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Un ritratto di nonna Restituta

di Giuseppe Romano
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Della famiglia Romano ‘i vasci’u Camp’ a Le Forna, abbiamo più volte scritto sul sito: il 27 marzo 2011, per l’anniversario dei 50 anni [2] della tragedia del mv. Bartolo Rosaria (di Gino Usai); e nel marzo 2017, ad opera di Giuseppe Romano – avvocato ora in pensione, omonimo e nipote del capitano di quel bastimento -, con la storia circostanziata di quel misterioso affondamento.
Ritorna Giuseppe sul passato, delineando stavolta un ritratto della nonna Restituta, per tutti ‘a zi’ Restetuta; anche per Sandro Russo, redattore di questo sito, in quanto Restituta era moglie di Agostino (‘u zi’ Austeniell’), fratello di Natalina Romano coniugata con Ciccillo Zecca, rispettivamente nonna e nonno.

[3]Nonna Restituta e nonno Agostino con i nipoti Pompea e Agostino; il terzo fratello Antonio non compare nella foto

Restituta Romano, nata a Ponza, nella frazione Sotto Campo Inglese, il 23 novembre del 1883, era la mia nonna materna che, quando nel 1937 venni alla luce, era ancora giovane, aveva 54 anni. Il suo nome non derivava dall’onomastica ponzese, ma da quella ischitana. Santa Restituta è venerata come patrona dell’isola d’Ischia.

Conservo ancora vivi nella mente i ricordi di nonna Restituta, nonostante il lungo tempo trascorso dalla sua morte, avvenuta nel 1967. A lei ero legato da un sincero e profondo affetto per aver vissuto nella sua famiglia ben undici anni e cioè fino a quando mio padre, nel 1948, per motivi di lavoro, si trasferì da Ponza all’Isola d’Elba. Ma i contatti con la nonna non cessarono, considerati i frequenti e non fugaci ritorni a Ponza che mi consentirono di conoscere sempre di più la sua non comune indole, sempre ben disposta verso il prossimo, i suoi principi che ispiravano tutte le proprie azioni e la propria vita di relazione.
Potrei sintetizzare tali principi nei seguenti assiomi:
non odiare mai nessuno e se qualcuno ti ha fatto una cattiva azione cerca di perdonarlo oppure dimenticalo, se persiste nel comportarsi male;
essere sempre ben disposto verso gli altri e aiutare non solo le persone della propria famiglia, ma anche gli estranei, compatibilmente con proprie risorse economiche e senza sacrificare i propri famigliari;
non essere mai invidioso dei successi e dei progressi degli altri, ma cerca eventualmente di imitarli.

Tali direttive di vita la nonna non le aveva di certo apprese dai libri di scuola. Tali principi erano innati, come innato in lei era uno spiccato senso per il commercio. Non so se avesse frequentato il normale corso delle elementari. La scuola era cosa rara per quei tempi e per quei luoghi (Le Forna). Sapeva, comunque, appena leggere e scrivere a modo suo.

Sembrerebbe che le due cose (principi morali e commercio) non si conciliassero nella stessa persona, ma così sicuramente non era per Restituta, perché, carica di umanità, riusciva a contemperare e ben coniugare principi morali con le attività del commercio. Eclatante esempio di come si possa essere sempre corretti, anche quando si è dediti al commercio! Non era una donna di chiesa, come tante altre della sua età. Si limitava ad andare a sentire la messa in particolari ricorrenze.

