





|
|||
La storia della nave LST 349. Un racconto di Umberto Natolisegnalato da Giuseppe Cristo . 20 aprile 2018 Cari amici, questo affascinante racconto scritto da Umberto Natoli, giornalista ed esperto subacqueo, ci riporta a momenti drammatici di storia che si sono consumati nelle cristalline acque dell’isola di Ponza: il naufragio della nave americana Landing Ship Tank LST 349. La puntuale ricerca storica dei fatti ci viene raccontata con grande enfasi da Umberto che, oltre alle testimonianze raccolte, ci offre anche un ricco reportage fotografico e la descrizione particolareggiata della immersione. E ora indossiamo maschera e pinne e immergiamoci in questa affascinante lettura!
La storia dell’LST 349: un racconto di Umberto Natoli Un paesaggio mediterraneo bellissimo mi circonda in una splendida giornata di fine estate. Dopo due immersioni sono seduto a prua del Nettuno, la grande e comoda barca del Ponza Diving di Andrea Donati, ancorata a poche decine di metri da Punta Papa. Lo scafo sembra sospeso nell’acqua limpidissima, con sfumature blu e smeraldo. Tutt’attorno è uno spettacolo di luce, di azzurro, di rocce e macchia mediterranea, e sullo sfondo la grande e maestosa sagoma dell’isola di Palmarola. Sotto di noi, a una trentina di metri dall’ancoraggio, giacciono i resti spezzati in due tronconi della nave americana Landing Ship Tank LST 349, affondata il 26 febbraio 1944. La parte di prua, più grande e meglio conservata, giace su un fondale sabbioso a circa 26 metri di profondità, e l’altra si trova più spostata verso l’interno della cala che si apre dopo la punta, sui 22 metri. Conoscevo questo relitto da molto tempo e ricordo ancora qualche frammento di racconto sui concitati momenti dell’affondamento, che ascoltai dai vecchi ponzesi che mi accompagnavano in mare, a metà degli anni ottanta. Il mio interesse e la mia passione per la storia si sono poi riaccese quando il mio amico Andrea Donati, titolare del Ponza Diving e costante frequentatore di questo punto d’immersione, mi ha mostrato qualche mese fa la targhetta di un soldato, che aveva visto luccicare sulla sabbia all’interno di un locale della nave, e che ha raccolto. Riporta il nome di James E. Calvert. Chi era questo soldato? Sarà sopravvissuto al naufragio e che ne è stato di lui? Non era la sola scoperta. Tempo prima Andrea aveva anche trovato i resti di scarponi militari e divise, piuttosto ben conservati, in un punto poco accessibile delle stive. Assorto nei miei pensieri su quell’evento lontano nel tempo, osservo lo scoglio dove urtò la nave e dove si rifugiarono diversi naufraghi, di cui alcuni non sopravvissero. Poi Andrea mi riporta alla realtà avvicinandosi con un piatto di pasta dal sugo profumatissimo, un bicchiere di vino e un sorriso, augurandomi buon appetito. Anche lui si è notevolmente incuriosito e appassionato alla vera storia dell’LST 349, dove accompagna molti subacquei, sempre attentissimo che tutti rispettino il luogo, non asportando nulla e non danneggiando le strutture, e controllando che non vengano effettuate penetrazioni pericolose all’interno, soprattutto per chi non ha particolare esperienza con i relitti. Non ne sapevo molto della vera storia della nave, ma anche nei siti web ponzesi e non solo, e nel passa parola sull’isola, sono riportate informazioni molto imprecise, superficiali e probabilmente un po’ fantasiose, ormai stemperate dal trascorrere del tempo. Ci sono errori nella data dell’affondamento e alcuni riportano che la nave era inglese, invece era americana. Decidiamo di approfondire le ricerche e Andrea mi mette in contatto con un giovane ponzese appassionato della sua isola, Giuseppe Cristo e con un suo amico Andrea De Martino. I vecchi pescatori ponzesi che avevo conosciuto tanti anni fa e che vissero quei lontani eventi li ho cercati, ma ormai non ci sono più, così con l’aiuto di Giuseppe cerchiamo di ricostruire per quanto possibile la vera storia dell’LST 349 e di trovare ancora qualche testimone sopravvissuto, e uno lo troviamo, anzi una, Lidia Jodice, ma prima di parlare dei suoi racconti, cerchiamo di riassumere le notizie più certe sulla nave. Le fonti più attendibili sono indubbiamente quelle fornite dal