Ambrosino Vincenzo

31 ottobre: 94^ Giornata del risparmio

di Vincenzo Ambrosino

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C’era una volta tanti anni fa  uno Stato, una Banca che coniava moneta, c’era un Ministro del Tesoro, c’erano dei risparmiatori.

Fino agli anni ’80 il debito pubblico italiano era “spalmato” fra gli italiani attraverso i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) e i CCT (Certificati di Credito del Tesoro) – NdR.

Gli italiani risparmiavano perché “del domani non c’è certezza”, e quel sistema garantiva a tutti i risparmiatori italiani di mantenere inalterato il proprio risparmio e dava a tutti una paghetta per fare delle spese ordinarie.

Dopo gli anni ’80 il debito pubblico italiano si è internazionalizzato. Cioè adesso pochi sono i BOT e CCT  circa il 10% – che tra l’altro, non fanno più al caso dei risparmiatori italiani perché hanno un rendimento negativo – il resto sono BTP (Buoni del Tesoro Poliennali – NdR). 

A comprare i BTP sono investitori istituzionali per la maggior parte stranieri (Goldman Sachs, Citibank, Morgan Stanley, JP Morgan, BNP Paribas) – nomi famosi e sinistri -; a tutti questi non interessa il risparmio, cioè conservare il capitale, ma farlo fruttare. Infatti questi BTP possono avere anche scadenze molto lunghe – anche 30 anni – ma per questi professionisti, abituati a comprare e vendere, vanno bene, perché il rischio è il loro mestiere.

Oggi noi cittadini ci dividiamo – in modo assolutamente ingenuo – in Europeisti e anti Europeisti, ma io dico che il problema non è questo. I trattati europei possono essere fastidiosi e vanno certamente ri-contrattati, ma questi contratti qualcuno di noi li ha sottoscritti in passato. Al contrario il condizionamento che arriva dai mercati finanziari non lo impone nessuna norma: è stata una scelta tecnica amministrativa che non abbiamo sottoscritto e da cui ci dovremmo liberare al più presto.
Con queste norme tecniche (spread, rating) tutte le operazione economiche e anche le politiche degli Stati vengono condizionate.

Al momento della scadenza dei titoli emessi, il tesoro non potendo certo coniare moneta per ripagarli, deve farsi prestare i soldi da qualcun altro, ma la sfiducia dei mercati finanziari, o creata ad arte, farà in modo che nessuno ti presterà il denaro.

Succede quindi che l’Italia e i suoi governi sono sotto ricatto dai mercati.
Tu Italia vuoi fare il reddito di cittadinanza? Impossibile: sale lo spread, le agenzie di rating ci dicono: “Tu Italia vuoi spendere troppo, noi abbassiamo la qualifica dei tuoi titoli” e questo non è un giudizio morale: è un’operazione tecnica catastrofica. Tutti i creditori che hanno in mano il nostro debito non solo non lo finanzieranno più ma addirittura saranno costretti a svendere i loro titoli. Se io Stato non ho più risorse, non ho possibilità di ripagare questi investitori; per cui arriva il rischio di default.

A questo punto l’Europa ha il “piano B”: ha pronta già la “manovra Salva Stato”, come è successo in Grecia!

Calano da Bruxelles, dicono a Conte e compagnia bella di togliersi di mezzo; ci prestano dei soldi di cui non possiamo più fare a meno e in cambio di questo prestito ci dicono: “Tu aumenti queste tasse, tagli queste spese, licenzi questi dipendenti pubblici, vendi questo patrimonio pubblico e privatizzi questi servizi”.

Cari risparmiatori italiani, abbiamo svenduto il nostro Stato ma non lo abbiamo messo solo nelle mani di una Europa di Stati sovrani che hanno fatto degli accordi… – che vanno riveduti con il tempo, e la pazienza! – ma l’abbiamo messo nelle mani di un potere finanziario che non ha a cuore i risparmi della gente bensì il profitto che cresce attraverso queste crisi finanziarie.
Ci sono tutta una serie di norme tecniche che sono sfuggite alla cattiva politica fatta in questi ultimi 20 anni che andrebbero cambiate dalla buona politica; ma questa tarda ancora ad arrivare.