All’apparenza, Restituta sembrava una normale donna di campagna, come tante, ma, frequentandola, ti rendevi subito conto che era una persona che attraeva, prima con quei suoi occhi neri penetranti, poi con la parola, sempre accompagnata dai gesti delle mani e del capo. Era d’altezza che potrei dire normale per quei tempi, corporatura robusta, leggermente curvata in avanti, scura di carnagione, con un viso pieno di rughe, segnato dal sole e dalle fatiche della campagna, però sempre sorridente, i capelli usualmente avvolti in un grosso fazzoletto a colori tenui, legato dietro la nuca. Indossava vesti e scarpe o sandali usuali che le consentivano di portarli anche quando, quotidianamente, si recava nei terrazzamenti, contigui alla casa, per coltivare e/o cogliere i frutti dell’orto. Se non fosse stato per il corpo più robusto, si sarebbe potuto dire che assomigliasse a Santa Teresa di Calcutta, soprattutto per gli occhi, il viso rugoso e l’abbigliamento.

Sullo sfondo di Palmarola e dei faraglioni di Lucia Rosa, la vedevi quasi sempre entrare oppure uscire dall’orto con un grembiule piegato sulla pancia, a mo’ di marsupio, nel quale solitamente riponeva qualche pomodoro, un paio di cetrioli, qualche peperone ed altri prodotti per il fabbisogno giornaliero.

Era nata in una famiglia numerosa: Sette fratelli e quattro sorelle. Un fratello morì nella guerra del 15’ – ’18 (Giovacchino, mentovato anche nel monumento ai Caduti, davanti al Comune di Ponza), una sorella emigrò in America (ma oggi è sepolta a Ponza), mentre tutti gli altri, salvo Aniello, che andò a vivere in località Giancos, si stabilirono Sotto Campo Inglese, a tiro di schioppo dalla sua casa. Ciascuno dei fratelli e delle sorelle aveva mediamente cinque/sei figli. Si formò così un nutrito gruppo di parenti e nipoti (la contrada dei Romano) i quali avevano come punto di riferimento la “Zi’ Restituta”, appellativo che, con l’andar del tempo, passò sulla bocca di tutti, anche di chi nipote non era, in segno di rispetto e di affetto.

Sposatasi con nonno Agostino (che era più volte emigrato in America) nei primi del 1900, Zi’ Restituta mostrò subito la sua attitudine al commercio. Fece mentalmente una sommaria ricerca di mercato e osservò che tutti gli abitanti di Sotto Campo Inglese (i Romano, i Feola, i Rivieccio, i De Martino, i Curcio ed altri) per comprare tutto quello che non riuscivano a procurarsi autonomamente coltivando il terreno e/o pescando, dovevano recarsi al Porto di Ponza per acquistarlo, percorrendo a piedi (e per giunta gravati da pesi) circa dieci chilometri, tra l’andata e ritorno, attraverso impervi sentieri. Quindi, non sarebbe stato meglio per loro comprare quei generi di cui avevano necessità presso l’abitazione della giovane sposa Restituta?

Ottenute dalle competenti Autorità le prescritte licenze di commercio, le Zi’ Restituta destinò una stanza (quella centrale) della sua abitazione a negozio (la chiamavano “la bottega”) nel quale si vendeva un po’ di tutto (un piccolo emporio) merci che andavano dai generi alimentari alle stoffe, alle maglie di lana, al carbone ed al petrolio, articolo quest’ultimo molto venduto perché, all’epoca, alle Forna ci si illuminava con il lume a petrolio.

Nel giro di pochi anni nacque un fiorente commercio a casa di Zi’ Restituta. Potevano accedere “alla bottega” anche quelle famiglie (purtroppo non erano poche) che al momento, soprattutto nei mesi invernali, non avevano alcuna liquidità. Per queste famiglie l’importo di ogni prodotto acquistato e non pagato veniva segnato in un quaderno in duplice copia (una copia era destinata al debitore o alla debitrice) e successivamente cancellato, dopo qualche mese, quando i mariti, ritornati a fine campagna pesca dalla Sardegna, con i soldi guadagnati saldavano il conto. Ovviamente, senza interessi, parola questa che la Zi’ Restituta nemmeno voleva sentir mentovare. Non mancava che qualche famiglia non onorasse la propria obbligazione, ma la Restituta non si agitava minimamente, anzi alzava le spalle e diceva: “Speriamo che la prossima stagione sia migliore!”.

