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Il Giovane e il Mare. Una storia vera di Coraggio, Fede e Speranza (4)

di Emilio Iodice

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Il mattino seguente Emiliano si svegliò con il ruggito del mare che si infrangeva sui banchi di sabbia. Sul tavolo c’erano noci, frutta essiccata, pane e acqua; stava morendo di fame. Dopo aver mangiato uscì fuori, il tempo si era un po’ calmato ma le onde erano ancora alte. Le fiamme si erano spente e non riusciva a vedere navi in lontananza. Cercò il vecchio uomo, ma non riuscì a trovarlo. Chi era? Come poteva sopravvivere sopra questo ciottolo nel mare? Perché lo aveva aiutato? Emiliano era molto confuso; per ora, la cosa più importante era sopravvivere e fare tutto quello che poteva per aiutare i suoi compagni, se mai qualcuno di loro fosse stato ancora vivo.

I venti invernali sferzavano Palmarola, così Emiliano passò il resto della giornata nella capanna, tenendosi al caldo. Quella sera avrebbe acceso un altro fuoco e pregato il suo santo patrono, San Silverio, di aiutarlo a superare questa enorme sfida.

Mentre Emiliano rimaneva al sicuro nella capanna, Silverio si aggrappava alla roccia per il secondo giorno. Non osava dormire, anche se ci aveva provato; di tanto in tanto riusciva ad arrampicarsi sulla roccia e a riposare, ma solo per qualche ora, perché le infide onde salivano spesso, trascinandolo nell’acqua. Stava congelando, riusciva soltanto a scaldarsi a malapena muovendosi costantemente, ma all’alba del terzo giorno sentì che le sue gambe avevano perso la sensibilità. Era completamente esausto e iniziò a pensare alla sua morte.

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All’improvviso, sentì di non essere solo. Qualcosa di minaccioso stava nuotando verso di lui da venti metri di distanza, una pinna nera perlustrava le acque: un grande squalo si muoveva nella sua direzione. Silverio cercò di arrampicarsi sulla roccia che era quasi totalmente sommersa dall’alta marea. Il predatore affamato si avvicinò, e il ragazzo lo guardò pietrificato. Era inerme. Pregò San Silverio di tenerlo al sicuro da questa nuova minaccia. Aveva perso il suo coltello, non aveva nessuna arma per proteggersi.

[2]

Lo squalo si vedeva chiaramente sotto la superficie perlacea. La bestia sembrava percepire una preda debole. Iniziò a guadagnare velocità e ad avvicinarsi sempre più. Silverio riusciva a vedere la sua pelle grigia e il contorno della sua testa e dei suoi occhi. L’animale si avvicinò, attirato dal profumo del sangue che si riversava nell’acqua. Silverio tremò. Lo squalo girò intorno alla roccia una, due, tre volte. Iniziò a spalancare la sua enorme bocca, esponendo delle lunghe fila di denti frastagliati, simili a rasoi. Era pronto ad attaccare quando, inaspettatamente, si voltò e iniziò a muoversi in cerchio, confuso.

[3]

Non si avvicinò ulteriormente. Continuò a girare in cerchio vicino alla superficie, poi si ritirò negli abissi. Passarono dei lunghi minuti in attesa di un attacco che non arrivò mai; sembrarono ore. Il cuore di Silverio martellava. Il mostro era andato, il ragazzo pianse e ringraziò Dio e San Silverio per averlo salvato dalle fauci della morte.

Mentre i due ragazzi e i loro compagni si aggrappavano alle loro vite, le loro famiglie e la gente di Ponza erano nel terrore. Avevano assistito alla terribile tempesta invernale che aveva improvvisamente inghiottito le isole Ponziane e sapevano che la San Silverio era diretta a Palmarola. Erano riusciti a raggiungere l’isola prima del nubifragio? Erano vivi? Se sì, dove potevano essere, in quel luogo desolato? Uomini e donne scandagliavano il mare e Palmarola con dei binocoli in cerca di un qualsiasi segno di vita.

 

[Il Giovane e il Mare (4) – Continua]