Attualità

Pasolini e il dialetto

proposto da Sandro Russo

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Sint se bon odour q’al sofla dal nustri paìs…
Odour di fen e di erbis bagnadis;
odour di fogolars;
odour ch’i sintivi di fantassìn tornant dal camp.

Senti che buon odore che soffia dal nostro paese;
odore di fieno e di erbe bagnate,
odore di focolari,
odore che io sentivo da ragazzo tornando dal campo.

Interessandomi e leggendo più a fondo di dialetti e sul dialetto, mi sono reso conto che è impossibile non parlare dell’opera e delle posizioni di Pierpaolo Pasolini, al riguardo.
Ne è venuto fuori un collage sintetico di momenti della sua vita (1922-1975), stralci di sue poesie e scritti critici riguardanti il dialetto.
Il tutto da inserire nel grande mare di tutto quel che sul dialetto andiamo scrivendo sul sito, fin dai suoi inizi (leggi anche qui).

Qualche informazione di base sul dialetto friulano:
Il “friulano”, più che un dialetto, è una lingua romanza, facente parte del gruppo delle lingue gallo-romanze. Altre fonti privilegiano l’appartenenza del friulano al gruppo ladino. In applicazione all’art. 6 della Costituzione italiana – la lingua friulana è riconosciuta e tutelata in quanto lingua propria della “minoranza linguistica storica friulana“, riconosciuta e tutelata anche dall’Unione Europea.
Fu solo nel 1996 che venne definita l’attuale Grafie uficiâl (Grafia ufficiale), frutto del lungo lavoro di una Commissione pubblica creata dalle provincie di Udine, Pordenone e Gorizia: che ha elaborato una grafia il più possibile coerente ponendo così fine alla anarchia grafica fino ad allora esistente [art. 13, comma 2 della L.R. (Friuli- Vg) 15/96] (da Wikipedia – ibidem).

“Vi sono due momenti, nella vita e nell’opera di Pasolini, che paiono richiamarsi di continuo. Il primo è quello degli anni di Casarsa, in Friuli, paese natale della madre, in cui i due vissero stabilmente dal ’42 all’inizio del ’50; il secondo è quello conclusivo, della prima metà degli anni Settanta, segnato dall’intuizione della “mutazione antropologica” subita dagli italiani, fatta oggetto di numerosi articoli, confluiti poi nelle raccolte Lettere luterane e Scritti corsari. Le Poesie a Casarsa, di cui si accorse subito Contini, è uno dei libri più belli di Pasolini: scritto nel dialetto della riva destra del Tagliamento, di cà da l’aga (di qua dall’acqua) che mai era stato scritto; un dialetto naturalmente vivo e poetico, grezzo e dolce, pieno di una “scontrosa grazia”, avrebbe detto Saba” (Carlo Bortolozzo).
Tra i due periodi, dal trasferimento a Roma alla data della sua morte, intercorrono cinque lustri di intensa attività letteraria e cinematografica, “culturale” ai livelli più alti, per cui conosciamo oggi Pasolini.

Pasolini con la madre Susanna Colussi

“La posizione di Pier Paolo Pasolini nei confronti del dialetto ha una duplice motivazione: una affettivo-romantica, legata al carattere bucolico dell’entourage familiare contadino della madre; l’altra politica, di opposizione al paradigma che recita: dialetto = autonomia regionale = frammentazione nazionale”.
Viceversa ne avvertiva la spontaneità, la purezza delle origini, la musicalità intrinseca.

“Pasolini si accostava a qualsiasi dialetto come ci si accosta una lingua straniera; non come a un espediente letterario o formale, da sfruttare per aggiungere «colore», ma con il rispetto che si riserva a una cultura da difendere e salvare dall’aggressione di una barbarie massificata.

Locandina de “Il Decameron” (1971)

Con il friulano non aveva un rapporto distaccato. Lo coltivava con affetto, come successivamente farà con altri dialetti: il romanesco (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Accattone), il napoletano (Decameròn), il lucano, il calabrese, l’abruzzese (Vangelo secondo Matteo), le lingue e i dialetti africani e orientali. Ne paventava la fine, anzi la preannunziava. E così gli pareva imminente la fine di ogni civiltà contadina e artigiana in ogni parte del mondo. Nei suoi viaggi in Africa e in Oriente lamentava come ogni cultura e, in particolare, ogni lingua venisse sopraffatta dal modello occidentale.

Quando si stabilisce a Roma, è naturale che si innamori del dialetto romanesco, di quello sottoproletario molto più che di quello degli ambienti colti. Legge il Belli, che considera capace di acuta riflessione sull’ambiente romano: la plebe ottocentesca descritta realisticamente nel suo esibizionismo e nella sua sensualità; dopo il Belli nessun dialettale romano è stato realistico come lui.

