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Norcia, in attesa di ricostruiredi Vittoria Tedeschi . Vittoria è un’amica di vecchia data con molti interessi, tra cui la scrittura. Segnaliamo che anche Paolo Rumiz, giornalista di Repubblica – spesso ospitato sul sito: vedi – Rumiz – nel riquadro “Cerca nel Sito” – , ha fatto di Norcia il suo punto di partenza e di arrivo di un viaggio compiuto tra i monasteri benedettini di mezza Europa per una serie in 12 puntate pubblicata su quel giornale. Parla anche dei valori condivisi delle società occidentali e dell’idea di Europa, di cui S. Benedetto è protettore. Immagine da la Repubblica (illustrazione di Carlo Stanga)
Settantuno, dicono, sono i luoghi sacri crollati in questa terra di monaci ed eremiti che, venuti un tempo in cerca di silenzio e solitudine, hanno lasciato cime e pendii punteggiati di eremi e chiese. Quelle di Norcia, tra cui la Basilica di san Benedetto, ora messa in sicurezza, è solo la più famosa, sono sostenute da tubi Innocenti e giunti cardanici che, nel cielo terso e luminoso, scintillano come opere di un’arte nuova. Gabbie di tubi che svettano, brillando, nel sole, e anelano, sembra, a ricongiungersi con il cielo. Grazie a loro sono scomparsi i fotografi delle rovine: venivano i primi tempi, appena riaperta la zona rossa, con macchine fotografiche enormi ed obiettivi di mille grandezze a immortalare i resti; la gente di qui li guardava ferita e impotente, erano pur sempre gli unici turisti rimasti, gli unici a portare un poco di soldi.
Non sono cose belle da pensare e allora andiamo in cerca di qualcosa che parli ancora di ricerca dello spirito e di resistenza dell’uomo e nelle strade troviamo: case disabitate, portoni incatenati, vicoli chiusi, sbarrati dove cresce l’erba, qua e là, però, si intravedono anche segni di vita, panni stesi ad asciugare, qualche sedia sugli usci, gente che forse vive altrove e al tramonto, ora che è estate, torna a sedersi qui, una casa ricostruita in un bel colore rosa con una veranda e il rincospermum, qualche spazio vuoto lasciato da case crollate e macerie portate via. Fuori porta le macerie, invece, sono un po’ ovunque, vengono rimosse solo se ostruiscono le strade e ormai fanno parte del paesaggio e da corredo alla vita. 2016 è scritto sui cartelli: incredibile che siano passati già due anni e che ancora sia così difficile credere che sia successo davvero, per la gente del posto e per noi che venivamo d’estate o d’inverno, solo in vacanza, e continuiamo a tornare anche adesso. La gente è felice di vederci: dicono che gli portiamo ricordi belli e la certezza del mondo che continua. Neanche io mi abituo: ieri sera ad esempio mi è capitato di bussare alla porta di casa, al grande battente di ferro con la testa di leone: casa dei miei è grande e c’è tanto prato attorno, la campagna, gli alberi sono sempre lì e io ho messo, come ogni anno, la mia panchina sotto il boschetto e lì mi siedo a leggere o solo a sentire il vento, ma ieri sera mi sono confusa e ho bussato alla porta sul retro. Ci voleva sempre del tempo perché qualcuno ti venisse ad aprire perché ci sono tante stanze e tutte un poco storte, non era una casa dove da un punto si va ad un altro per la strada più breve, c’erano sempre tante possibilità; gli interni li ha disegnati mio padre e per lui le case sono così, forse perché a lui piace stare da solo e non vuole essere trovato facilmente. D’inverno sapevi qual era la sua stanza perché ci trovavi una chaise longue e un cappello di lana poggiato sopra, d’estate, con tanti nipoti, si chiudeva in cantina a leggere il giornale, deve aver pensato che per tutti la vita è così, che nessuno vuole essere trovato, e ieri sera seduta sulla panchina nascosta tra i pini ho pensato che stavo facendo come lui, e un poco mi sono preoccupata perché a me piace star sola ma piace anche molto stare tra la gente e per questo alla fine son corsa verso casa, ho bussato e sono rimasta lì ad aspettare con l’orecchio alla porta, come abbiamo sempre fatto, per cogliere i passi all’ interno di chi veniva ad aprire. Con l’orecchio alla porta ho sentito i passi e tante altre cose: la televisione minuscola ma il rumore che rimbombava ovunque, i cugini, le schiacciate a ping pong, il rullo delle maniglie del biliardino, i pranzi, mia madre che fuma in cucina e la marmellata che rimesta sul fuoco, le voci delle donne venute a preparare il pranzo di ferragosto, non finivano più i suoni, le voci, sono rimasta con l’orecchio incollato, finché mi sono vista e mi veniva da ridere, laggiù oltre i campi c’è la casa dei vicini, anche la loro è inagibile (qui si dice che è una “e”) c’è una grande tensostruttura verde per riparare i trattori e i covoni per il bestiame, come ne hanno date agli agricoltori di qui, qualche ricovero per dormire, ma anche se mi hanno visto non si saranno sorpresi: anche loro mettono l’orecchio alla porta ogni tanto per vedere se la vita va avanti senza di loro, o magari indietro, se magari la vita si riavvolge e va dove vuole. Nelle case deserte, in attesa di ricostruzione, c’è grande libertà. [Norcia.1 – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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