Ambiente e Natura

Una lezione di grande umanità

di Vincenzo Ambrosino

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Il 25 aprile la Festa della Liberazione ha dato anche a noi l’occasione di parlare del modo di commemorare i morti e stimolati da Biagio Vitiello (leggi qui) abbiamo parlato anche dei morti libici.

Ugo Foscolo, ne I Sepolcri, lo aveva inteso perfettamente: “Una società che non conserva il culto dei morti fra i suoi valori spirituali più preziosi, non merita di sopravvivere”.

Successe a Ponza nel 1912 che un burocrate di quello Stato fece un atto inaspettato e di grande valore educativo per i posteri. Una lezione di grande umanità per tutti noi che non sappiamo ancora comportarci dopo settant’anni di pace e di libertà. Pace e libertà nati dalla guerra e dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

Dopo la spedizione militare in Libia, il governo aveva deciso di deportare nelle isole italiane un certo numero di libici sospettati di fomentare la resistenza contro l’occupazione coloniale. Il 18 dicembre del 1912 erano presenti a Ponza 450 deportati libici.
Furono ammassati nei cameroni. Le condizioni igieniche erano paurose. Soffrirono la fame e siccome erano abituati a climi più caldi, soffrirono ancora di più il freddo per cui in tanti si ammalarono e a decina morirono.

In  quei tempi  si gettavano i semi per quel delirio nazionalistico che successivamente avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella nascita del fascismo.
Gabriele D’Annunzio declamava sul Corriere della Sera: “Occhio alla mira ferma cristiani/Solo chi sbaglia il colpo è peccatore/Vi sovvenga! Non uomini ma cani./ Per secoli e secoli d’orrore/ Vi sovvenga! Dilaniano i feriti/ sgozzano gli inermi, corrono all’odore/ dei cadaveri, i corpi seppelliti/ dissotterrano, mutilano i morti!”

E così in questo clima di odio e di forte razzismo quei ragazzi libici, arrivati in buona salute nei nostri cameroni, si ammalavano con molta rapidità; ridotte le loro difese immunitarie, venivano assaliti da malattie allora difficili da curare. La tubercolosi e la broncopolmonite portarono alla morte di decine di giovani arabi. Ma a nessuno interessava la loro sorte. Ci furono anche delle ispezioni che invece di risolvere i problemi – igienici sanitari, di alimentazione e di cure mediche ai prigionieri – li aggravarono.

Ma nel 1912 nella nostra isola passò un uomo, seppur per pochi mesi, il commissario prefettizio Claudio Rugarli che nel Consiglio Comunale di commiato pronunciò, con tono sommesso, un discorso molto forte che per quanto mi riguarda è una grande lezione per tutti noi.

Nella sua relazione finale analizzò la situazione economica del Comune, sottolineò la gentilezza che gli abitanti  avevano avuto nei suoi confronti, rimarcò la correttezza dei rapporti che i rappresentanti dei vari partiti avevano mantenuto, non dimenticò di esaltare le bellezze naturali dell’isola ma mise anche in luce la mancanza di una vera e sincera vita sociale degli isolani.
Fin qui la sua relazione si mantenne nelle normali aspettative di una disamina burocratica, ma nel mezzo della sua relazione collocò a sorpresa un brano riguardante i deportati libici morti durante la sua permanenza a Ponza.

Infatti nel trattare la pessima situazione di una parte del cimitero – come ha fatto l’amico Biagio per dire che la storia non cambia – il Commissario Rugarli ricordò che proprio lì erano sepolti dieci degli arabi “…qui deportati dalla Tripolitania e dalla Cirenaica e che morirono in Ponza nella infermeria della colonia penale”.
E aggiunse: “Io ne registro qui i nomi, non  già per onorarli giacché furono nostri nemici in territorio guerreggiato, ma per l’importanza che ha il fatto storico, che merita di essere segnalato e mandato ai posteri”.
Sotto lo sguardo incredulo e inconsapevole dei consiglieri comunali  pronunciò uno ad uno i nomi, i cognomi e le date di morte dei dieci libici quasi a voler ricordare a tutti i presenti che di essere umani si trattava e non di animali o cose.

Il commissario prefettizio Rugarli, l’ho definito un vero uomo perché in quel clima di odio riuscì a trovare il coraggio di tirare fuori il vero significato di essere umano e infatti  a rimarcare l’importanza e la consapevolezza storico-simbolica del suo atto terminò il suo elenco dei morti libici dicendo:“ho pur creduto, di compiere un atto di civiltà facendo apporre sulle rispettive fosse una tabella segnalante il nome, cognome e la data del decesso di ciascuno”.

Ecco, Martina come Rosanna hanno avuto un dubbio: se era giusto mescolare nel ricordo i morti fascisti con gli antifascisti, e questo dubbio lo hanno avuto nel 2018, dopo 70 anni di pace, di libertà e di democrazia, a 100 anni dalla vicenda che ho riletto nelle pagine di Storia.

Quel Commissario Rugarli – in quel clima di guerra e in quel contesto fomentato dall’odio rappresentati bene nei versi di D’Annunzio – non esita a chiarire da che parte stare, forse ispirato dall’altro poeta italiano Ugo Foscolo che fa compiere ad Achille  – che pur aveva giurato a Ettore morente di lasciare il suo corpo in pasto alle belve feroci –  un atto di pietà: davanti alle lacrime di Priamo restituisce al vecchio re di Troia il cadavere, perché questi possa dare al figlio le degne esequie.

