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Per una volta parliamo di Torre Del Greco (1)

segnalato da Biagio Vitiello
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Grazie a Biagio Vitiello, infaticabile cercatore di tesori sul web, scopriamo un giornale on line di Torre del Greco dal nome suggestivo: La tofa.
Dei due ceppi della colonizzazione di Ponza in epoca borbonica, abbastanza conosciamo per la parte ischitana (1734; soprattutto da Campagnano d’Ischia verso la zona di Ponza Porto); poco o niente della successiva immigrazione (circa 40 anni dopo) da Torre del Greco verso l’altra estremità dell’isola (Le Forna).
Proveremo di supplire a questa mancanza cercando un contatto con i colleghi torresi.
Intanto pubblichiamo questo primo articolo inviatoci da Biagio in un volenteroso formato .pdf di laboriosa trascrizione.
La Redazione  [2]

Tra un’eruzione e l’altra
Avvenimenti e personaggi torresi del ’700 e dell’’800

di Giuseppe Di Donna

Morto Carlo II d’Asburgo, re di Spagna, e terminato il vice-reame spagnolo, nacque il periodo borbonico con Filippo di Borbone a cui successe Carlo VII di Borbone.
Costui nel 1740 si fece costruire la Reggia di Portici che fu un’attrattiva per l’espansione dei nobili verso il Miglio d’Oro.
Questi edificarono lungo la strada per le Calabrie magnifiche Ville Vesuviane, tra queste nel territorio torrese ne primeggiano due: Palazzo Vallelonga. costruito ad inizio ‘700 con progetto attribuito a Vanvitelli e con affreschi di Gamba, e la Villa del Cardinale Spinelli, del 1744 con opere di Magri.
Nel 1750 a Carlo successe Ferdinando IV.
A Torre in quel periodo vigeva proforma il baronato della famiglia Langella, mentre il governo vero e proprio del paese era affidato al Governatore, scelto dopo il riscatto del 1699 dalla Regia Corte con l’appoggio degli eletti del popolo. Gli introiti erano costituiti da varie gabelle grazie alle quali si pagavano il Governatore, il Parroco di S. Croce, i guardiani delle torri (Bassano, Scassata e Oncino), il fontanaro, il pubblico banditore, i medici e l’organizzazione delle feste tra le quali le più sentite a quei tempi erano dedicate ai Corpi Santi (Trionfo della Croce), per la quale venivano spesi 30 ducati, al Corpus Domini con due grandi processioni: la prima nel giorno dedicato al SS. Sacramento con ceri i e lumi presso i grandi altari, l’altra all’ottavario, progenitrice della festa laica del riscatto baronale (festa ’i l’uttava) con una spesa di 80 ducati, e quella dedicata a S. Fausto, per cui si spendevano 20 ducati.
Altre feste erano consacrate alla Madonna di Costantinopoli, alla Madonna del Carmine, durante la quale i monaci offrivano vettovaglie ai forestieri, e alla Madonna del Principio.
La popolazione crebbe ancora fino ad arrivare a fine Settecento a 17-18.000 anime.
La classe più eminente a Torre dal ‘700 all’800 fu il numeroso clero nel quale primeggiarono alcune importanti figure di studiosi [A. Luisi, A. Noto, vescovi (N. Cirillo, A. Cirillo, G. Brancaccio, F. Romano] e professionisti come medici, notai, maestri, avvocati.

Il secolo dei lumi però fu per i Torresi quello delle numerose eruzioni vesuviane tra le quali le più violente furono quelle del 1737, che provocò danni nella parte orientale di Torre (Chiesa del Carmine, del Pianto e cappelle campestri), e del 1767, assaggi del Vulcano, in attesa della famosa eruzione del 1794 che avrebbe distrutto invece la parte occidentale, risultando ancora più disastrosa di quella del 1631. Dopo queste dolorose calamità, tra il 1772 e il 1777 ci fu il trasferimento di oltre 150 torresi nelle isole Ponziane, in cerca di nuove terre.