sito storico americano NavSource Naval History che nella scheda riporta molti dati tecnici dettagliati proprio sull’LST 349 e diverse foto di soldati e marinai. Altro riferimento importante è l’ottimo lavoro di ricerca fatto qualche anno fa dai curatori del sito italiano Gravitazero.org – storia & relitti, un’associazione di subacquei no profit che studia i relitti di aerei e navi da guerra e mercantili affondati nel Mediterraneo, che con passione ha ricostruito, grazie in particolare all’impegno di Davide De Benedictis, una storia seria e dettagliata del drammatico affondamento, con un attento lavoro di ricerca di testimonianze presso singoli studiosi e presso vari centri di documentazione. La costruzione della nave fu iniziata a Norfolk Navy Yard in Virginia il 10 novembre 1942 ed il varo avvenne a tempo di record il 7 febbraio 1943. Era una Landing Ship Tank, lunga, per la precisione, metri 99,97 e con una larghezza di metri 15,24, a fondo piatto. Progettata per il trasporto di mezzi su ruote e cingolati, come carri armati, ma anche di uomini e rifornimenti, disponeva di una stiva molto capiente con un grande portellone a prua, e con una concezione molto simile a quella di un moderno traghetto. Veniva sfruttato anche il ponte superiore attraverso un capiente carrello elevatore per i mezzi pesanti e varie gru. Gli armamenti erano costituiti da cannoni da 40 mm e da mitragliatrici da 20 mm. Un’esplosione squarcia in due lo scafo ed i due tronconi rapidamente affondano. Molti uomini rimangono in acqua o restano abbarbicati sulle rocce taglienti spazzate dalla violenza delle onde. Saranno in tanti a non farcela. Le loro grida rimasero nelle menti e nel cuore dei ponzesi, come quel pescatore, di cui non ricordo più il nome, che nei primi anni ottanta mi accompagnò con il suo gozzo a fare immersioni, raccontandomi anche quanto vide quella mattina. Era un uomo forte e massiccio come una quercia, e rimasi molto turbato quando gli vidi spuntare negli occhi qualche lacrima nel ricordare quel rumore tremendo dei colpi della nave, e la terribile sensazione d’impotenza nel non poter salvare quei ragazzi che gridavano disperati attaccati alle rocce. Tanti furono però anche i gesti di altruismo e coraggio di chi si prodigò per aiutare i naufraghi, come Fred Goddard un ufficiale di volo della RAF di stanza a Ponza, e arrivato con i soccorritori da terra, che si gettò in mare per salvare un prigioniero tedesco. Lotterà per più di un’ora con le onde, poi sparirà, e il suo corpo non fu più trovato. Resistettero sullo scoglio esterno di Punta Papa per qualche ora il primo ufficiale David Dyer e il medico di bordo Joan H. Wolf, poi il mare portò via anche loro. Vi furono errori di ancoraggio e di manovra, o ritardo nell’esecuzione di ordini? Non lo sapremo mai con esattezza, ma il comandante Emmons, sopravvissuto, fu poi destinatario di un provvedimento di richiamo. Nel primo dopoguerra i sommozzatori della Marina Italiana recuperarono i camion e molto materiale asportabile del carico, grazie alla bassa profondità, ma ciò che rimaneva della struttura e degli armamenti del relitto è rimasto sostanzialmente intatto. L’immersione Oggi l’LST 349 costituisce un relitto di guerra molto suggestivo, anche per la sua storia, e tra i più facili da visitare del mare italiano, immerso in un’acqua sempre molto limpida. Poggia interamente su un fondale di sabbia molto chiara, con la prua che tocca la profondità massima di 26 metri, con una quota operativa media per i sub di 23/24 metri nelle parti più basse, mentre le strutture superiori del ponte si trovano ad una quota media di 20 metri. I due tronconi distano circa 50 metri l’uno dall’altro e quello di poppa poggia su un fondale massimo di 22 metri e con una media operativa di 18 metri. Con il Nettuno, l’imbarcazione del Ponza Diving, ci si ancora poco distante dalla scogliera di Punta Papa, ridossata ai venti del primo e del secondo quadrante, in modo da poter scendere in acqua fino ad una decina di metri di profondità lungo le rocce che raggiungono poi rapidamente la sabbia sui 15 metri. A questa quota, spostandosi verso l’esterno, dove il fondale è leggermente digradante, appare subito in tutta la sua