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Epicrisi 174. Oltre la difficile realtà c’è la speranza

di Rosanna Conte
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Bella questa settimana di Ponzaracconta, piena di tematiche rilevanti che meriterebbero approfondite riflessioni!

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I nostri affezionati lettori avranno di sicuro trovato il loro articolo sia che guardi principalmente ai problemi quotidiani, come i rifiuti abbandonati di cui si parla in Attivamente” vs Rifiuti [3], sia che guardi un po’ più su, come in Le cisterne romane a Ponza non chiudono [4], misurando la distanza che separa la meritoria iniziativa dei giovani dallo sterile botta e risposta tra vecchi di cui Vincenzo Ambrosino fa una sintesi ragionata con relativa proposta in Un manifesto marziano sulle cisterne romane.

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Un capovolgimento che va considerato. I primi hanno capito che è l’esempio, l’iniziativa agita in prima persona che può portare al cambiamento; chi ha più esperienza, invece, pensa che con le parole, artatamente indirizzate, si possa ottenere il piegamento del pensiero altrui.

Certo se l’opposizione si ingegna continuamente a creare diatribe per marcare la sua presenza sul territorio è perché su questo territorio regna l’afasia dell’amministrazione, la cui voce si sente solo come risposta ad accuse, vere o pretestuose che siano.

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Sappiamo tutti che la miglior difesa è l’attacco, e qualsiasi risposta, per quanto articolata non riesce a rimarginare la ferita inferta. Una volta che viene additata come colpevole, specie se ciò non avviene in un consesso di civile confronto, ma nella piazza dei social, dove chi urla di più ha sempre ragione, l’amministrazione può recuperare solo tra coloro che scindono i fatti dal loro racconto.

Mi lascia, quindi, perplessa l’assenza di una strategia comunicativa in un’amministrazione che ha quasi un anno di vita e sa che uno dei lavori più diffusi nella società odierna è proprio l’attività di comunicazione per conto terzi.

Chi riesce a cogliere elementi di realismo in queste diatribe rielaborandole nello spirito dei difetti del ponzese medio è Sang’ ‘i Retunno che, questa settimana, non potendo sottrarsi al succulento tema delle cisterne, l’ha inserito nel tradizionale comportamento deviato di Giggino con il pezzo Cisterne e balocchi [8].

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Uno sguardo diverso richiede I nomi di un paio di faraglioni sconosciuti. [10] Se l’interesse non si ferma alla semplice curiosità, potrebbe diventare espressione di un desiderio di riappropriazione del proprio territorio perché dare nome a qualcosa ha sempre significato possederla con la mente, quindi saperne dell’esistenza, conoscerla.

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In questa direzione si pongono anche quegli articoli che ci rimandano al passato dell’isola che rischia sempre di essere dimenticato.

La storia della nave LST 349. Un racconto di Umberto Natoli [12], riesce a coniugare le odierne immersioni sportive e naturalistiche del Diving con una tragedia del mare di 72 anni fa, una tragedia che non ha colpito direttamente i ponzesi, ma che li ha sconvolti e li ha visti impegnati in interventi di salvataggio che fanno loro onore.

Conoscete la storia di Giuseppe Corti? [13] proposto da Vincenzo Ambrosino, ci richiama alla memoria la vita di un ponzese del secolo scorso. Ce ne parla Silverio Corvisieri, che ne era il nipote, in Zi’ Baldone, ed ha fatto bene Vincenzo a scriverne. Chissà quanti fra i nostri lettori avevano già incrociato questo personaggio squisitamente isolano che ha partecipato attivamente alla grande storia!

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Bellissima è la storia che ci racconta Vincenzo in Il Birillo. Il disegno di mio padre [15]. Quanti ponzesi sono stati prigionieri di guerra, chi degli anglo-americani prima e chi dei tedeschi dopo, e la loro voce è rimasta silenziosa! Forse, come per tutte le esperienze dolorose, si è preferito dimenticare.
Spesso penso a come sia difficile sottrarci ai grandi eventi esterni che avranno sempre una ricaduta sulla nostra isola, e mi chiedo quanto siamo attrezzati per scelte che ci evitino di essere trascinati via dalla storia.