Pasolini con Maria Callas, interprete di Medea (1969)

Con questi intendimenti nel 1958 in Belgio cerca elementi linguistici tra i minatori italiani.
Progetta Il Rio della Grana in cui tenterà di descrivere le parlate contaminate di calabresi e abruzzesi emigrati a Roma, ma abbandona il progetto quando si accorge che il gergo dialettale sta scomparendo, mentre velocemente e inesorabilmente si sta imponendo l’italiano comune dei media.
Continua a visitare l’Africa e l’Oriente rilevando la scomparsa di lingue e dialetti.
E’ del 1970 Il Decaremòn in dialetto e in musiche napoletane.
Si fanno sempre più violente le sue accuse contro la massiccia acculturazione da parte del sistema borghese.

Pasolini sul set de La ricotta, episodio del film Ro.Go.Pa.G. (Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti del 1963)

“Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini in Dialetto e poesia popolare, testo critico del 1951.
All’esaltazione del dialetto oppone una severa critica della società post-industriale e massificata.

«La so storia a è duta lì, lavorà, preà, patì, murì»
La sua storia è tutta lì, lavorare, pregare, soffrire, morire
[In «Stroligut di ca da l’aga», agosto 1944].

“La società italiana di oggi non è più clerico-fascista: essa è consumistica e permissiva”. Ora è subentrata l’intolleranza reale dei falsi tolleranti, con l’imposizione di nuovi obblighi sociali, per cui “chi non è in coppia non è un uomo moderno, come chi non beve Petrus o Cynar. Le società arcaiche, compresa quella fascista, “avevano bisogno di soldati, e inoltre di santi e di artisti mentre la società permissiva non ha bisogno che di consumatori”.

Il nuovo potere, ben più pervasivo di quello fascista, che lasciò inalterata l’identità profonda degli italiani, non sa che farsene di religioni e di ideali. “Come polli d’allevamento, gli italiani hanno subito assorbito la nuova ideologia irreligiosa e antisentimentale del potere: tale è la forza di attrazione e di convinzione della nuova qualità di vita che il potere promette, e tale è, insieme, la forza degli strumenti di comunicazione (specie la televisione) di cui il potere dispone. Come polli d’allevamento, gli italiani hanno accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del consumo”.
«Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita» (1962).

“Nella letteratura, il dialetto può entrare – a incastro, a inserzione, a reagente – con due diverse funzioni: una che potremmo chiamare soggettiva, e un’altra oggettiva. Del primo caso abbiamo un esempio così tipico e clamoroso, che basta da solo a colmare un piatto della bilancia. È il caso di Carlo Emilio Gadda … nella mimetizzazione del suo monologo interiore: chi monologa è Gadda. …Gadda s’impossessa con una vorace zampata di un brandello di anima dialettale-realistica e la schiaffa sanguinolenta e piccante nel mosaico. L’altro caso, quello a funzione oggettiva … comprende la produzione neorealistica, ed è di origine e forma interna verghiana … Da ciò risulta chiara la sua funzione oggettiva: il calarsi cioè dell’autore al livello del suo oggetto”.

Pasolini in una pausa di una partita di calcio

Saggi specifici sul dialetto
Partendo da Dialet, lenga e stil del 1944, in cui si adopera nell’analizzare il rapporto tra la lingua nazionale e il dialetto locale – risalendo addirittura ai tempi in cui il latino era lingua ufficiale e l’italiano soltanto un dialetto – sono molti i testi in cui l’autore ripercorrerà le origini storiche, geografiche e culturali della tradizione orale. Ne citiamo soltanto tre, scelti unicamente per l’ampiezza delle considerazioni in essi contenuti: Sulla poesia dialettale del 1947, Pamphlet dialettale apparso tra il 1952 e il 1953, Passione e ideologia composto tra il 1948 e il 1958.

Sulla poesia dialettale è un’accurata analisi dei grandi dialettali dell’Ottocento, corredata da una fine osservazione delle influenze romantiche sulla scelta del dialetto come mezzo espressivo più “autentico”: “La verginità del dialetto, con quanto di equivoco può in essa sussistere, correda subito di una ragione poetica … gli oggetti che semplicemente vengono. Riprendendo un’idea di Coleridge, si potrebbe dire che la poesia dialettale è un paesaggio notturno colpito a un tratto dalla luce. Per quanto mediocre essa sia… pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio”.
Senza contare l’annotazione sull’importanza dell’intraducibilità della poesia dialettale – “l’intraducibilità è sempre stata la passione dei dialettali” – dove con “intraducibilità” s’intende sia la mancanza di corrispettivo italiano, sia il valore onomatopeico del suono originario”. Ma come rendere il suono nello scritto?

