui analizzato nella sequenza della pubblicazione Mid-Week Pictorial, consisteva semplicemente nel ruotare la sua mazza da 1,5 kg più forte che poteva. ‘O colpisco forte, o sbaglio di molto,’ ha ammesso”.
(per gentile concessione del sito di famiglia di George Herman Ruth)

Frankie decise che avrebbe imparato come colpire una palla da Babe. Andò in biblioteca e guardò delle bobine cinematografiche di Babe in azione. Lesse e studiò più che poteva sulla sua tecnica e le sue capacità. Frankie osservò con attenzione come Ruth colpiva la palla. Era quasi come se stesse giocando a golf. Oscillava quasi dal terreno per prendere la palla e spedirla nella stratosfera. Con un’enorme potenza, lanciava letteralmente la palla nel cielo in un arco gigantesco che spesso faceva sembrare invisibile la piccola sfera bianca. Il vento la trasportava come un uccello in volo verso la sua destinazione che era, in genere, oltre la recinzione.

Mentre tutte le mazze da baseball erano della stessa misura, scoprì che The Babe ne usava una molto pesante. Quelle standard pesavano circa 1 kg, ma la sua più di 1,5 kg. Ruth la chiamava la “Mazza Mostro”. La maggior parte dei giocatori volevano delle mazze leggere da poter maneggiare facilmente senza farsi male alla schiena o alle braccia. Babe, invece, si affidava a una mazza speciale che pesava il 60% in più delle mazze standard. Era rischioso, ma forniva anche più energia per battere delle palle lunghe. Il Bambino fu eliminato molte più volte di quante colpì la palla, ma quando lo faceva realizzava tiri ampi che arrivavano lontano. Per quasi due decenni, Babe Ruth fu considerato tra i più grandi giocatori del baseball.

 

[L’home run di Frankie (3) – continua]