E non mi riferisco alle vicende dei Banchieri di Una famiglia al confino [16], una delle tante sconvolte dal fascismo, ma al nostro tragico presente che ci vede sempre più pochi sull’isola per motivi economico-sociali incistati in una mentalità che privilegia l’individuo alla società, l’interesse personale a quello più ampio della comunità, lo sfruttamento alla tutela.

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La frana di Cala d’Inferno [18] ne è un segnale e Pasquale Scarpati in Ci vuole coraggio… [19] ce lo dice chiaramente e con amore.

Quando frana un costone roccioso è sempre doloroso perché perdiamo un pezzo del nostro mondo conosciuto, ed è irrimediabile come scrive Francesca Caferri in Uomini armati nel giardino dell’Eden [20]dove dà l’allarme per la perdita delle specie vegetali uniche presenti a Socotra a causa della guerra.

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Nonostante ciò, non riusciamo a pensare di dover dare il nostro contributo fatto di piccoli sacrifici per evitare danni del genere.
Eppure siamo noi isolani i veri custodi della nostra terra e aver scelto un turismo poco rispettoso dell’ambiente non va a nostro onore.

Le scelte si compiono cambiando o restando fermi: non serve dire  “è sempre stato così” perché una decisione adeguata anni fa, non può esserlo altrettanto oggi, quando tutto è cambiato.

Ciò che può rimanere inalterato nel tempo è il sacro principio che la natura vada sempre protetta perché è la nostra vera madre. E’ questo lo spirito che attraversa i film di Ermanno Olmi, come dice Michele Serra riportato in La scomparsa di Ermanno Olmi, Michele Serra e Terra Madre. [22]

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Spirito condiviso da Rinaldo Fiore che in La mia Terra Madre [24] ci parla di una terra che alimenta il nostro corpo, la nostra mente, la nostra sensibilità, acuisce le nostre percezioni e se curata continua a darci i suoi doni. Non invecchia come è irrimediabilmente per la nostra madre umana che, secondo il bel racconto di Nino Mallamaci, Pomeriggio con mia madre [25], col passare del tempo diventa lei figlia dei figli.

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Il prossimo anno saremo davanti ad un’altra scelta, visto che si vota per il parlamento europeo, e l’articolo di Javier Cercas riportato in 9 maggio. Il giorno dell’Europa (1) [27] e (2) [28] spinge a riflettere seriamente sul ruolo positivo di questa istituzione.

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L’Unione Europea è l‘unica utopia politica ragionevole che sia stata prodotta sul territorio europeo e bisogna evitare che venga svuotata di senso al suo interno o peggio ancora, come sta succedendo, che venga considerata nociva.

Dobbiamo evitare di restare fermi a guardare. Forse bisogna uscire da un certo nostro fatalismo, lo stesso che Monforte estrapola dal bellissimo libro di Silverio Mazzella, Gente di mare [30]: chi fa il navigante non lo fa per scelta e neanche per necessità. Lo fa e basta.

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Ci può aiutare Quando Ulisse giunse a Ponza [32], in cui Emilio Iodice raccontando un episodio di tanti anni fa, quando a Cala d’Inferno si poteva addirittura scendere per la famosa scala greca, ci stimola a pensare che la nostra isola può offrire percorsi anche mitologici e non solo naturalistici, storici, archeologici, tutti alternativi o complementari al mare e quindi utilizzabili nelle altre stagioni dell’anno. Quando ci attrezziamo per partire?

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A Ventotene arrivano scolaresche per formarsi sull’Europa e noi?

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Aprire l’isola nelle stagioni morte interessa veramente tutti o solo chi è costretto a restare? E se, invece di stare a guardare aspettando tempi buoni per nuove iniziative, chi può e deve cominciasse ad operare guardando all’isola nel suo complesso?

Certo avremmo un piccolo terremoto nel classico spirito ponzese, ma il cambiamento passa sempre attraverso scossoni e – perché no? – capovolgimenti.

Si dice chi di speranza vive, disperato muore, ma, come diceva Eraclito, senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.

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