Il Pamphlet dialettale opera invece una sovrapposizione tra la poetica romantica e la poetica veristica, esaminandone il diverso uso del dialetto: già ne I dialettali (1952) aveva sottoposto all’attenzione della critica la differenza tra l’idioma dialettale strumento del verismo, incentrato sulla realtà esterna, e la scrittura dialettale romantica, voce dell’intimo e dell’anima.

Passione e ideologia è forse, nei suoi dieci anni di stesura, l’opera più completa. Dall’analisi storico-geografica e dalla distinzione tra generi – poesia dialettale, poesia popolare, poesia folclorica e canti militari – si passa alla critica dei singoli autori di opere in dialetto: Pascoli, Montale e Gadda, per citarne alcuni. Costante sarà l’attenzione per la narrativa dialettale contemporanea.

 

Per chiudere, una poesia di Pier Paolo Pasolini, ma prima volevo dichiarare di condividere pienamente il suo punto di vista sul dialetto; lo conoscevo per sommi capi; man mano che andavo avanti, sempre di più mi ci sono riconosciuto. Ma è impressionante l’originalità e modernità delle sue idee, se si pensa che queste cose le pensava 40-50 anni fa..!

 Madonuta 

Madonuta, a mi a no mi impuarta di nuia romài.
Vecia e sola ch’i soi, in pont di muàrt,
nuja a mi resta pí di spetá al mont.
Ma ben par chistu tu ti às
di scoltà di pí
la me preiera.
Salva il nustri país,
salvilu
E ten lontana la muàrt
dai puors fantàs,
ch’e àn tant da vivi
enciamò,
e gioldi, e ciantà, e
lavorà, e balà,
e amà e preati.
Amen.

Madonnina

Madonnina, a me non importa di niente oramai.
Vecchia e sola che sono in punto di morte,
niente mi resta più d’aspettare al mondo.
Ma ben per questo tu devi
ascoltare dippiù
la mia preghiera.
Salva il nostro paese,
salvalo
E tieni lontana la morte
dai poveri giovani,
che tanto ancora hanno da vivere
ancora
e godere, e cantare, e
lavorare, e ballare.
E amare e pregarti.
Amen.

[da: I Turcs tal Friúl, 1976]

 

Siti consultati e fonti delle citazioni usate per la preparazione di questo articolo:

Letture/ Tra il Friuli e Roma, le periferie esistenziali di Pasolini (di Carlo Bortolozzo)

Pasolini: sul dialetto 

Pier Paolo Pasolini, il dialetto e la cultura contadina – ItaliaLibri

 

3 Comments

3 Comments

  1. Pino Moroni

    31 Marzo 2018 at 06:22

    Bello scritto sulla grande intuizione di Pasolini (circa 50 anni fa) sulla fine di tutti i dialetti.
    PPP pensava alla prevalenza di un lingua italiana media culturalmente borghese.
    Con l’arrivo dell’informatica e dei social è avvenuta invece una nuova mutazione, una nuova lingua fatta di poche parole italiane, americanismi e acronimi.
    Lo potremmo chiamare un nuovo dialetto di tecnologia globalizzata.

  2. Adriano Madonna

    31 Marzo 2018 at 10:51

    Com’è bello leggere scritti “trasudanti cultura”, come questo articolo di Sandro Russo, che ho letto più volte, sempre provando lo stesso interesse.
    Del resto, caro Sandro, i tuoi articoli sono tutti così, lo notavo già diverso tempo fa, e danno un bel lustro al sito di PonzaRacconta.
    Buona Pasqua a tutti
    Adriano

  3. vincenzo

    31 Marzo 2018 at 11:37

    “La nuova gioventù” è l’ultimo libro pubblicato in vita da Pier Paolo Pasolini…….. Scritti in quel friulano che Pasolini, parlando di sé in terza persona, aveva già definito “una lingua non sua, ma materna, non sua, ma parlata da coloro che egli amava con dolcezza e violenza”, i testi sono sempre seguiti da una traduzione dell’autore. Come scrive Franco Marcoaldi nella prefazione che accompagna questa nuova edizione dell’opera, “di fronte al trionfo di disumanità che ci circonda, avvertiamo la stessa, irriferibile nostalgia per un mondo magari più modesto, più povero, più semplice, ma anche più serio, severo, compassionevole. Capace ancora di gesti di umanità, autenticità, innocenza”.

    E’ sempre la stessa cosa “Nostalgia” per un mondo che non c’è più.

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