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Storie di madri (23). Serve a noi  avere cura di un altro

segnalato dalla Redazione

 

Per la nostra serie “Storie di madri” [cerca nel sito con queste ‘parole chiave’) un’altra testimonianza da una lettera a Concita De Gregorio pubblicata da la Repubblica

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Laura con sua madre Maria il giorno del suo primo compleanno

 

Serve a noi  avere cura di un altro
Grazie a Laura Lombardo, 40 anni, Palermo

“Qualche giorno fa ho letto il libro della scrittrice francese Annie Ernaux, ‘Una donna’. In questo romanzo autobiografico, l’autrice parla di sua madre. Inizia a scriverlo il giorno stesso in cui sua madre muore. Mi appassionano da sempre i libri che raccontano i rapporti personali, gli affetti intimi, familiari, con i padri, le madri, ma che riescono da questo piccolo punto privato a far luce a tanti lettori che si riconoscono, che trovano spunto nella loro vita quotidiana”.

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“Quello che lei tenta di fare è cercare di riportare il ricordo di sua madre dagli anni dell’infanzia, rimanendo fedele a un’immagine altra di lei che non sia quella che prepotentemente resta nella sua memoria, e cioè di una madre anziana, malata, debole, bisognosa di attenzione, di cura.
Mia madre è una donna anziana, 83 anni compiuti ad agosto, una donna che giorno dopo giorno diventa un po’ più debole, più esposta alla vita, meno riparata. Mia madre è una ex-donna forte, che in gioventù, o almeno prima della vecchiaia, ha sempre combattuto, che ha sempre donato la sua energia, dispensatrice di protezione per chi ne avesse avuto bisogno, di sorrisi; una mamma e una donna con le braccia aperte, per noi figli, per chiunque”.

“Il mio rapporto con lei è cambiato con il tempo, come spesso cambiano i rapporti genitori-figli, in base all’età che si vive. E’ come se il ricordo di quella donna forte appartenesse a qualcun altro, qualcuno che non sia mia madre, quella di oggi, la stessa che adesso chiede attenzione e cura, dopo una vita di sacrifici. E tutto, adesso, per me ruota attorno alla parola Cura”.

“C’è un tempo per dare e uno per ricevere, e i nostri genitori anziani chiedono questo, in un periodo della loro vita fragile, pieno di incertezze (rispetto a un’idea di futuro, penso che non ci sia momento della vita più incerto della vecchiaia); chiedono spesso attenzione, ascolto. Noi figli di contro viviamo nella fretta, nel tempo pieno di incontri, impegni, lavoro, preoccupazioni e molte volte pensiamo che questo sia un problema secondario. Io invece penso che sia un problema principale, penso che dovremmo rallentare e inserire nella nostra lista delle cose da fare la cura e l’ascolto e non viverlo come un sacrificio, ma come un tempo di resa, di dono, di riconoscenza per quello che abbiamo ricevuto”.

“Annie Ernaux nel libro scrive ad un certo punto di sua madre, già malata ed anziana: ‘Avevo bisogno di nutrirla, toccarla, ascoltarla’. E ancora: ‘Io guardavo le sue spalle nude, il corpo che vedevo per la prima volta abbandonato, nel dolore. Mi è sembrato di trovarmi davanti alla ragazza che mi aveva partorito, con difficoltà, in una notte di guerra’. Non penso sia facile, soprattutto quando si affrontano malattie invalidanti, ma penso che ci si debba provare, penso che sia un corso naturale dei legami, quando ci sono stati, quando ci hanno dato tanto”.

“Al tempo inarrestabile che passa sarebbe bello rispondere con la cura, con l’ascolto, con la presenza. Servirebbe penso anche a noi, alle nostre generazioni, ai giovani, a noi futuri anziani. Oggi servirebbe a tutti quanti fare più attenzione, avere più cura”.

 

[Da la Repubblica di domenica 30 settembre 2018 – Dalla rubrica Invece Concita]