- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Un ciclo si chiude. O forse no. Se ne apre un altro

di Francesco De Luca
[1]

.

Adele Vittorio. La ricordo da fanciullo, bellissima. Faceva gruppo con tanti ragazzi che nello slargo di Santantuono giocavano e si organizzavano per andare al mare. Una generazione di giovanotti, splendidi per vivacità e bellezza. In armonia col borgo del Porto che in estate si dispiegava pigro al sole.

Dopo il rito in chiesa, sulla piazzetta, ci sono Aniello De Luca, Michele Martinelli, Giovanni Ronca, Angelone. Oggi anziani nel corpo ma gli occhi brillano di gioventù. Perché? Perché quell’incontro ha suscitato in loro ricordi. Ricordi di una compagnia spensierata, in un’isola intoccata dal demone dell’affarismo. Più povera, più rassegnata, e più felice.

[2]

Michele Martinelli racconta che lui e la sorella furono inviati a studiare a Napoli. Ma per accedere alla scuola Media occorreva superare l’esame di Ammissione. Questo doveva essere espletato a Ischia. Ma… come andare a Ischia?
La nave postale Santa Lucia era stata affondata e Ponza era priva di collegamenti. Il padre, il dottore Silverio Martinelli, riuscì a trovare loro un posto sul gozzo di Giosuè ’i Sciammereca, che trafficava con la terraferma.
“Avevo otto anni – dice – e mia sorella qualche anno in più. Fuori Le Formiche un po’ di mare dava tormento allo scafo, e a noi che stavamo sottocoperta, rannicchiati”.
Giosué non esitò, girò la prua e ritornò sull’isola. A Napoli, presso i Barnabiti, ci andò l’anno dopo. Lì compì gli studi. Con profitto perché in seguito si è laureato in medicina, divenendo primario dell’ospedale in cui esercitava.

[3]

Angelone si avvicina. Giovanni mi sussurra: “Facevamo parte dello stesso gruppo musicale. Io suonavo la chitarra e Angelone la batteria. Suonavamo nei festini, per rallegrare la compagnia. Pensa – mi confida Giovanni – che allora le voci di sopra Giancos si sentivano giù a Santantuono”.
“È vero – ribadisce Michele – Quando venivo da Napoli, non appena s’entrava nel porto io gridavo: Gianné…”
“Cosa gridavi tu?” – intervengo.
“Gianné… così chiamavamo Giovanni”. Che annuisce.
“Lo chiamavo… e mia madre si indispettiva perché – diceva – chiamavo Giovanni e non lei”. La voce trapassava tutto il Porto e giungeva fin sopra Giancos.

[4]

Questa era Ponza, allora, e la vita sociale sapeva di solidarietà. Si era tutti legati alla stessa terra che si amava perché sosteneva la sua gente e doverla lasciare era doloroso.

Michele Martinelli, oggi porta la sua età con spirito giovanile.
È accompagnato da una ragazzina: “Come ti chiami?”
“Giulia”.
“È mia nipote, figlia di mia figlia Silveria”.
“Ah… – intervengo – Silveria, come da tradizione ponzese”
“E sì – confessa – Mio padre avrebbe voluto un figlio, da chiamarsi come lui, Silverio. Nacque una femmina e telefonò a mia madre dicendo. Sai… Silveria come nome è quasi bello come Silverio”.

[5]

Quest’isola ha del magico. Più ci si immerge nelle storie dei suoi figli e più ci si si sente ammagliati in una rete di riferimenti, di sentimenti, di nostalgie, di amori. Che sono reali, non immaginari. Che pulsano autenticità, non smorte finzioni.

Angelone ci saluta e se ne va, Aniello segue un suo pensiero fisso: Dio tesse per noi la rete della nostra identità. Giovanni, oggi in compagnia di un bastone, rimane abbacinato da come tutto nella vita si componga in un’armonia. Michele si allontana. “Ciao Giulia” – grido alla piccola. E lei, sorridente e schietta risponde: “Ciao”.

Il ciclo si chiude, o forse così appare. Il passato si fonde nel presente e dispiega il futuro.
Adele Vittorio, ha abbandonato i siti terreni ma altri hanno mantenuto il suo ricordo e lo proiettano nel domani.
Domani? Sarà ancora bello!

[6]

 

Immagini: Foto di Ponza com’era, selezionate dalla Redazione