Achille trascina il corpo senza vita di Ettore attorno a Troia. Affresco della fine del XIX secolo nel palazzo dell’Achilleion a Corfù, in Grecia

Priamo supplica Achille per la restituzione del corpo di Ettore. Di Bertel Thorvaldsen (1845).
Accademia di San Luca, Roma

 

2 Comments

2 Comments

  1. Rosanna Conte

    1 Maggio 2018 at 22:18

    Vedi Vincenzo, è sempre e proprio una questione di valori.
    Foscolo, che tu porti ad esempio, non riteneva che tutti i morti fossero uguali. Le tombe di coloro che da vivi erano stati capaci di suscitare e coltivare affetti – quindi siamo a livello personale – sarebbero state curate e i vivi avrebbero provato quella celeste dote che è la corrispondenza di amorosi sensi passando davanti alle loro tombe. Le altre sarebbero state ben presto coperte dalle ortiche, nonostante le sepolture fossero tra le prime conquiste della civiltà.
    Ma andando oltre Foscolo eleva a grande sacrario italiano la chiesa di Santa Croce, perché lì sono sepolti coloro che A egregie cose il forte animo accendono…, cioè coloro che hanno lasciato col loro esempio valori a cui gli italiani possono ispirarsi per far risorgere la loro patria.
    Il recupero della memoria dei libici fatta dal commissario Rugarli, va nella stessa direzione quando condanna il disprezzo per la vita umana, anche se nemica, come è accaduto con i prigionieri libici, ma non mi trova concorde l’affermazione di “non già per onorarli giacché furono nostri nemici in territorio guerreggiato”, poiché quei libici stavano combattendo per la loro patria e la loro libertà contro di noi che ne avevamo invaso il territorio. Quale valore bisogna onorare: la pace, il rispetto umano, la non violenza o l’attacco imperialista che ha fatto stragi in Libia e qui a Ponza?
    Se le tombe e le lapidi sono cose sacre e vogliono mandare messaggi ad una comunità, dobbiamo ben sapere quali valori promanano, altrimenti non solo si crea confusione, ma si perdono anche i valori. Così il senso di umanità che si applica ai vivi e la pietà che si applica ai morti, possono essere presenti in amici e nemici; ma valori come la libertà, la democrazia, la solidarietà li possiamo trovare solo in chi ha combattuto per esse e non anche in chi ha combattuto contro di esse.

  2. vincenzo

    2 Maggio 2018 at 09:01

    Stiamo ai fatti: Rugarli poteva stare nel branco e lasciare quei morti libici nelle fosse comuni ma non l’ha fatto ha dato a quei giovani uomini (non cani, non nemici) una tomba con un nome e una data. Poi saranno i posteri a decidere se riempirla di fiori o di sputi. Ma anche qui dobbiamo dire che davanti al cadavere morto, che è comunque il perdente perché sconfitto dalla perdita della vita è sempre il vincitore a dover riconoscere il diritto alle armi e ancora di più alla dignità di uomo: un sepolcro davanti al quale, il cristiano, o l’ateo il fascista o il comunista, il guerriero o il pacifista, l’uomo del 1946 o l’uomo del 2018 – sbagliando – daranno significati diversi.
    Quindi almeno cominciamo a riconoscere all’uomo il diritto ad un Sepolcro con un nome e una data.
    Achille era inferocito voleva far sbranare Ettore ma non l’ha fatto! Si è fermato un attimo prima davanti al cadavere, davanti al pianto di Priamo, ha pensato forse a se stesso e a suo padre a sua madre, per cui quel corpo morto, sconfitto, non era più il nemico da dilaniare ma una storia, un uomo che aveva sbagliato per lui ma che aveva il diritto di tornare ai suoi affetti.

    Ma andiamo oltre: quando l’uomo nasce, ha il diritto di vivere da uomo in mezzo ad uomini e non diventare fascista, comunista, sionista, integralista, terrorista. Ma non è possibile perché a quel bambino non viene insegnato vivere da uomo. E quindi alla fine della sua erronea esistenza ha l’unico diritto che siamo riusciti a riconoscergli finire in una tomba.
    Le tombe sono tombe non creano confusione. Bisogna insegnare che quando si va al cimitero si va in un luogo dove non esistono simboli ma esistono storie di tentativi di vite. E a fianco a fianco dormono fascisti e comunisti, mafiosi e santi, martiri e carnefici, poveri e ricchi che non sono stati capaci di convivere per colpa delle circostanze costruite dai pochi per sopraffare i tanti.
    Noi adesso che abbiamo visto tante cose in più di quelli che sono passati su questa terra, ragioniamo – anche a cospetto dei morti – con la presunzioni di essere giunti alla verità ma invece continuiamo a commettere errori e a giudicare con canoni valoriali da dopoguerra.
    Rugarli che viveva in un clima di guerra ha dimostrato di essere in grado di fare un gesto di umanità che va ricordato ed oggi ci ha permesso di riflettere. Questo è tutto!

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