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Taccuino (18). L’altalena

di Silveria Aroma
[1]

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“Non c’è dovere che sottovalutiamo tanto quanto quello di essere felici”
(R. L. Stevenson)

C’era un albero di fico, sì! Credo fosse proprio un fico.
Eravamo piccoli, talmente piccoli da poterci sedere su una tavoletta di legno senza vernice e dondolare attraverso le corde che la legavano ai suoi rami.
Aspettavo il mio turno senza pazienza, la ricreazione era breve.
Guardavo i piedi uniti, prigionieri delle scarpe, l’erba sotto le suole: punta, punte, spinta e via a cullarsi fino ad un punto sonoro: ora tocca a me!

[2]

L’ Altalena

Ti piace volare sull’altalena
nel cielo sempre più blu?
E’ poco dire che vale la pena:
è meglio dire: niente di più.

Su su salendo sopra la chiesa
nasce allo sguardo un nuovo confine,
e in quella nuova, immensa distesa,
le strade, i fiumi, ponti, casine.

Finché lo sguardo torna al giardino
giù verso il tetto di tegole rosse.
Ancora volo, ancora sconfino
su e giù nell’aria, ma senza scosse.

[3]

Il sogno, per Robert Louis Stevenson, anche da piccolo, non era una sciocchezza puerile, ma un mondo incantato e inquietante, come lo intendono i poeti e i bambini, i filosofi del mondo antico e gli sciamani: un mondo diverso (pur se stranamente intrecciato a quello della veglia), un mondo in cui regnava un altro tempo, più lento, stregante e nello stesso tempo capace di accentuare la percezione di certe realtà, quando altre scorrevano in muta dissolvenza. Miracoli e meraviglie si alternavano a spettri e incubi, con il succedersi di bellezza e orrore che osserviamo anche nel giorno, ma in una prospettiva dilatata, ingigantita, rallentata fino all’amplificazione tremenda e assoluta di un istante.

(R. L. Stevenson: “Il mio letto è una nave” – Feltrinelli)

[4]

Chirurgo Celeste

Se ho mancato più o meno
Nel mio grande compito di felicità;
Se ho camminato tra la mia stirpe
Senza mostrare un chiaro volto mattutino;
Se lo splendore di felici occhi umani
Non m’ha commosso; se i cieli mattutini,
I libri, e il mio cibo, e la pioggia d’estate
Hanno battuto invano al mio cuore aggrondato:
Signore, prendi il tuo più intenso piacere
E pugnala il mio spirito ancora ben desto;
Oppure, Signore, s’io tuttavia m’ostini oltre il segno,
Scegli tu allora, prima che lo spirito muoia,
Un dolore lancinante, un peccato che uccida,
E trafiggi con essi il mio cuore già morto.

(Antologia della Poesia Inglese, Wirton Arvel)

[5]

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Robert Louis Balfour Stevenson (Edimburgo, 13 novembre 1850 – Samoa, 3 dicembre 1894) è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta scozzese

«Sotto il cielo ampio e stellato
Scava la tomba e lasciami mentire
Sono felice di vivere e morire felice
E mi sono sdraiato con una volontà
Questo è il verso che hai per me
Qui giace dove desiderava essere
La casa è il marinaio, casa dal mare
E il cacciatore torna a casa dalla collina»

[6]