Conclusione: lo Stato rinunciando a farsi prestare i soldi dai propri cittadini e mettendolo in mano ai mercanti finanziari si è messo “un cappio al collo”.

 

Appendice del 1° nov. 2018 di Sandro Russo (vedi anche in Commenti)

Vignetta di Ellekappa su la Repubblica di oggi (cliccare per ingrandire)

7 Comments

7 Comments

  1. Enzo Di Fazio

    31 Ottobre 2018 at 22:30

    Lo scritto di Vincenzo che tocca tantissimi argomenti (risparmio, debito pubblico, regole comunitarie, mercati finanziari, spread, rating, ecc.) merita un po’ d’ordine ed alcune considerazioni.
    Parto dalla conclusione che trovo approssimativa ed inesatta in quanto lo Stato non ha affatto rinunciato a “farsi prestare i soldi dai propri cittadini preferendo metterli nelle mani dei mercati finanziari” per il semplice fatto che i titoli di Stato (BOT, CCT, CTZ e BTP) che costituiscono nel loro ammontare il debito pubblico sono negoziati in un libero mercato cui possono accedere tutti: investitori istituzionali, banche, poste e assicurazioni ma anche risparmiatori privati.
    Piuttosto sono i risparmiatori privati ad essersi allontanati dai titoli di Stato per una serie di motivi, tra cui c’è essenzialmente la bassa remunerazione.
    Ancora oggi per effetto delle politiche accomodanti delle banche centrali (BCE (Banca Centrale Europea), Bank of Japan, Bank of England e fino allo scorso anno anche la FED (Federal Reserve) americana) che hanno inondato i mercati di liquidità per stimolare la ripresa economica, i tassi di remunerazione dei titoli di Stato a livello globale sono bassissimi o addirittura negativi. Anche le Poste Italiane, grandi serbatoi di risparmi, praticano tassi irrisori al punto da offrire a 10 anni ancora lo 0,50%. Tutto è cominciato nel 2008 con la crisi che, partita dagli Stati Uniti con il fallimento della Banca Lehman Brothers, ha interessato l’intero pianeta.
    Oggi del debito pubblico nostrano, che ammonta a 2327 miliardi di euro, solo il 6% è nelle mani dei risparmiatori italiani (nel 1988 era il 57% ed era l’epoca in cui i rendimenti erano altissimi anche per effetto dell’elevato tasso d’inflazione). Il resto è così distribuito: 27% nelle banche, il 19% nei fondi e assicurazioni, il 16% nella Banca d’Italia e il 32% nelle mani degli stranieri (dati a giugno 2018).
    Ed è soprattutto l’atteggiamento di questi ultimi, che stanno effettuando da mesi massicce vendite di titoli, a determinare il calo dei relativi corsi (il valore espresso in borsa) e, conseguentemente, l’aumento dello spread, il differenziale tra il rendimento del nostro BTP a 10 anni e l’analogo titolo tedesco (il bund) preso come parametro di riferimento.
    Le vendite non sono manovrate da nessuno, sono semplicemente dettate dalla paura o meglio dalla decisione di liberarsi di titoli la cui affidabilità va incrinandosi per effetto del deterioramento di alcuni parametri (eccessivo debito, rapporto debito PIL in continua ascesa, crescita stagnante, prospettive negative per stallo delle riforme necessarie, giudizio delle agenzie di rating, ecc.).
    Mentre le banche, le poste e le assicurazioni tra i primi acquirenti dei titoli di Stato non hanno interesse a venderli e possono attendere le relative scadenze, gli investitori istituzionali stranieri si comportano come meglio credono in quanto spinti dalle valutazioni più opportune che ritengono fare e hanno un mercato globale di riferimento dove poter attingere.
    E’ vero c’è anche la speculazione, ma questa interviene soprattutto quando ci sono le incertezze andando a puntare sulle possibili conseguenze.
    Un debito pubblico come il nostro è un macigno e l’esigenza di dover trovare continuamente degli investitori disposti a sottoscrivere le tranches che di volta in volta vengono a scadere è un problema da tenere sempre presente come è da tenere sempre presente il relativo tasso (influenzato dal famoso spread) a cui quelle tranches si rinnovano perchè gli interessi si traducono in un ampliamento del debito e più sono alti gli interessi più quel debito cresce. Un debitore per ottenere credito deve essere affidabile. In banca si dice che deve avere merito creditizio.
    Cosa preoccupa ancora l’investitore in generale e quello straniero in particolare in questo momento?
    La circostanza che, a partire da gennaio 2019, la BCE non acquisterà più, secondo i programmi del Quantitative Easing (lo strumento non convenzionale di politica monetaria espansiva) i nostri titoli (come quelli degli altri paesi dell’area euro) e, di conseguenza, verrà meno un acquirente che ha sostenuto finora, e sosterrà fino a dicembre, la domanda contribuendo a mantenere bassi i tassi di interesse.
    E’ eccessivo se il mercato si preoccupa di queste cose? E’ eccessivo se la Commissione Europea, quantunque mossa da regole discutibili e da rivedere, vuol sapere come vengono coperte alcune spese che vanno ad incidere direttamente sul debito?
    Altri Stati si sono trovati nella nostra stessa situazione, cioè hanno chiesto uno sforamento, oltre i limiti consentiti, del deficit, ma nessuno ha un debito pubblico come il nostro (il secondo al mondo) che è il 130% del PIL. Tante le responsabilità che sono dietro la crescita di questo debito: quelle dei governi passati, la mancanza di investimenti rivolti a migliorare la competitività del paese, la mancanza di provvedimenti incisivi sulla corruzione e sull’evasione, l’assenza di riforme atte a migliorare la giustizia e semplificare la pubblica amministrazione, tutte cose che non vedo nemmeno nell’attuale programma di governo. Come poi quel debito sia così cresciuto è altra storia di cui potremo parlare a parte.

