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Epicrisi 180. San Silverio, i rifugiati e i ponzesi

di Rosanna Conte
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Il 20 giugno, festa di San Silverio, è anche la Giornata Mondiale del Rifugiato [2] e il nostro sito l’ha registrato con diversi articoli.

Cosa unisce il nostro Santo ai rifugiati? Certamente la sofferenza, l’abbandono, la solitudine, il rischio/certezza di perdere la vita. Lo strabismo con cui ci relazioniamo e giudichiamo condizioni simili vissute in contesti diversi è diventato, purtroppo, senso comune.

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Nel nostro piccolo non troveremo nessun ponzese che non consideri San Silverio [4] vittima di un’ingiustizia che non doveva assolutamente verificarsi e che, se fosse vissuto nel 535, non avrebbe soccorso e curato il papa esiliato. Non so quanti invece abbiano idea che coloro che arrivano con i barconi non debbano mettere piede sul nostro sacro suolo e debbano restare nell’inferno del loro paese. Probabilmente gli esiti delle ultime elezioni ce ne danno una misura, ma credo che sia insufficiente perché l’insofferenza verso chi arriva da noi solo con la sua persona e la sua intelligenza è diffusa al di là delle connotazioni partitiche.

Enzo Jannacci in Quelli che [5] aveva colto l’ispessimento della sensibilità dell’italiano medio in una corteccia di menefreghismo, egoismo, pienezza di sé con esclusione dell’altro dal proprio orizzonte.

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La cifra della mediocrità passa attraverso la deresponsabilizzazione: sono gli altri che devono intervenire sempre e comunque, io osservo, aspetto e giudico.

Se fai notare che invece il santo da cui si chiede protezione – anche quella economica – si è messo in gioco in prima persona ed ha pagato, probabilmente la risposta sarà: “Ma quello è un santo!”.
Chissà quanti ponzesi presenti alla messa solenne mercoledì hanno seguito e apprezzato le parole dell’Arcivescovo, monsignor Luigi Vari, semplici, ma ricche di significato, che spiegavano che la santità è nella capacità di seguire il cuore, l’amore per l’altro.

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Forse la condizione più diffusa è quella descritta nella poesia di Rinaldo Fiore Grida Lontane [8].

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L’indifferenza e la superficialità costituiscono una barriera alla solidarietà umana. Come combatterle?
Gabriella Nardacci nel suo Caro diario [10] mette in evidenza come la scrittura sia uno strumento per sviluppare capacità di riflessione ed affinare la propria sensibilità: la scrittura come salvezza della propria umanità.

Il nostro animo rischia di diventare come il nostro mare pontino snaturato da specie aliene [11], mostruose e pericolose; ma l’animo non si vede e non fa impressione.

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Noi ci fermiamo alla sola percezione e non siamo più in grado di utilizzare gli strumenti superiori della specie umana: la capacità di comprendere con l’intelligenza e col cuore.

Molto è dovuto anche allo specchio di lettura della realtà deformato dai mezzi di comunicazione, sia quelli paludati che quelli più social, che ormai rincorrono il trash per fare audience. Ponza racconta ama, invece, dare anche le notizie buone, umane, come quella di Porte Aperte [13] che si è svolta a Cori e Giulianello in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

Eppure ai ponzesi dovrebbe bastare il ricordo della loro storia per guardare in maniera diversa al problema. La presentazione del libro Ponzesi, gente di mare [14]ha posto in evidenza che nemmeno per le generazioni che ci hanno preceduto la vita è stata facile tanto che sono andati a colonizzare lontani angoli del mondo.

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E se in Sardegna sono riusciti ad imporsi e diventare colonizzatori, tanto che oggi viene dedicata addirittura una strada ad un ponzese a Tortolì [16], non possiamo né dobbiamo dimenticare le sofferenze e le umiliazioni dei ponzesi, come dei tanti italiani, che sono emigrati negli Stati Uniti nello stesso periodo tra fine ’800 e inizi del ’900.

Questione di convergenza fra competenze portate dal migrante come suo capitale e spazi/opportunità dei luoghi? Probabilmente sì.
Pensiamo, capovolgendo i ruoli, ai 50 anni di attività di Settimio [17].
E’ arrivato nel momento opportuno a Ponza e ne ha accompagnato il decollo turistico con le sue competenze nel campo della ristorazione attraversando le estati di piena e quelle di magra e mantenendo sempre il suo locale.

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Per la verità, oggi come una volta, non bastano le sole competenze di mestiere per dare radici e forza alle proprie attività, anche se la complessità delle strutture socio-economiche attuali richiedono conoscenze, saperi e capacità molto più ampie ed affinate di una volta.
E questo è da tener presente nelle difficoltà che attraversa l’isola oggi.
Di certo essere nelle cose, cioè capirne il senso, gli aspetti problematici, viverle aiuta molto a districarsi nella lotta della vita.

I pescatori ranger della Costa Azzurra [19] l’hanno capito ed hanno preso l’iniziativa da soli di proteggere il loro mare, pare con buoni risultati per la loro attività.

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Chi fa da sé fa per tre”: il vecchio proverbio è intramontabile, come dimostra anche la vicenda del Comitato di San Silverio [21] descritto da Franco De Luca. Deve essere stato la stessa riflessione che hanno fatto i fratelli Mazzella [22] quando quarant’anni fa hanno portato la Maddalena a Ponza per integrare e rendere più agevoli i trasporti con la terraferma.

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Non manca l’idea che un pizzico di fortuna potrebbe aiutare l’impegno, quindi non guasterebbe, la presenza di beneauguranti angiulilli [24] che potrebbero illuminarci la strada come le luci bianche che scendono dall’alto nei quadri di Gino Di Prospero [25].

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In questo contesto non posso passare sotto silenzio la perdita di Lucia Migliaccio [27], una donna forte, tenace, combattiva, che ha creato un’attività come quella de “La Scogliera” vivendola pienamente, anche quando stava male. Il suo sorriso ci mancherà.

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Chiudiamo la settimana con notizie del largo mare, del nostro mare [29] diventato incostante e ballerino, e di quei compagni di mare e di pesca (a volte non proprio benevoli) che sono i delfini [30].

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Immagine di copertina. Una festa di San Silverio d’altri tempi. Sono riconoscibili molte persone che non ci sono più (dal blog “Frammenti di Ponza” che ringraziamo)