Ambiente e Natura

A caccia con armi da guerra

segnalato da Sandro Russo

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Indipendentemente dal nostro parere sulla caccia – siamo contrari, ma questo è di importanza minore – segnaliamo questo documentato articolo da la Repubblica di ieri, perché di interesse per cacciatori e non.

 

I cecchini a caccia
di Gianluca Di Feo

Appello al ministro Costa

Il ministro Sergio Costa ha dedicato tutta la sua vita alla difesa dell’ambiente e non sorprende che ieri abbia chiesto con un’intervista al Corriere della Sera di sospendere la caccia almeno la domenica. Ma come ufficiale, prima del Corpo forestale e poi dei carabinieri, dovrebbe avere chiaro un altro problema: l’aumento della potenza delle armi che hanno sostituito le tradizionali doppiette.

Mentre da decenni si discute di abolire l’attività venatoria, con dibattiti sterminati sulle limitazioni e i permessi, l’arsenale dei cacciatori è cambiato, diventando più letale. Quasi ovunque le vecchie cartucce sono state sostituite da proiettili nati per la guerra e usati con disinvoltura per sparare ai cinghiali.
La pallottola che domenica scorsa ha ucciso il diciottenne Nathan Labolani si chiama 300 Winchester: venne progettata durante il primo conflitto mondiale per la fanteria statunitense ed è stata usata dai soldati occidentali fino agli anni Settanta, dalle trincee della Francia alle risaie del Vietnam. Chiunque abbia fatto il servizio di leva la ricorda nei caricatori dell’onnipresente fucile Garand.
Ma nelle battute ai cinghiali si impiega sempre più spesso il calibro 308, ossia la micidiale pallottola 7,62 della Nato: ha una potenza e una portata giudicate eccessive persino dall’Alleanza atlantica, che negli ultimi vent’anni l’ha rimpiazzata con una munizione più piccola.

Ogni weekend nelle campagne senza recinzione di tutta Italia, dove possono esserci escursionisti o cercatori di funghi, scendono in campo squadre sempre più bellicose, che imbracciano volentieri armi semiautomatiche con canna rigata e caricatori da cinque colpi. Sono le stesse dei cecchini di Sarajevo o di Aleppo. E non è raro trovare chi va a caccia con il Dragunov, la variante da sniper del Kalashnikov convertita dai combattimenti urbani alle battute al cinghiale.
Tutto legale, tutto permesso dalla legge. Una proliferazione di strumenti di morte che con le nuove normative appena approvate dal Parlamento rischia di aumentare in numero e pericolosità, grazie ai minori controlli sugli acquisti di munizioni.
Gli appassionati di tiro sostengono che non sono le armi ad essere pericolose ma le persone che schiacciano il grilletto. E con la deregulation dell’Italia a mano amata benedetta dalla Lega di Matteo Salvini questa affermazione rischia di trovare drammatiche conferme.
È indubbio che il tragico bilancio registrato nel nostro Paese, con 22 morti per incidenti in soli cinque mesi della scorsa stagione venatoria, dipenda pure dalla diffusione delle super-carabine: ogni errore può uccidere e un proiettile che manca la preda mantiene la sua letalità pure a 600 metri.

I primi a criticare questa corsa agli armamenti sono proprio i cacciatori vecchio stile, contrari alle pallottole che letteralmente squartano gli animali anche a grande distanza: fucili che un tempo erano riservati alla caccia grossa, ai crudeli safari in terra d’Africa, e che adesso sparano nei rari boschi della Maremma e della Liguria.

Ministro Costa, lei che conosce le armi, sensibilizzi governo e Parlamento su questo problema. O l’elenco delle vittime della domenica continuerà ad allungarsi.

[Da la Repubblica del 2 ottobre 2018]

Immagine di copertina: vignetta di Giuliano Rossetti

 

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