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La storia raccontata dai film (1). La marcia su Roma

di Gianni Sarro

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A integrazione e commento del notevole saggio sul fascismo inviato da Emilio Iodice (leggi qui [1], proposto a puntate nella traduzione di Silverio Lamonica: qui [2]e qui [3], in continuazione) ho pensato di chiedere un’expertise dal versante cinefilo al Maestro Sarro che da vari anni conduce con eroica dedizione un gruppo di entusiasti (ancorché ciarlieri e indisciplinati) adepti, alle meraviglie e ai misteri della settima arte.
S. R.

[4]

L’esperienza del fascismo ha rappresentato nel secondo dopoguerra uno degli argomenti più dibattuti in sede politica, storiografica, culturale.
A partire dal 1945 il cinema italiano si è occupato a più riprese della rovinosa esperienza storica del ventennio, e non poteva essere altrimenti, perché “il paese, anche volendolo, non avrebbe potuto recidere da un giorno all’altro e in maniera definitiva i fili che lo legavano al recente passato” come argomenta acutamente Maurizo Zinni nel suo accurato studio intitolato “Fascisti di celluloide. La memoria del ventennio nel cinema italiano (1945-2000)”, cui rimandiamo chi volesse approfondire l’argomento.

Uno dei periodi più fecondi del cinema sul ventennio è il triennio 1960-1962, quando vengono prodotti venticinque film, tra i quali troviamo La marcia su Roma di Dino Risi, che inaugura la serie e sceglie di mostrare l’ascesa del fascismo sotto forma di commedia, una scelta coraggiosa ed efficace.

[5]Risi offre un punto di vista non banale, sin dall’inizio quando inquadra Gassman che si aggira con le scarpe bucate per Milano senza soldi e affamato.
Nonostante la vittoria nella Grande Guerra, l’Italia se la passa male, quella Milano livida e deserta potrebbe essere anche quella del secondo dopoguerra.
Ma soprattutto la fame continua ad essere una protagonista del cinema italiano di tutti i periodi.
Perché? Non è superfluo ricordare come Risi sempre nel 1962 firma Il sorpasso, il suo capolavoro, in cui le tappe del ‘viaggio’ ferragostano dei due protagonisti (ancora Gassman questa volta con Tritignant) hanno come comune denominatore la ricerca di un ristorante aperto dove pranzare; ebbene i due occasionali sodali sembrano gli i unici che non riescono a sfamarsi e da lì nasce la loro solitudine ed incomunicabilità col resto della società. Volendo spingerci oltre, analizzando la galleria di ‘mostri’ disegnata da Risi, potremmo ipotizzare che l’autore vede la società non come un organismo armonico, bensì come una massa informe d’individui che se ne vanno ognuno per conto suo.
Torniamo a La marcia su Roma. Risi, tra una gag e l’altra, mostra la sua statura autoriale con sottolineature mai banali, come nella sequenza di un comizio fascista dove il vero protagonista è lo spazio: una piazza vuota, che testimonia la natura tutt’altro che irresistibile del fascismo agli inizi.

Uno degli aspetti su cui Risi insiste di più nel film è il mostrare il progressivo allontanamento del fascismo dai punti del suo programma originale, visivamente risolto con Tognazzi che di volta in volta cancella con un tratto di penna gli ideali traditi come la riforma agraria, ‘la terra ai contadini’, soppiantata dall’alleanza con il grande latifondo.

L’apice dell’analisi di Risi dell’avvento del fascismo e, soprattutto di chi lo abbia reso possibile è nella sequenza finale, quella del filmato presentato a corredo di questo articolo.

Nel momento in cui le squadre in camicia nera entrano nella Capitale, Gassman chiede a Tognazzi, mentre la macchina da presa (mdp) li riprende frontalmente in mezzo alla folla: – Ma il Re l’hanno cacciato?
Pronta la risposta di Tognazzi: – Ma che cacciato!? …è lui che li ha fatti entrare!
Per tutto il dialogo Gassman guarda in alto alla sua sinistra, uno stacco successivo svela dove e soprattutto chi stava guardando: il Re con accanto il generale Thaon di Revel.
Le immagini sono di repertorio, le battute chiaramente finte, ma significativo è il fatto che le immagini di repertorio siano incorniciate dallo sguardo di Gassman, ossia il punto di vista dell’autore, e dalle parole che quest’ultimo fa pronunciare al re.

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