L’attività commerciale si sviluppò ad un ritmo frenetico e Restituta divenne popolare non solo nella frazione delle Forna, ma anche al Porto dove acquistava le merci dai grossisti e addirittura a Napoli e Gaeta dove pure si rivolgeva, per i prezzi più convenienti, scavalcando i grossisti del Porto.
Ricordo che la nonna aveva contatti addirittura con la ditta (oggi di fama mondiale) “Ermenegildo Zegna” di Genova presso la quale acquistava bellissimi maglioni di lana blu che gli uomini indossavano solitamente nei giorni festivi.

Allo sviluppo dell’attività contribuirono le sue due figlie, Ferminia e Allegrina, vere e proprie commesse addette alla “bottega.” Il lavoro delle figlie consentiva a Restituta di potersi dedicare all’orto (la sua grande passione) e alla cura degli animali da cortile (polli, galline, conigli) dei quali spesso faceva omaggio a parenti ed amici.
Il marito Agostino, soprannominato “Pastore”, invece, si dedicava completamente ai vigneti e alla produzione del vino. In casa, comunque, vigeva un perfetto ed illuminato regime matriarcale.

Ma non si limitò alla sola attività del negozio, perché una volta avviatolo, la Zi’ Restituta destinò la stanza contigua, denominata “la cantina”, alla vendita dei vini e liquori, nonché al giuoco delle carte, praticato durante i giorni festivi.
Il vino veniva venduto sfuso, a litri, ed era smerciato sia quello di produzione propria (derivato dai vigneti di Capo Bosco, La Parata e Sotto Campo Inglese) sia quello prodotto in altre zone dell’isola, come quella del Fieno, dei Conti, di Frontone e di altre.

Le famiglie che non avevano liquidità potevano acquistare il vino sfuso per il pranzo o la cena col sistema di segnarlo nel quaderno della spesa. Non era, però, consentito alcun pagamento dilazionato agli avventori (anche se parenti) che consumavano vini e liquori giocando a carte. Zi’ Restituta considerava del tutto voluttuaria simile spesa e per tale motivo pretendeva che venisse subito pagata.

Tutta la merce destinata al negozio e il vino, messo in barili, erano trasportati a dorso d’asino o di mulo e spesso capitava di vedere carovane di bestie da soma nel tratto di strada sterrata che fiancheggia il cortile bianco della casa, in attesa di scaricare. Era uno spettacolo a vedere tutti quelli animali in fila e un divertimento per noi bambini.

Durante la guerra e nell’appena dopo guerra Ponza attraversò giorni veramente difficili. Mancavano i viveri per la sopravvivenza, la gente moriva letteralmente di fame e fu proprio in quel periodo che la Zi’ Restituta fece conoscere il suo grande cuore verso chi si trovava nella più squallida miseria.
La vedevi spesso aggirarsi nella “bottega” con in mano occasionali e rudimentali borse nelle quali metteva pacchi di pasta, di farina, di legumi e di pane e ne faceva dono a molte mamme per sfamare i loro numerosi figli. A volte, a tali generi alimentari aggiungeva anche qualche verdura colta nell’orto.

