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La politica come una guerra

di Vincenzo Ambrosino

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Nel 1970 molti giovani, presero la strada della lotta armata: vi ricordate il motto: “mai più senza fucile”?
Giovani universitari ma anche lavoratori fecero delle scelte estreme che li portarono su strade senza via d’uscita per loro, per le loro famiglie ma anche per  l’Italia che subì lutti e disastri.

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In questi ultimi anni abbiamo visto giovani rioccuparsi di politica, organizzare un movimento politico assolutamente dal basso, fare campagne elettorali senza grandi finanziatori, utilizzando le nuove tecnologie ma anche di nuovo il megafono e l’azione diretta in mezzo ai cittadini. Questi giovani contro tutti, soprattutto contro i poteri forti, si sono presentati alle elezioni e hanno preso un grande consenso dai cittadini. Molti cittadini, che da tempo non andavano a votare, in questa ultima tornata elettorale sono ritornati a votare, proprio perché hanno sentito parole nuove e le loro disperazioni sociali ed economiche hanno trovato nuova speranza nei progetti politici di questi giovani.

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Sono arrivati in parlamento in molti ma non erano sufficienti  per costituire una maggioranza e quindi un governo. Questi giovani comunque fino alla fine hanno tentato di dare un governo all’Italia che rispettasse al massimo il voto degli Italiani.

Il Presidente Mattarella ha imposto alle forze politiche le sue ricette costringendo questi giovani, che volevano metterci la  loro faccia e le loro idee per governare l’Italia, a riprendere in mano il megafono e scendere di nuovo nelle piazze.

Questo è il ruolo dei giovani, stare nelle piazze?

Comunque i giovani sanno che anche questa esperienza è utile  per capire in che mondo viviamo e a questo proposito mi sono ricordato di una “parabolella” che dedico a loro:

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Un giovane guerriero seguiva ormai da alcuni anni il suo addestramento, ma stanco degli allenamenti e desideroso di combattere realmente, disse al suo maestro che tra due giorni sarebbe partito in cerca di avventura.
Il saggio maestro non si oppose, ma lo invitò a un allenamento speciale, per completare il suo periodo di addestramento, proprio la notte prima della sua partenza.
Giunta la sera, l’anziano accompagnò il giovane nel bosco e gli disse che in breve avrebbe dovuto affrontare una pericolosa minaccia. Quindi lo lasciò solo.

Il giovane era all’erta, ma nulla si muoveva e il silenzio regnava sovrano.
A un certo punto qualcosa gli morse il braccio. Era un dolore insignificante e non ci fece caso, pensando che fosse qualche insetto notturno.
Rimase invece vigile e attento, ma niente sembrava circondarlo.
Poco dopo, però, qualcosa lo morse alla caviglia, poi la spalla, il collo e nel giro di un minuto si sentì pungere ovunque, percependo come mille insetti che gli camminavano sulla pelle.
Gettò via la spada e iniziò a grattarsi, a levarsi i vestiti e si rese conto che decine di insetti neri erano sulle braccia e sulle gambe, e lo pungevano, arrossando la pelle e cominciando a fargli davvero male.
Cadde, si rotolò sulle foglie, ma tutto era inutile e le punture sempre più forti.
Sembrava che volessero mangiarlo vivo, e che nulla potesse fermarli.
A quel punto il maestro tornò e gli gettò sopra un sacco di farina.
In pochi minuti gli insetti si dileguarono e il giovane, stremato dalle tante ferite e dal tanto agitarsi,
Osservò attonito il vecchio maestro.
“Se non sai riconoscere il tuo nemico” – gli disse aiutandolo a rialzarsi – “a nulla ti serviranno spada e forza!”.
Il giovane restò in silenzio e l’anziano concluse: “non basta essere forte, devi imparare a riconoscere non solo il tuo nemico ma da dove arriva e quali armi utilizza, altrimenti, per quanto in gamba, ne sarai sempre sopraffatto.”

 

Aggiornamento del 30 maggio 2018; inviato in allegato al commento di Tano Pirrone (inserito a cura della Redazione).

Recalcati Repubblica. 30.05 copia.pdf [5]