  2. Sandro Russo

    1 Novembre 2018 at 10:21

    Molto pertinente la vignetta di Ellekappa su ‘la Repubblica’ di oggi. Non a caso il vice-premier di maggior peso va spesso dicendo (e gli fa eco l’altro vice-premier) che siccome questa è la manovra del popolo se c’è bisogno di aiuto il popolo aiuterà; quel popolo il cui risparmio finanziario (certamente non equamente distribuito) ammonta a oltre 4200 miliardi (quasi due volte il debito pubblico). Senza contare la ricchezza immobiliare che arriva a 6000 miliardi.

    La satira è una benedizione! …una palestra per le intelligenze libere!
    La vignetta è in calce all’articolo di base.

  3. vincenzo

    1 Novembre 2018 at 13:57

    Caro Enzo scusami ma ti vedo legato troppo a questo sistema per cui standoci all’interno difficilmente riuscirai a vederne i difetti. Tu credi alla favola della “formica e della cicala”.

    Caro Sandro: prima di questo governo ce ne sono stati altri, più o meno tecnici al servizio di questo sistema: c’è stato attacco frontale a diritti e servizi, si è privatizzato quasi tutto e il debito pubblico è cresciuto. Questi ultimi arrivati stanno provando a parlare un linguaggio diverso.

    Per quanto riguarda il risparmio degli italiani la domanda è questa: perché dobbiamo chiedere i soldi all’estero quando possiamo chiederlo agli italiani che hanno dei risparmi e che vogliono farlo fruttare senza rischi come si faceva una volta?

  4. Enzo Di Fazio

    1 Novembre 2018 at 19:28

    Caro Vincenzo è da tempo che non credo più alle favole.
    Non me lo consente la complessità di questo mondo. Ma non credo nemmeno alle tante narrazioni di cambiamento sganciate dalla realtà.
    Quando tratto di problemi economico-finanziari sono abituato a farlo analizzando dati, numeri e accadimenti storici. Le chiacchiere se le porta il vento.
    Certo che sono legato al sistema in cui vivo ove cerco di muovermi rispettando le regole e il prossimo. In questo sistema ci sono cose che funzionano e cose che non vanno ma è comunque quel sistema che ha consentito ad un imprenditore come Brunello Cucinelli (un moderno Adriano Olivetti) di realizzare il suo progetto per la bellezza, il suo tributo alla dignità dell’uomo, la ristrutturazione del borgo medioevale di Solomeo (in provincia di Perugia) ove si lavora cashemere pregiato tra antiche volte e scorci pittoreschi, il racconto di una vocazione tradotta in realtà (invito il lettore a consultare il sito http://www.solomeo.it/it/)
    Perché cito Cucinelli? Perché è l’esempio (come tanti) di quell’Italia virtuosa che c’è, nonostante tutto, che non evade, non vive di condoni e assistenzialismo, ma ama il proprio paese e crede nell’impegno imprenditoriale sul proprio territorio, nei valori dell’arte e in quelli umani.