maestosità la grande sagoma del troncone di prua, il più grande del relitto, che si raggiunge con pochi colpi di pinna. Conviene iniziare la visita portandosi a mezza quota, sui 20 metri, fino alla prua, per osservare un po’ da lontano la suggestiva sagoma della nave con il cannone da 40 mm ancora puntato. Poi è consigliabile scendere alla massima quota di 26 metri dove si trova il portellone di prua aperto poggiato sulla sabbia. La grande stiva appare tagliata da lame di luce che scendono dai boccaporti e dagli squarci nelle lamiere e fanno assomigliare l’ambiente a una cattedrale. Sui fianchi delle pareti interne, vicino all’apertura del portellone, si sono sviluppate alcune colonie di gorgonie, che con il loro colore giallo arancio vivificano la monocromia verde del relitto. Il passaggio è molto ampio e non crea nessun problema. Verso la fine della capiente stiva, dove si apre il grande squarcio dell’esplosione, si trovano tutt’attorno vari passaggi che immettono nelle parti interne. Quelli più a contatto con il fondo sono ingombri di sabbia, che nel tempo si sposta, data la bassa profondità, accumulandosi o scoprendosi nei vari punti, a seguito di forti mareggiate o di correnti. Infatti da un anno all’altro questi ambienti possono allargarsi o restringersi. Più in alto, ad una quota di circa 22/23 metri, sono facilmente percorribili in tutta tranquillità un paio di locali, di cui uno conserva una scaletta di accesso e un quadro comandi con alcune spie in vetro blu molto concrezionato, e un altro conserva i resti di strutture di brande a castello. Sui soffitti ancora resiste qualche lampada protetta da una gabbia di metallo. Se si ha l’opportunità di immergersi con pochi sub sull’LST 349, e addirittura con il rebreather, si può assistere a un carosello entusiasmante di pesce bianco, come grossi saraghi, tanute, occhiate, qualche orata, che brucano sul ponte. In un pomeriggio di fine settembre eravamo in due sub e potemmo ammirare dei possenti dentici che si muovevano attorno al cannone di prua: uno spettacolo bellissimo. Non consiglio nella stessa immersione di esplorare i due tronconi per evitare di percorrere troppa distanza, a meno che non si utilizza uno scooter subacqueo, noleggiabile presso il Ponza Diving. E’ consigliabile invece usare una miscela nitrox. Meglio effettuare una seconda immersione programmando, nella stessa, due esplorazioni. Prima una veloce visita alla parte poppiera, sicuramente meno interessante, con massima profondità 22 metri e media profondità 18 metri, dove si trovano solo: la struttura di una torretta con una scala, un ampio locale vuoto con i resti di sgabelli a muro pieghevoli ed un corridoio con il fondo ingombro di sabbia. Il tutto da effettuare sufficientemente in una manciata di minuti. Successivamente è consigliabile rientrare osservando bene e con calma la parete rocciosa, molto graziosa, che va mantenuta sulla destra, a quote molto più basse, dove è possibile incontrare qualche simpatica cernia, polpi, murene e pesce bianco, fino alla zona dell’ormeggio. Insomma l’LST 349 è un gran bello relitto, non solo per i suoi interessanti aspetti tecnici, ma anche per come ce lo presenta Andrea Donati: un luogo di memoria che va visitato con rispetto per il sacrificio di tanti ragazzi, e per le gesta di eroismo e di altruismo di soldati e di civili ponzesi, di cui fu teatro. Umberto Natoli
fonte: SIMSI – Società Italiana di Medicina Subacquea ed Iperbarica
– Storia di un naufragio di Silverio Lamonica .
L’impressionante video della tragedia, girato in quelle condizioni assolutamente drammatiche da un cine-operatore di guerra, presente a bordo della nave, si trova in parte su YouTube, montato insieme ad immagini subacquee assolutamente più recenti.
.
.
Il video originale invece, così come fu filmato, si può acquistare on-line e/o vedere in preview al link sottoriportato:
.
1 commento per La storia della nave LST 349. Un racconto di Umberto NatoliDevi essere collegato per poter inserire un commento. |
|||
Ponza Racconta © 2019 - Tutti i diritti riservati - Realizzato da Antonio Capone |
A cura della Redazione, in fondo all’articolo, sono stati aggiunti ‘in chiaro’ due video originali della tragedia