Ambiente e Natura

Tre Bicchieri. Parla Luciana Migliaccio delle Antiche Cantine Migliaccio

da “Il Gambero Rosso” a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli,  l’intervista a Luciana Sabina dopo l’attribuzione del premio dei “Tre Bicchieri 2019” al Fieno di Ponza bianco ’17

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Le vigne sono su terrazzamenti che si spingono fino al mare, dove il sole è battente e le giornate caldissime. Qui nasce il Fieno di Ponza Bianco, Tre Bicchieri nella guida Vini d’Italia 2019.

Abbandonate l’immagine della Ponza più turistica e vacanziera. Quella balneare, rumorosa e caotica. In quest’angolo di isola tutto questo non è che un riverbero lontano, perché a Punta Fieno c’è una riserva incontaminata di quiete e bellezza.
Difficile raggiungerla: oltre mezz’ora a piedi su una mulattiera o via mare, approfittando di scomodi passaggi sugli scogli. Non si concede certo facilmente.
E questa ritrosia l’ha preservata negli anni tutelandone la bellezza incontaminata. Quelle terre aspre e bellissime che si spingono fino al mare. Terre perfette per la vite e il vino, dove nei secoli – e sin dai tempi dei romani – la vigna ha saputo prosperare fruttiferando.
È proprio qui che Emanuele Vittorio Migliaccio ha le sue vigne, quelle assegnate alla sua famiglia nel ‘700 da Carlo di Borbone. Terre difficili da lavorare, dove loro – i Migliaccio – hanno piantato vitigni campani: il biancolella, aglianico e piedirosso, per esempio.
Oggi sono Emanuele Vittorio e sua moglie Luciana a portare avanti la tradizione della famiglia Migliaccio, quella che usciva all’alba per coltivare i vigneti, gli stessi che ancora oggi sono delle Antiche Cantine Migliaccio, e che oggi danno vita a grandi vini. Per farli hanno chiamato Vincenzo Mercurio, enologo e wine maker, l’uomo dei Fiano e di tanti altri vini.

Come mai nel 2000 avete iniziato a occuparvi di vitivinicoltura?

La spinta è tutta sentimentale: i vigneti sono di proprietà della famiglia di mio marito dal ‘700, quando Carlo I di Borbone divise l’isola assegnando le terre ai coloni campani. Da Ischia arrivò Pietro Migliaccio che portò a Ponza moglie, figli e vitigni. Di Migliaccio in Migliaccio arriviamo al nonno di mio marito, a quei tempi i terreni erano ancora coltivati, ma poi ci fu un periodo di abbandono.

Cosa vi ha spinto a recuperarli?

Il ricordo del nonno di mio marito, e delle persone che ogni giorno all’alba andavano in vigna.
Con un contadino del luogo cominciammo a ripulire il terreno, toglievamo i rovi e da sotto le spine uscivano fuori le viti.
Ci siamo imbarcati in questa avventura con amore ma senza averne esperienza diretta: mio marito è odontoiatra e io insegnavo inglese. Ma questo lavoro ci ha appassionato. Abbiamo cominciato a vinificare, e dopo un po’ la produzione è cresciuta tanto che ci siamo convinti a commercializzarla, perché era troppa per il consumo domestico.

Quanto terreno avete?

Tre ettari terrazzati a Punta Fieno, tenuti da parracine, i muri a secco, bellissimi ma che necessitano di continua manutenzione, l’inverno specialmente.
Abbiamo un aiuto: Antonio Spaccamontagna… il nome è tutto un programma.
Le ultime catene, così si chiamano qui i terrazzamenti, degradano verso il mare. Intorno ci sono solo vigneti e cantine scavate nel tufo.

Quali sono i vitigni?

Abbiamo continuato la tradizione campana: aglianico, piedirosso, guarnaccia, biancolella, forastera e la guarnaccia bianca.
Vitigni tipici dell’isola di Ischia. Anche se siamo sul territorio laziale possiamo avere l’Igt (indicazione geografica tipica – NdR), solo Ponza e Ventotene hanno questo permesso.

Quali sono le caratteristiche di questo territorio?

È un territorio vulcanico, come tutta l’isola; è aspro, difficile, tutto sassi e rocce colorate, ma bellissimo. Ci vuole un lavoro continuo e assiduo.

Quanto è difficile la viticoltura a Ponza?

Siamo stati classificati come “viticoltori eroici”, alle 5 di mattina si va a lavorare perché poi il sole batte implacabile dalle 10,30-11 fino al tramonto. I terreni sono esposti a sud sud-ovest. Questo fa sì che l’uva sia sana, perché non c’è umidità. Infatti questa è una zona vocata alla viticulttura, che risale probabilmente ai tempi dei romani; già nel 1734, all’assegnazione dei terreni, quelli di Punta Fieno erano indicati come vitati, mentre altri erano bosco, palude o incolto. Hanno una posizione magnifica e questo degradare verso il mare è ottimo.

 Quante aziende vinicole conta l’isola? Riuscite a fare rete per essere più forti sul mercato?

Complessivamente siamo tre aziende, c’è Casale del Giglio che ha recuperato terreni per riqualificare la bancolella, e Taffuri che ha in terraferma, a San Lorenzello, un’altra azienda. Noi siamo solo a Ponza, siamo gli unici a vinificare e imbottigliare sull’isola.
Tra di noi abbiamo ottimi rapporti.

La vostra è una piccola produzione. Che tipo di mercato avete? Quali sono i vostri clienti? Vendete solo in Italia o anche all’estero?

Lo scorso anno siamo arrivati per la prima volta a 10mila bottiglie, con una produzione così piccola, non abbiamo difficoltà sul mercato. Vendiamo soprattutto a ristoratori ed enoteche di Ponza, ma abbiamo anche rappresentanti nel Lazio e una rete di distribuzione in tutta Italia. All’estero siamo soprattutto in Europa: a Londra, in Olanda e al nord. Una volta abbiamo anche venduto negli Stati Uniti, ma è troppo complicato, avendo questi numeri bassi, così abbiamo preferito smettere.

 La vendemmia 2018 come è andata?

Quest’anno è stata faticosa, è durata a lungo perché ha piovuto e abbiamo dovuto aspettare che uva e terreno si asciugassero, ma finalmente ora è finita. È stata una bella vendemmia sia per quantità che per qualità.

I Tre Bicchieri

È stato un piacere e una sorpresa: sono anni che le bottiglie arrivano in finale, ma non abbiamo mai raggiunto i “Tre Bicchieri”, ci siamo sempre fermati prima. Pensavamo sarebbe stato così anche stavolta e invece no. Stavolta è andata bene, e non con il vino che credevamo noi, il Biancolella in purezza. Siamo contenti, anche perché – inutile negarlo – i premi servono, sono io che curo la comunicazione e lo vedo bene..!

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