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L’8 settembre del ’43

proposto da Sandro Russo

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Ho un posto di riguardo nella mia memoria per l’8 settembre del ’43 per essere una data che mio padre (1912 – 1991) qualche volta citava; una delle poche cose sfuggite al suo completo riserbo sui fatti della seconda guerra mondiale cui aveva partecipato da soldato semplice (“fante”, diceva lui) in Italia e in Abissinia.
La parte di cui – sebbene solo raramente – parlava, fu il suo ritorno a casa, appunto “dopo l’8 settembre”.

Pare che dal Veneto, dove si trovava con il suo battaglione, abbia attraversato mezza Italia a piedi o con mezzi di fortuna, giungendo a casa (a Cassino, trovandola tra l’altro deserta, essendo stata nel frattempo la sua famiglia “sfollata” in Calabria) dopo mesi, lacero, affamato, mangiato dai pidocchi e con il terrore negli occhi.
Lui e i pochi suoi compagni si muovevano di notte; stavano alla larga dalle divise di ogni colore; sempre affamati. Pare che tutti sparassero loro addosso, i tedeschi, gli americani e anche gli italiani divisi per bande, tra quelli rimasti a combattere con i tedeschi e i partigiani delle montagne.

Cosa era successo allora, l’8 settembre del ’43? Settantacinque anni esatti oggi!?

È la data dell’armistizio con cui il governo italiano (rappresentato da Pietro Badoglio, Capo del governo e maresciallo d’Italia) si arrese agli alleati (per loro al generale Dwight Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. L’armistizio fu firmato a Cassibile (Si) tra le due parti, il 3 settembre 1943 (in realtà la firma fu apposta dal generale Giuseppe Castellano, per delega del re e con l’approvazione del capo del governo Badoglio)
Ma la lettura pubblica del testo dell’armistizio fu fatta per radio solo l’8 settembre.
E cosa accadde in quei cinque giorni, tra il 3 e l’8 del mese?

Per motivi di politica interna e nelle convulsioni di fine regime (anche nel tentativo di impedire l’avanzata tedesca e la presa di Roma) ci fu un’estrema tentazione di “imbrogliare le carte”, tanto che a firma avvenuta Badoglio riunì il governo solo per annunciare che le trattative per la resa erano “iniziate”.
Gli Alleati, da parte loro, facevano pressione affinché fosse reso pubblico il passaggio di campo dell’Italia, ma il maresciallo tergiversò.
La risposta degli anglo-americani fu drammatica: scaricarono quintali di bombe sulle città della penisola. In sequenza furono bombardate dagli aerei alleati (le famose “fortezze volanti”) le città di Civitavecchia e Viterbo. Il 6 fu la volta di Napoli.
Perdurando l’incertezza da parte italiana, gli Alleati decisero di annunciare autonomamente l’avvenuto armistizio: l’8 settembre, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower lesse il proclama ai microfoni di Radio Algeri. Poco più di un’ora dopo, Badoglio fece il suo annuncio da Roma.
Questo il testo del messaggio radiotrasmesso alle ore 19:45, dell’8 settembre 1943, dai microfoni dell’E.I.A.R., dal Maresciallo Pietro Badoglio:

“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower… La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

[1] 

Come ulteriore giravolta infine, il 13 ottobre 1943, per mano del diplomatico Giacomo Paulucci di Calboli, il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania.

L’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente rapida e brutale reazione dell’esercito tedesco in Italia avevano provocato una catastrofe della struttura politica, amministrativa, civile e militare italiana; in pochissimi giorni la Wehrmacht aveva occupato gran parte della penisola e aveva disarmato e catturato centinaia di migliaia di soldati dell’esercito italiano (815 000 soldati italiani vennero catturati dall’esercito germanico, e destinati a diversi lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive).

Il re Vittorio Emanuele III e il capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio, avevano abbandonato in tutta fretta Roma e cercato riparo a Brindisi, contando sull’aiuto degli Alleati.
Ma le manovre americane (come lo sbarco di Salerno) furono rallentate dalla resistenza tedesca coordinata dal feld-maresciallo Albert Kesselring, comandante delle forze tedesche nell’Italia centro-meridionale, tanto che i tedeschi l’11 settembre 1943 giunsero ad occupare anche Roma.

Se tale era la confusione ai vertici (diplomatici e militari) – provocata soprattutto dall’utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole dell’armistizio e che fu invece dai più erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra – ancora maggiore fu lo sconcerto tra le truppe italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora si combatteva: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili.

Ma la guerra non era ancora finita e ad un Meridione in mano americana facevano contrasto il Centro e il Settentrione occupato dai tedeschi, in lentissima ritirata verso Nord, con gli episodi più atroci della guerra in Italia ancora di là da venire (S. Anna di Stazzema, agosto 1944; Marzabotto, settembre – ottobre 1944, per nominarne alcuni).

Gli americani entrarono a Roma solo tardivamente, mesi dopo lo sbarco di Anzio (22 gennaio 1944), dopo lo sfondamento della linea Gustav e le sanguinosa battaglia intorno a Montecassino (tra il gennaio e il maggio 1944.)
La capitale fu infine liberata tra il 4 e il 5 giugno ’44 dalla 5ª Armata statunitense, proveniente dal settore tirrenico.

La fine della guerra era ancora lontana.
Essa venne nel maggio del ’45 dall’evoluzione delle operazioni sul teatro di guerra centro-europeo, con l’entrata delle truppe russe a Berlino.
Le forze tedesche in Italia si arresero il 1º maggio ’45.
Solo il 9 settembre 1945, l’ultima unità della Wehrmacht depose le armi, alcuni giorni dopo rispetto all’Atto di resa giapponese del 2 settembre 1945 che è considerato universalmente come il momento conclusivo della seconda guerra mondiale [Sintesi delle notizie storiche da Wikipedia].

Di questi eventi nulla potevano sapere le truppe e sbandate, tra cui ho collocato decenni più tardi anche mio padre; si ascoltavano famelicamente le notizie di Radio Londra e il resto era un confuso passa-parola. La confusione e l’incertezza erano inimmaginabili.

Riparleremo quanto prima su queste pagine di quei giorni e di quegli eventi con Gianni Sarro per la presentazione del bellissimo film di Comencini “Tutti a casa”, del 1960, con Alberto Sordi, Eduardo De Filippo, Serge Reggiani.