    Qualche cenno all’ultima parte del tuo commento a proposito della possibilità di ricorrere al risparmio interno per finanziare il debito pubblico.
    A questa forma di intervento ci sta lavorando da tempo la Lega. Si tratta dei Certificati Individuali di Risparmio (i cosiddetti Cir), titoli di stato dotati di alcune agevolazioni fiscali da destinare esclusivamente ai risparmiatori residenti a condizione di essere detenuti fino alla scadenza pena la perdita dei benefici. Le agevolazioni potrebbero consistere nella detassazione dei rendimenti, vale a dire che gli interessi previsti non sarebbero assoggettati alla ritenuta del 12,50% (es. se la cedola annuale è del 3,50% e il titolo di 10.000,00 euro, gli interessi che si riscuoteranno saranno 350,00 euro e non 306,25 (350,00 meno il relativo 12,50% pari ad euro 43,75).
    Si parla di una ulteriore agevolazione: la possibilità di portare quanto investito in Cir in abbattimento del proprio reddito. Trattandosi di agevolazioni fiscali che incidono sulle entrate dello Stato si starebbe pensando di limitare a 3.000,00 euro annui la possibilità di sottoscrizione da parte di ogni singolo risparmiatore e a 15 miliardi il totale annuo complessivo.
    Quali i limiti di tale tipologia di investimento?
    Innanzitutto 15 miliardi rappresentano poca cosa rispetto ad una media di 200/400 miliardi in scadenza ogni anno, poi c’è un motivo squisitamente economico: ogni euro in più di risparmio privato destinato a finanziare il debito pubblico è un euro in meno destinabile all’investimento privato.
    Inoltre, da un punto di vista tecnico, trattandosi di strumenti finanziari legati alla persona che li sottoscrive, sarebbero difficilmente trasferibili e liquidabili.
    “Nazionalizzare” il risparmio degli italiani, cioè adoperarsi per contenerlo nei confini della “patria”, o porre dei vincoli alla libertà di destinazione dello stesso non sono mai fatti auspicabili. Evocano sempre le esperienze negative di antica memoria (non dimentichiamo i casi di risparmio forzoso e di conversione, tra il 1926 ed il 1934, di debito fluttuante in debito consolidato e di rendita redimibile in rendita irredimibile).

  5. vincenzo

    2 Novembre 2018 at 09:35

    La vediamo in modo molto diversa: io non mi fido dei grandi usurai internazionali e purtroppo il nostro sistema bancario si è adeguato al grande imbroglio che è il debito pubblico. C’è una logica liberista in questo grande imbroglio: hanno disinnescato la Costituzione, bloccando la democrazia e facendoci abituare con la loro propaganda ad essere colpevoli. Dopo il peccato originale che ereditiamo dalla nascita il nuovo Dio Liberista ci fa nascere con il peccato del debito pubblico.

    Ma facci caso: siamo da una parte peccatori per cui debitori per cui ci dicono che dobbiamo continuare a fare sacrifici tagliando lo Stato Sociale e dall’altra siamo redenti come consumatori perché dobbiamo continuare a comprare le loro merci. Contraddizione: siamo debitori ma dobbiamo continuare a consumare.
    Io dico basta farci prendere per la gola da questi strozzini.
    Se li lasciamo fare, questi si prenderanno anche gli ultimi risparmi delle formichine italiani.

