Ambiente e Natura

Si fa presto a dire isola. Sopra un lavoro di Arturo Gallia

di Francesco De Luca

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Ci giungono in Redazione, grazie ad Arturo Gallia, gli Atti del Convegno di Palermo del 2015 su “Isole e frontiere del Mediterraneo moderno e contemporaneo”, in particolare il suo lavoro dal titolo: “La frontiera insulare tra percezione geografica e uso strumentale. Marettimo agli inizi del XIX secolo”. Franco De Luca lo legge attentamente e ne estrapola analogie con- e indicazioni per- la situazione odierna di Ponza.
In fondo all’articolo il
file .pdf dell’indice e del lavoro originale.

 

“Una corrente storiografica più recented’impianto multidisciplinare e di respiro globalesi sofferma sull’aspetto umano e mutevole del concetto di isola, originato di volta in volta da una complessa costruzione umana e sociale” (pag. 231).
Così scrive Arturo Gallìa in un suo recente studio. In parole povere significa che la connotazione geografica di isola (terra circondata dalle acque) non basta più per qualificarla tale. Occorre individuare altri caratteri quali “la dimensione, la distanza dal continente e dal suo grado di varietà, vale a dire le caratteristiche connaturate del suo essere o meno – sistema” (pag 232).

Sistema: parola contenitore nella quale inserire tutte le prerogative di un’isola, e che in essa vanno distinte e rese evidenti.
In questo si concretizza “il sistema”: geografia, storia, economia, cultura, politica.

E dunque, studiando le isole, si giunge a estrapolare non l’insularità bensì le insularità, al plurale. Giacché ogni isola presenta la sua.

Nello studio si affronta un altro aspetto. Domanda: l’isola è sempre periferia (in quanto distante da un centro amministrativo)? Andrebbe di rispondere sì. Appare ovvio che un’isola viva ai margini di un sistema fisico e umano. Ovvio ma superficiale perché in questo modo la si rappresenta come realtà statica. Eppure la storia ci ha insegnato come le isole, specie quelle site in un mare chiuso come il Mediterraneo, abbiano rappresentato nodi di rete di relazioni più ampie. Le isole passavano continuamente da un padrone all’altro, erano ambite talora e poi dimenticate. Esse hanno rappresentato ponti per congiungere paesi e civiltà diversi così come barriere oltre le quali non andare. Esse sono nodo in una rete di relazioni che pulsano fra periferia e centro.

E poi ancora: il cuore amministrativo della struttura socio-politica in cui l’isola è inserita è nell’isola stessa (auto-centrata), o risiede all’esterno (etero-centrata)?
Per le piccole isole è chiara la forma eterocentrata; non così per le grandi isole, dove la mente propulsiva è all’interno dell’isola stessa (Sicilia, Sardegna ).
Sono, queste, precisazioni concettuali che paiono estranee alla vita quotidiana, e in parte lo sono. In astratto hanno una valenza logica forte, nella concretezza della vita tuttavia valgono a rendere le analisi fattuali meno banali, meno scontate.

E allora?
Metto alla prova i suggerimenti di Arturo Gallìa e chiedo: Ponza che isola è?
Ovvero: quali sono le peculiarità della sua insularità? Ovvero: la sua insularità come la identifichiamo?

A chi ha familiarità con la situazione ponzese le domande, così come le risposte, possono risultare oziose, ma occorre, forse, ritornarci sopra e vedere se possono aiutarci a rispondere ad interrogativi che la realtà isolana attuale presenta.

Ponza è un’isola minore e dunque costringe i residenti ad una relazionalità forzata. In essa si evidenziano due gruppi sociali, che tuttora vivono l’insularità geografica in modo differente. Perché il porto d’attracco delle navi è uno e non equidistante dai due agglomerati urbani. Così è avvenuto che, dove le espressioni civili si sono potuti esplicare in autonomia, i due gruppi sociali (distinti anche etnicamente) abbiano espresso un cammino autonomo. Penso al sentimento religioso. Due parrocchie, due scansioni liturgiche.

