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A proposito di colonizzazione borbonica

di Alessandro Romano

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In questi giorni si è avuto modo di soffermarsi con piacere a parlare non solo di presenze turistiche, caccia, pesca e cause, ma anche di storia, quella storia che ha generato nel bene e nel male gli isolani ponziani: gli abitanti di Ponza e Ventotene.
Senza dubbio il merito va a chi si è impegnato ad affrontare l’argomento finalmente dal verso giusto, cioè non rimanendo arenati sulla bibliografia più o meno nota, ma andando a rovistare negli archivi.
Un lavoro encomiabile anche se a mio avviso ancora insufficiente per giungere a conclusioni politiche prossime alla verità.
Il bellissimo lavoro esposto al Museo dal titolo “Opere di urbanizzazione e nascita della comunità a Ponza nel ‘700: un percorso attraverso carteggi, progetti e piante”, secondo il mio modesto parere è solo la premessa di quanto ancora c’è da ricercare e da dire in merito a quella grandiosa impresa che, dopo secoli di totale abbandono, fu il “ripopolamento delle Isole Ponziane”.

[1]Immagine di Ponza pre-coloniale

Grazie ad una conoscenza personale sia delle carte ottimamente esposte nella mostra che di quelle ancora in archivio, posso affermare con certezza che per arrivare a delle conclusioni veritiere sarà opportuno non fermarsi alla fase prettamente di occupazione dell’arcipelago, messa in atto dalla corona di Napoli per legittimare un diritto ereditario, ma di allargare ed approfondire lo spettro di ricerca su altri capitoli di archivio (Archivio Borbone: Atti di Governo) al fine di individuare il vero disegno politico ed economico di tutta l’operazione di ripopolamento dell’arcipelago delle ponziane, detto impropriamente di “colonizzazione” se per colono si intende, come ho notato che è stato inteso, esclusivamente coltivatore di un fondo per conto di un proprietario (nel caso in questione il termine colono va interpretato più come “abitante, pioniere, componente d’una colonia, con riferimento a colonie antiche, settecentesche” che in quel periodo venivano fondate in aree non ancora popolate del mondo e non solo come mezzadro o coltivatore di un fondo alle dipendenze di un signore”), altrimenti non sarebbero coloni tutti gli altri numerosi titolari di arti e mestieri inseriti nella comunità isolana.

In una visone complessiva di tutta l’operazione, appare evidente che la “colonizzazione” di Ponza e Ventotene procedette per gradi di cui l’occupazione, avvenuta all’indomani della fondazione del nuovo Regno di Napoli proclamato da Carlo di Borbone il 25 maggio del 1734, è solo la prima fase di un progetto ben più complesso e completo. Pertanto, prima di affermare che fu solo la bravura di Winspeare a risolvere i grandi e gravi problemi dei coloni e che solo la sua intraprendenza fece del semplice presidio ponziano una comunità isolana, occorre necessariamente contestualizzare l’impresa studiando attentamente il periodo storico e suffragando ogni conclusione su elementi documentali certi, frutto di un’attenta analisi degli atti e dei progetti del Governo, tuttora ottimamente custoditi negli archivi. Per un eventuale approfondimento sull’argomento rimando il lettore ad un mio elaborato di qualche anno fa: “L’esperimento di Ponza e Ventotene nella riforma socio-amministrativa dei Borbone” [per tutta la serie: articoli, racconti e commenti, pubblicati tra il dicembre 2014 e il gennaio 2015, digita – L’esperimento di Ponza e Ventotene – nel riquadro “Cerca nel sito”].

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Unica foto nota di Ferdinando II di Borbone (la fotografia era appena stata inventata)

Del contesto storico in questione che si andrà ad analizzare, sarà giusto prestare attenzione anche alla rivoluzione illuministica in atto (anche il termine di “rivoluzione” nel ’700 aveva un significato diverso di oggi) in quel tempo che condizionò in modo sostanziale tutte le scelte sociali del primo re di Napoli e dei suoi discendenti.
In un’ottica politica, gli interventi del Governo borbonico appariranno – per le isole Ponziane come per San Leucio e, poi per Battipaglia, San Ferdinando e Mongiana, un vero e proprio prototipo -, un esperimento sociale dove al centro del sistema proto-socialista (anti-capitalista e anti-latifondista, e quindi anti-liberale) garantito da una monarchia paternalistica assoluta, c’era l’uso comune della terra (enfiteusi), delle risorse della natura e dei beni e delle infrastrutture messi al disposizione dallo Stato. Affermare che il monarca intendeva sfruttare la produzione agricola e ittica dei poveri coloni ponzesi è privo di ogni riscontro documentale e fortemente in contraddizione con quanto, invece, è possibile rilevare dagli Atti d’Archivio dove è evidente che le tasse pagate (le decime), sia in natura che in soldo, per il possesso delle terre demaniali loro affidate in uso, benché regolarmente riscosse, per decreto reale restavano in un fondo locale per aiutare i meno fortunati, le vedove e gli orfani.

Certamente i primi abitanti, come anche coloro che vennero successivamente a completare le comunità di Ponza e di Ventotene, si trovarono ad affrontare condizioni di vita dure e spesso insopportabili, ma è anche vero che nulla e nessuno poteva prendere iniziative e, quindi, sostituirsi alla monarchia assoluta e monocratica, dove il Re era il Governo ed i Ministri esistevano solo nel ruolo di consiglieri senza avere alcun potere decisionale.
Che poi fosse un “dispotismo illuminato” e sottoposto al rispetto della Legge suprema del Vangelo di Cristo – il che in qualche modo mitigò il potere assoluto ed indiscusso del sovrano – è un dato di fatto, ma anche così non sarebbe mai stato possibile che un Winspeare, per bravo e preparato che fosse, potesse in qualche modo prendere decisioni, che tra l’altro incidevano sostanzialmente sulle casse dello Stato, senza informare prima il monarca e riceverne precise disposizioni.

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Iscrizione Ponza Chiesa Purgatorio, 1794