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Epicrisi 193. C’è mondo e mondo…

di Enzo Di Giovanni
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Ultima settimana di settembre: ma non è una data. E’ una sorta di porta tra i mondi, uno stargate, un passaggio di stato. Suona incomprensibile? Forse, ma solo per chi non è di Ponza, e non ne conosce il respiro intimo.

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Gli ultimi turisti si muovono attraverso cadenze consolidate, a cui noi isolani siamo ben avvezzi: lo sciamare sul corso, la ricerca di barche con cui godere l’ultimo sole estivo, l’autobus per Le Forna alla ricerca delle poche discese a mare percorribili, e qualche scatto con lo smartphone per rubare uno scorcio, una luce.

Ma anche questi turisti sono consapevolmente attratti ed al contempo fruitori di questo viaggio temporale. Hanno sopportato due giorni di pioggia insistente, di nuvoloni e di scrosci improvvisi e violenti. Chi ha resistito alla smania di fuggire via per non “sprecare” pochi giorni di ferie e si è lasciato catturare dall’essere comunque qui ed ora, ha raggiunto una dimensione nuova, una serenità che di solito non è concessa al turista mordi e fuggi.

Cos’è esattamente questa dimensione?
E’ il passaggio dall’estate, il tempo della massima spersonalizzazione, in cui devi fare i conti con un lavoro che si concentra in pochi mesi e che deve bastare per un anno intero, un tempo che non concede pause, in cui non c’è tempo per riflettere, programmare, o solo immaginare cosa fare quando ci ritroveremo di nuovo con noi stessi, ed i problemi di sempre…

Passaggio dall’estate, ma verso cosa?
Tra breve torneremo alla solita indolenza, quello stato d’animo a metà tra la rassegnazione e la rassicurazione di gesti che torneranno a ripopolare il ritmo di una vita conosciuta: la vita degli isolani d’inverno, quando Ponza si riprende di diritto la propria dimensione più vera.

Abbiamo poco tempo, il tempo di questi giorni. Giorni come sospesi, in cui disperatamente si cerca, ognuno a modo suo, ‘i nun perde ’a scumm’. L’adrenalina di una estate che sta passando, col fagotto di idee, speranze e buoni propositi che gironzolano in testa, messi a fuoco e maturati in questi mesi, prima di essere inghiottiti dal ritorno a ciò che siamo.

Perché questo è ciò che avviene in un mondo che vive due stagioni contrapposte, in antitesi.

Io sto provando a descriverlo a modo mio. Non so quanto di questo mio scritto possa essere interpretato da chi legge; ma so per certo che questo sentimento è comune a tutti i ponzesi, e ognuno lo comprende con sensibilità e parole proprie…
Leggete i pezzi scritti su Ponzaracconta nella settimana appena trascorsa. In fondo parlano tutti di questo: del passaggio da un mondo all’altro, e non è un caso.

Da un mondo all’altro: come nella descrizione puntuale di E’ l’autunno, bellezza! [3], che descrive bene, come una cartolina, questo passaggio di stato quasi chimico.

Ma anche Uno sguardo da Le Forna [4]; qua il confronto è tra mondi opposti. Perché mentre Ponza celebra ancora l’onda lunga dell’estate che sta finendo, Le Forna viene vista dallo sguardo attento di Franco De Luca come già immersa nel torpore dell’abbandono invernale. Due mondi a due velocità: lo sappiamo da sempre. Ce ne parlava persino già il Mattej nel 1850, quando visitò la nostra isola lasciandone ampia testimonianza nella sua opera, da noi celebratissima, “L’arcipelago Ponziano”. Non avendo soluzioni, mi limito ad una semplice intuizione: dovremo imparare a valorizzare quello che abbiamo. Le Forna non diventerà mai come Ponza Porto. Non ha una struttura urbanistica come quella sviluppata intorno al porto borbonico e non è un caso: quando fu colonizzata Ponza si scelse l’insenatura che accoglie, che avvolge. E non poteva essere altrimenti.

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Le Forna, ma anche gli Scotti, i Conti, ed in generale ciò che viene visto come periferico dovrà esaltare, anche in chiave turistica, un altro modo di sviluppare accoglienza turistica. Che non è affatto detto debba essere minoritario: ma questa è una scommessa tutta da giocare.

Del resto la vita dell’uomo è fatta di continui mutamenti, come le onde del mare, sempre uguali e sempre opposte.Come ci racconta Erri De Luca con Memoria di elefante [6], in cui ci descrive il mondo all’incontrario.
La storia si rovescia, ci ammonisce. Quello che resta uguale è la capacità di rimanere umani, per chi ne è capace. Viviamo giorni difficili, e lo sappiamo benissimo.

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Il vento dell’intolleranza, dell’odio, dell’egoismo, imperversa; sembra trascinare con sé, inarrestabile, tutte le conquiste maturate in secoli di crescita civile. Sembra. Ma in realtà anche le tempeste passano, chi meglio di noi può saperlo? La scommessa qui è un’altra: rimanere umani, non perdere la bussola. E’ l’unica battaglia che merita di essere affrontata, e vinta.

E per non perdere la bussola, affidiamoci anche allo studio dell’interessante Il linguaggio dei gesti – contro il razzismo [8]. Non ci sono razze, ma adattamenti all’ambiente umano. Ma questo lo si scopre solo se si riesce veramente ad entrare in contatto, in maniera simbiotica, con l’altro. Quanti di noi lo fanno davvero?

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Perché, quando si perde la bussola, capita La storia raccontata dai film: “Tutti a casa” di Comencini [10]. Succede, in un mondo in cui si perdono le coordinate, che “gli americano si alleano con i tedeschi”, anche se non è vero.

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Per fortuna ci sono altri mondi, decisamente più rassicuranti. Come il mondo antico di Erotika ’60. Come eravamo. Un mondo che sembra lontano, ma in grado ancora di suscitare ricordi; e brividi. Perché le emozioni esistono malgrado gli smartphone.

I mondi a volte sono talmente veri da andare oltre il tempo. Diventano mondi circolari, in cui nulla cambia, neanche col passare del tempo, appunto. Ce ne dà prova Rita Bosso, con Historia di un tabacchino [12]. Testimoni di frontiera, le care Genoveffa e Giulia D’Atri (mia indimenticata maestra delle elementari), meritano l’eternità, in un mondo altrimenti fugace e perciò poco rassicurante.

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D’altronde, un grande avvenire lo abbiamo solo guardando alle nostre spalle, parafrasando indegnamente Vittorio Gassman.

C’è tutto un mondo da ri-scoprire: A proposito di colonizzazione borbonica [14], o nella sua versione “godereccia”, con Fotoracconto di un sabato in festa [15]. C’è da lavorare, ma è un lavoro stimolante, da fare a più mani, come ci invita a fare l’ottimo e puntuale Alessandro Romano. Lo faremo, perché è stimolante e necessario per la nostra storia, con l’annesso, vitale, corollario di contraddizioni e polemiche.

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Cosa avrà voluto dirci Sang’ ’i Rutunne col suo Diversamente retunni [17]? ’U ssape sul’iss’ Giggino chell’ ca ce sta ’nda capa soia… Perché il problema è che i ponzesi sono legati a certi usi e costumi, danno l’idea che non cambieranno mai, ma poi… poi sono sempre pronti a farsi colonizzare, anche se non lo ammetterebbero mai.

Ma veramente è così? Devi crescere, Giggino caro, perché sennò così il nostro diventa ’nu munn ’i mm….!

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