E qui ci si ferma però, perché il restante complesso delle istituzioni civili è nato al Porto, dove risiede tuttora, e i Fornesi hanno dovuto (e tuttora devono), se non altro pagare il pegno di recarvisi.

Nel decorso storico (dal ’700 in poi) la separazione ha operato in modo costante, ed è chiaro che la dicotomia abbia prodotto un maggiore senso di appartenenza (nei due gruppi), e un distacco (nei due gruppi).

Oggi è dato assistere ad un affievolirsi della separazione vuoi in conseguenza dei matrimoni, degli spostamenti di domicilio, dei rapporti più frequenti, ma rimane viva (non più etnica e nemmeno economica). E permane perché l’epicentro della vita istituzionale isolana rimane il Porto in forza degli attracchi delle navi, della presenza del Comune, del Cimitero, della farmacia.

In più, la lettura di Arturo Gallìa evidenzia anche un’altra frattura. Il sistema amministrativo operante in Italia destina Ponza alla periferia, giacché le decisioni e le provvidenze vedono la Regione quale centro dal quale promanano le direttive. E poi ancora, sono le città costiere quelle che possono assicurano la sanità, gli studi, il disbrigo delle pratiche legali e patrimoniali.
Le isole dell’arcipelago potrebbero vantare una autonomia economica in quanto ad accumulo ma non nei benefici di tale ricchezza. Inoltre le decisioni politiche inerenti al turismo (perché è questo il settore economico cui si allude) non sono monopolizzate dall’arcipelago. C’è Roma che divora ogni provvidenza e, insieme, altre città laziali cariche di storia e meritevoli di attenzione.

Per cui il nodo, come evidenzia Gallìa, ossia Ponza come tassello di un circuito di relazioni economico-politiche, non riesce ad imporsi. Ne consegue che si accentua la natura periferica dell’isola. Con tutto ciò che si porta dietro. E cosa si porta dietro? E’ evidente: lo spopolamento.

Le periferie, in questo mondo accentrato e tendente all’urbanizzazione, hanno possibilità di vita molto problematiche. Da profano riesco a capire che le realtà sociali riuscirebbero a sopravvivere se fortemente coese nel tessuto sociale, se pervicaci nelle attività economiche di elezione, se lungimiranti negli investimenti, se culturalmente compatte.

Da questi spunti di analisi possono trarsi suggerimenti per la vita sociale presente?
Io penso di sì, ma occorrerebbero esperti nel settore. La mia inadeguatezza tuttavia non mi frena dal prospettare qualche soluzione.

Chiaro appare come la società ponzese deve cercare di eliminare le differenze fra i due gruppi (Le Forna – Porto), e rinsaldare i legami comunitari. La qual cosa sarebbe agevolata se si costruisse un porto a Le Forna. So bene che ci sono eccezioni validissime sotto il profilo amministrativo e finanche marittimo, ma la presenza di un qualsivoglia porto a Le Forna (turistico o no) darebbe alla comunità isolana tutta (Fornesi e Ponzesi) una possibilità in più per affrontare il futuro.

Un altro sforzo occorrerebbe fare per rinsaldare l’identità culturale. Ci si potrebbe provare operando sui programmi scolastici. Ma forse la parola che compendia tutto è un’altra. La cito soltanto per completezza. E’… politica. Ossia un complesso strutturato di fini, cause, mezzi. Occorre predisporlo per tendere a fronteggiare un fenomeno (lo spopolamento) tanto travolgente da cambiare il destino di paesi e delle comunità che li popolano. Un complesso strutturato di fini, cause e mezzi. Che non può essere improvvisato, né affrontato sportivamente.

Quando ci si impegnerà con serietà in questo progetto, l’insularità di Ponza potrà avvalersi di nuove connotazioni e paleserà le componenti di ciò che Arturo Gallìa ha chiamato sistema.
La qual cosa aiuterà ad affrontare il futuro dell’isola con maggior ottimismo.

La_frontiera_insulare_tra_percezione_geegrafica e uso strumentale

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