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I prodromi della catastrofica eruzione del 1794 furono avvertiti dai torresi un anno prima. Il cono inizialmente era alto e rotondeggiante e sembrava perfettamente un pan di zucchero, come fu descritto pure da alcuni viaggiatori stranieri, dopo apparve tronco con profonde fenditure che facevano temere un’imminente disgrazia.
L’eruzione eccentrica fu preceduta da forti sismi e la sera del 15 giugno, giorno dedicato alla festa della SS. Trinità , l’attività eruttiva si manifestò in tutta la sua tremenda violenza e alle ore cinque del giorno 16 ci fu l’emissione di una fiumana incandescente larga dai 10 ai 20 ai 20 metri.
Dei 18,000 abitanti 15,000 furono costretti, scrisse lo storico-vulcanologo Scipione Breislak “in un istante ad abbandonare le loro case e fuggire raminghi cercando un asilo”.
Torre fu distrutta per i 4/5 del suo territorio. I danni totali furono, solo per Torre, di migliaia di ducati .
Il fiume di lava, dopo aver distrutto la chiesa di S. Croce, risparmiando il campanile, riprese la sua corsa distruggendo la chiesa dell’Assunta e inoltrandosi nel mare per oltre 130 m. Un altro ramo si diresse nelle parte occidentale distruggendo la porta della Torre, la chiesa delle Grazie, il convento delle teresiane e la chiesa del Principio. Si estinse la chiesa della SS. Trinità.
Scrisse Colletta: “sul suolo ancora caldo si vide alzarsi una nuova città, sovrapponendo le case a quelle distrutte, e le strade alle strade, i templi ai templi”.
Quando i torresi, tornando a casa dopo la lunga pesca del corallo, videro la loro terra bruciata, non si persero d’animo. Ferdinando IV offrì ai dispersi di stabilirsi in luoghi più sicuri, ma essi non vollero.
Solo una minoranza si unì ai precedenti torresi immigrati a Ponza, altri ad Ischia e nei Campi Flegrei, altri ancora a Gaeta e sulla riviera laziale. La gran parte degli abitanti, attaccati al suolo patrio, preferirono ricostruire la loro città, grazie pure agli ingenti introiti che la pesca del corallo offriva.
Nel 1794 la lava aveva coperto Torre di un manto lavico che raggiunse il mare allungandosi in essa per diversi metri. Quando essa si raffreddò apparve un nuovo territorio che andava ad aggiungersi a quello sorto dal mare per il bradisismo del 1631.
Intanto i torresi nonostante le continue avversità avevano incrementato il numero di coralline, arrivando ad averne 600 con quattromila uomini che si spingevano impavidi sulle coste del Nord Africa. Inoltre erano dediti alla pesca del pesce e ai commerci.
Ferdinando IV aveva incoraggiato la pesca del corallo e il suo governo aveva nel 1790 istituito la Real Compagnia del Corallo con bandiera propria e con un ingente capitale in ducati divisi in 1200 azioni. Tutti i torresi potevano essere azionisti di tale compagnia. Aveva uno stemma proprio e un apposito codice, detto ‘corallino’, con statuti e regolamenti per la pesca, la commercializzazione e le leggi che le regolavano. Perciò Torre fu definita la “Spugna d’oro” del regno, in quanto lo stato borbonico poteva ripagare i debiti con le entrate che l’industria produceva.
Per la fine del secolo XVIII il valore della industria corallifera era calcolata intorno ai 300.000 ducati e continuò a crescere negli anni successivi.

Prima dell’eruzione Torre era divisa in cinque quartieri ma dopo l’eruzione del 1794 Torre centro e il quartiere mare furono completamente ridisegnati su progetto urbanistico dell’architetto Di Nardo e ricostruite le principali chiese distrutte.
Fu edificato inoltre un nuovo tempio sul fronte lavico della scarpetta sorta con l’eruzione: la chiesa di Portosalvo. Fu un ricco napoletano a voler questa cappella nel 1801 portando con sé una tela marina del 1700 del pittore Lettieri a cui fu dato il nome alla titolare Maria di Portosalvo. Le pitture del ’700 presenti nella chiesa sono forse di Tomajoli della scuola di De Mura. In queste opere il mare ed episodi marinareschi tratti dalla Bibbia sono la rappresentazione predominante per una chiesa nata nel nuovo quartiere dei pescatori.
Nel palazzo della famiglia Raffaele Palomba, al Largo della Scarpetta, fu ospite il re Borbonico che era solito portarsi lì ad ammirare la spagnolesca festa dell’Ottava, insieme al suo seguito di nobili, non mancando di salutare prima della partenza la Vergine del Principio. II figlio dì Raffaele sarebbe diventato, come vedremo, un patriota antiborbonico. E in quella stessa casa ci sarebbe stata una perquisizione da parte della polizia borbonica.

All’indomani dell’eruzione, nel 1796, fu fondato il ritiro della Visitazione, presso il convento degli zoccolanti, con il contributo del futuro Venerabile Mariano Arciero che accolse ragazze rimaste orfane dopo l’eruzione catastrofica, le quali si esercitavano a lavori domestici nell’attesa di diventare suore. Subentrò poi il sacerdote Pasquale Lombardo che vi stabilì una congregazione delle suore della Visitazione (istituita da S. Francesco di Sales) costituita dalle orfane ormai cresciute e che avevano vestito l’abito monacale (le suore della mujana) con annessa scuola per l’educazione dei fanciulli.

[Prima parte, dal giornale on line La tofa n° 270, del 25 marzo 2018]

[Per una volta parliamo di Torre Del Greco (1) – Continua]

Immagine di copertina: Pietro Antoniani (1740-50-1805): Eruzione del Vesuvio vista da Torre Annunziata.