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Spiri e sospiri

di Francesco De Luca

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Oggi pomeriggio, venerdì, ho assistito alla partenza del postale. Ho avvertito evidente le contrastanti espressioni dei volti, di chi partiva e di chi restava. E’ un contrasto che non ho mai vissuto in prima persona. L’allontanamento da Ponza mi provocava un magone, e, quando avveniva in concomitanza col giorno festivo antivedevo il vuoto che avrei provato allorché, nel giorno della festività, sarei stato privato dall’unico motivo per cui la lontananza da Ponza avesse senso: l’attività professionale. Era l’impegno lavorativo la circostanza che mi rendeva fluido il trascorrere il tempo distante dall’abbraccio del porto, in perenne borbottìo col mare.

Questi rapidi ricordi mi hanno impegnato un pochino, e poi i volti dei giovani che andavano verso la biglietteria si sono imposti per un che di liberatorio che mostravano. Insieme all’allegria. Erano probabilmente militari che lasciavano l’isola per il riposo settimanale, erano insegnanti, erano giovani. Tutti attratti da un diversivo qualunque rispetto alla routine isolana.

Intorno facevano da cornice paesani dai volti non curati e privi di attese.

L’isola, come ogni microcosmo isolato, è avvoltolato in una rete di continuità ripetitiva. Nemmeno il levante, che sta inspessendosi, preoccupa. E’ tutto scritto nella normalità. Essa è refrattaria all’emozione intrattenibile, alle manifestazioni viscerali. Se menano i parracine ma gli schemi mentali rimangono inossidabili. Divengono pregiudizi, ed essi non possono non essere murati che nell’individualismo, nell’egoismo, nel familismo. Il pregiudizio è tale perché chiuso, ’mpurtellato nella propria prospettiva.

Ne sono privi soltanto i giovani. Quelli che non hanno preso il traghetto sanno bene come trascorrere il fine settimana. Qualcuna stringeva affettuosamente il braccio del giovane affianco. I loro sguardi ardevano d’intesa. Una anziana signora, cui dava sicurezza l’appoggio della nipote, ha alzato il mento, ha valutato il correre dei nuvoloni nell’arco del cielo e ha sorriso soddisfatta. Già pregustando che domani il tempo impedirà alle navi di venire perché il vento e il mare hanno deciso di dominare la scena.

L’umanità isolana corre su binari che gli anni hanno tracciato, e che soltanto l’ignoranza di cui si vestono i politici ha tentato di cancellare. Quando la politica non sa fare altro che coniugare tracotanza ed economia l’umanità dei piccoli gruppi sociali come quello ponzese deve temere la sua integrità.

Questo paese ha edificato la sua identità sociale (e culturale) a dispetto dei politicanti, chiusi ai richiami storici. Hanno cavalcato la modernità. L’hanno inseguita nelle occasioni economiche, negli affari, nelle cordate partitiche. Hanno privilegiato il potere a dispetto delle richieste della gente. Il potere in quanto giovamento del proprio patrimonio.
E l’isola, come fa ogni nicchia all’interno di un ecosistema ostile, aguzza le sue strategie di difesa e coltiva le sue particolarità.

Il pescatore aggiunge una cima a quelle d’ormeggio, la donna ritira i panni che il vento tormenta, il pettirosso, sul pianerottolo, becca guardingo e fugge.
Questo scoglio gode della sua natura che lo esalta, e della sua cultura che lo vivifica.

 

Nota: le immagini inserite nell’articolo, scelte dalla Redazione, sono opere  di Vladimir Kus, pittore e scultore surrealista russo