Ambiente e Natura

‘U centrauallo

di Francesco De Luca

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“Guarda… Sofia… quell’uccello con la cresta marrone… guarda il becco come è… mannaggia… è scappato. Ritornerà… e… lo sai come si chiama? Si chiama upupa”.

Sofia guarda, l’uccello s’è posato dietro una macchia. Interviene nonno Angelo, da lontano… “si chiama centrauallo… centra-uallo.

Un’acqua fine cade da un cielo coperto, e riporto Sofia in casa. Tutto favorisce la migrazione in atto.

Fricceca, zompe,
becca ‘u perrillo,
‘’a copp’ all’asteco
roseca ‘u crasteco,
ind’ ‘i catene arape i scelle
‘u centrauallo.

La migrazione. Agita gli animi dei Ponzesi, li sradica dall’apatia e li sospinge alla terra, a quanto frulla nel vento appiccicoso del libeccio, e nelle macchie si fionda ansioso.

Ci si rifocilla, ci si distende, e al tramonto si riprende il cammino.

L’isola vale una semplice sosta. Sui colli aerei breve è il godere del sole, parco è il pasto, fugace lo scambio di trilli. L’andare è la bramosia. O il destino.

Come è stato per i Ponzesi per lunghi periodi della loro storia. Lasciare l’isola per andare a pescare lontano. Con l’assillo di guadagnare il necessario per la famiglia e poi ritornare sull’isola. E trovarla diversa, indifferente perché chi risiede costruisce sulla continuità. Proprio quella che essi, operai del mare, non riuscivano a godere. E ne soffrivano.

Non gli uccelli che godono di una leggerezza che gli uomini non hanno.

Per loro la ferma sull’isola è una fortunata opportunità. Ai Ponzesi così appare. E la gioia si contagia.

‘A runnenella disegna figure ind’u cielo,
‘u sbirro pare ca ioche a cchiappa’,
‘u perrillo ind’ i fronne d’ i carcioffele s’annasconne,
e ‘a bellezza c’a gioia
se cunfonne.

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