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Diario del ‘tempo dell’Immacolata’ (4)

di Francesco De Luca
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Provo a buttar giù alcune riflessioni (e mi sarà tiranno il poco spazio). Prodotte dal senso comune. Nessuna scienza specialistica e, pertanto, nessuna presunzione di verità. Sono inerenti al ‘culto dell’Immacolata’, all’emozione che la liturgia rinnova in chi, come me, da bambino è stato avvicinato a questa devozione; a come essa si tramanda, a come mi appare venga vissuta nel paese.
Procederò per ‘temi’.

Religione. La religione è un insieme di affermazioni, imperativi, argomenti, storie che devono essere creduti. Alla base della religione c’è un credo. Che si impone e viene accettato come è, senza discussione, senza tentennamenti.

Religiosità. La religiosità è una inclinazione della mente (disposta e insieme reticente alle religioni tradizionali) a considerare la vita e i fenomeni che si osservano quotidianamente come pervasi da una forza che non si impone come un ‘credo ’ bensì come un invito.

Spiritualità. La spiritualità è la percezione che nella realtà fisica, oltre alla dimensione materiale, in essa e intorno ad essa, vi sia una forza non tangibile che unisce e trascorre in ogni aspetto dell’universo.

Alla luce di queste precisazioni concettuali come si colloca il culto dell’Immacolata?
Per il ‘cristiano’ non c’è alcun dubbio: l’Immacolata Concezione è oggetto di un preciso dogma di fede (anno 1854, 8 dicembre, papa Pio IX), per cui si inscrive pienamente nel culto religioso. È, e deve essere, espressione di fede religiosa.

Oggi questo culto è vissuto esclusivamente in questo senso? No. C’è il ‘cristiano di facciata (non praticante)’ che lo vive come una espressione sentita ed emozionante di ‘religiosità’.

C’è infine anche chi riveste questo culto di sentimenti amicali, nostalgici, di ritorno ad un sentire antico che si ri-propone (fondamentalmente il lui). Costui vive il culto con autentica spiritualità.

D’altra parte, è da tempo che la religione cattolica ha cessato di dettare agli uomini le modalità della loro professione di fede. Le ha ben salde ed evidenti nel catechismo e nei messali, ma lascia ad ognuno la libertà di personalizzarle.
E’ una strategia consolidata della Chiesa quella di piegarsi all’attualità per non spezzarsi.

Se è esatta la mia analisi, trovano spiegazioni:
il fatto che il culto dell’Immacolata presso i Ponzesi sia radicato anche se alle novene partecipa pochissima gente;
il fatto che il giorno dell’8 dicembre si assista ad un profluvio di maschi alla messa;
al fatto che ci sia chi ne ha fatto oggetto di un ‘diario’, anche se di straordinario non avviene alcunché.

“Spero tanto che non diventi un fenomeno folkloristico” – mi dice un amico, in parte sbalordito dal risalto che i Ponzesi, sull’isola e fuori, danno alla ricorrenza, e timoroso che tutto si risolva in uno spettacolo di eccitata popolarità. E infatti quante volte don Raimondo ci rimproverava, a me, a Tonino, Luigi, Franco, per il nostro vivo emozionarci ai canti e poi… disertare con indifferenza le messe domenicali.

Aveva ragione don Raimondo (al quale auguro tanta vita serena) perché la nostra emozione era a tempo, anzi a scadenza, eppure aveva torto, a mio vedere, perché esigeva che la nostra partecipazione fosse di ‘fede’ e non di ‘spiritualità’. Come è tuttora. E come deve rimanere (per quanto inerisce al mio giudizio). Senza tralignare nel folklore. Quello non nutre la mente, non l’interiorità, non la crescita.
Il folklore è più vicino al riso, alla vacuità. Vive l’attimo del battimani. No. Il culto dell’Immacolata, il nostro, noi, “i giuvene d’a Mmaculata”, abbiamo bisogno di tenerlo in serbo nell’animo. Non smetterà mai, finché la vita avrà uno spiro di giovinezza.

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