    Il sogno liberista del lasciare fare al mercato “che in un modo o nell’altro creerà benessere per tutti” è finito. Ora i liberisti ci dicono: ” non c’è via d’uscita vi dovete ingoiare le nostre ricette noi non vi strozzeremo del tutto ma certamente dovete pagare il nostro lusso dandoci i vostri risparmi e rinunciando ai vostri diritti”.

    Ci hanno trasformati in tanti “Fracchia” e ci fanno credere di essere dei “Napoleoni”.

  6. Sandro Russo

    3 Novembre 2018 at 18:13

    Non ce la vedo l’Italia da sola, in tempi di mercato globale, mettere le macchine “indietro tutta” rispetto al corso della storia e tornare ad un’economia da “piccolo borgo antico”, con i soldi sotto il mattone o dentro al materasso! Siamo al solito millantato predominio dell’ideologia sul progresso e sulla scienza (la storia dei vaccini insegna!)
    Se i finanziamenti esteri hanno avuto così tanto successo, è perché davano vantaggi rilevanti.
    “Mercato libero” non è un modo di dire: è stata una “libera” scelta, la migliore per i tempi e per le persone che decidevano. I giudizi con il “senno di poi” sono un esercizio diffuso, ma “a vacante”; i vantaggi al momento li hanno avuti tutti: prestiti illimitati a tassi bassi, anche per il finanziamento di sovrastrutture e grandi opere di cui tutti si sono giovati (anche del ponte Morandi di Genova, che al tempo ne ha risolti di problemi!). Questo insieme ad una corruzione dilagante e trasversale..!

    Quanto ad attingere ai risparmi degli italiani, un’opzione che è allo studio e che spaventa, non è tanto la sottoscrizione di fondi “autarchici” (i CIR nominati da Enzo), ma un prelievo forzoso in forma di “patrimoniale“, sulle rendite e sulle proprietà.

  7. Enzo Di Giovanni

    3 Novembre 2018 at 21:49

    L’economia non sarà una scienza esatta, ma non è neanche un giochino da fare e disfare a piacimento. Uno degli effetti più deleteri del populismo imperante è quello di far credere che prima erano tutti delinquenti, ed adesso sono tutti onesti. E che l’onestà, ovviamente, per diritto divino, è in grado di compiere miracoli fino a modificare le leggi dell’economia, e prima o poi anche quelle fisiche. Del resto, populismo e complottismo si sposano a meraviglia e tra una scia chimica e l’altra delineano un futuro alternativo.
    Caro Vincenzo, tu dici che “i nuovi arrivati” parlano un linguaggio diverso, ma qua non è un problema di linguaggi. I soldi non si chiedono: i soldi vanno dove c’è convenienza e fiducia. Chiederli agli italiani è perfettamente inutile, per la scarsa o inesistente redditività dei titoli di stato, ma pure perché soldi non ce ne sono più… Se non siamo ancora al default stile Grecia, mi sembra sia dovuto unicamente al fatto che abbiamo una ricchezza patrimoniale, ma non liquidità.
    Ed il debito pubblico, di cui lo spread è un termometro, non è una chiacchiera dei tecnocratici europei, o una idea di Soros che vuole “africanizzare” l’Italia, altra sciocchezza di questi anni, ma è la nostra capacità di essere solventi. Che in Italia, come tutti sappiamo è molto bassa.
    Quali sono le risposte che stiamo dando? Un indebitamento ulteriore per finanziare il reddito di cittadinanza, su cui non c’è copertura sufficiente e che riguarderà una piccola parte di chi non ha reddito e proprietà dichiarate, e che spingerà ovviamente ad incentivare il lavoro nero e l’evasione fiscale perché a quelli che riceveranno l’obolo conviene non lavorare ufficialmente per non perderlo, e a quelli che dovranno assumere non dichiarare l’assunzione.
    Praticamente ci stiamo indebitando oltre ogni limite per una strumentale forma di assistenzialismo: siamo tornati, col linguaggio “nuovo”, indietro di 25 anni.
    Ancora più indietro stiamo andando con alcuni provvedimenti ai limiti del grottesco come dare terra da coltivare a chi fa il terzo figlio. Manca solo oro alla Patria ed il salto con doppio avvitamento all’indietro è compiuto.
    E stiamo a chiederci perché gli investitori non hanno fiducia in noi…

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