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In quel tempo per far fronte alla fame spesso si verificavano furti di pecore, perpetrati durante la notte. Una pecora poteva sfamare una famiglia per almeno una diecina di giorni.
Ricordo che una mattina d’inverno, poco prima dell’alba, fuori di casa nostra, nella strada davanti al cortile, si sentirono voci alte e concitate. Aperta la finestra, si presentò la disgustosa scena di un uomo legato alla vita con una grossa corda i cui capi erano tenuti stretti da altri due uomini, uno davanti e l’altro di dietro, alle spalle di quel poveretto legato. Alla vita di quest’ultimo era pure legata una pecora, prova del furto e corpo del reato. La nonna uscì fuori nel cortile, riconobbe subito i tre. Due, quelli che tenevano ferma la corda, erano addirittura suoi parenti. Si rivolse a questi quasi gridando: “Cosa fate?!”.
Le risposero che portavano quel ladro dai Carabinieri. Era stato preso mentre portava via la pecora, dopo aver forzato la porta della grotta nella quale era tenuta insieme ad altre.
La nonna allora con voce suadente pregò caldamente i suoi parenti di liberare il malcapitato, dicendo: “Ma non pensate che questo individuo (ne pronunciò il nome) ha la moglie con cinque figli che stanno morendo di fame! Cosa credete di ottenere, andando dai Carabinieri? Liberatelo subito!”
I due si convinsero, sciolsero quel poveretto, lo liberarono e riportarono la loro pecora nella grotta. Il giorno dopo la moglie venne alla “bottega” per ringraziare Zi’ Restituta e, dopo aver compiuto tale doveroso gesto, ritornò a casa con una borsa stracolma di alimenti (pasta, farina, legumi, qualche filo di pane e qualche mazzo di verdura dell’orto), il tutto omaggio della nonna.

Finita la carestia, la vita Sotto Campo Inglese cominciò ad essere più normale, la pesca fu riattivata, gli uomini trovavano una qualche occupazione, soprattutto in mare, ma anche nei lavori a terra, i soldi cominciarono a girare e, finalmente, l’attività commerciale (“bottega” e “cantina”) divenne sufficientemente lucrativa.
Ne conseguì un maggior successo della personalità della Zi’ Restituta nella considerazione delle persone che la conoscevano, ma la stessa, come si suole dire, non si montò la testa. Si sentiva soddisfatta di aver raggiunto quel risultato, ma continuò a vivere, come aveva sempre fatto in passato, non venendo mai meno ai suoi principi morali.
I fratelli la stimavano molto e spesso a lei confidavano le loro preoccupazioni, ricevendo sempre consigli e soluzioni appropriate. Ricordo che la domenica mattina, prima di recarsi alla messa, si fermavano sempre tutti, a volte a turno, dalla sorella Restituta (la sua casa era sulla strada per la chiesa) e questa offriva loro un bicchierino di liquore oppure il caffè corretto con l’anice. Era diventato un rito!

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Poi, col passar degli anni sopraggiunse la vecchiaia, resa quanto mai triste dalla scomparsa, ancora in giovane età, dell’unico figlio maschio, Giuseppe Romano, comandante del bastimento “Bartolo Rosaria”, naufragato In circostanze misteriose, nelle acque di Palmarola, nel periodo della Pasqua del 1961 (leggi qui [6] e qui [7]) – NdR). Il figlio Giuseppe morì in quel naufragio insieme al genero Angelo Mazzella (aveva sposato la figlia Allegrina), al nipote Biagino Spigno e ad altre due persone di equipaggio.

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Il motoveliero Bartolo Rosaria al varo; sotto il capitano Giuseppe Romano e il matrimonio di Allegrina con Angelo Mazzella

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Questa tragedia sicuramente accorciò la vita di Zi’ Restituta che cessò subito l’attività della “cantina” e lasciò alla figlia Allegrina, detta “Lerìa”, quella della “bottega”.
Morì circa sei anni dopo quella sciagura, esattamente l’11 aprile del 1967. La “bottega” rimase in attività ancora per qualche anno, perché anche Lerìa, colpita da un male inguaribile, morì nell’anno 1974.

Di quelle attività commerciali è rimasto solo il ricordo, rinvigorito dal ritrovamento di qualche polveroso quaderno della spesa, rinvenuto nei cassetti di un vecchio mobile.

A coloro che, invece, hanno realmente conosciuto la nonna Restituta, passando sulla strada, davanti a quel treno di cupole bianche, balza alla memoria una donna umile, ma piena di energia e, soprattutto, carica di umanità.

Un nipote
Giuseppe Romano

Immagine di copertina: il gruppo di case ‘i vasci’u camp che furono di proprietà della famiglia Romano