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Che vita, la vita. (2) Maiori

di Rinaldo Fiore
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Verso i cinque anni andammo a vivere per un anno a Maiori dove papà lavorava in un cantiere presso un convento di suore. Era un classico edificio spartano, ma quello che c’era attorno lo rendeva incantevole: un grande parco pieno di limoni, cedri, aranci e mandarini, un agrumeto bellissimo, con altri alberi da frutto che emanavano un profumo indimenticabile e, nel mezzo, un piccolo canale di irrigazione proveniente da un canale più grande che muoveva le pale della ruota di un mulino. L’acqua proveniva dal fiume Regina che scorreva a pochi metri: ancor oggi conservo una fotografia di noi tre figli piccoli appoggiati ad un ponticello di un rivolo d’acqua. Che emozioni e che ricordi di quel periodo!

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Maiori era un piccolo paese sulla costiera amalfitana, a pochissimi km da Amalfi, che con le sue case costeggiava d’ambo i lati il fiume Regina che, ogni tanto, allagava tutto intorno con la sua “fiumara.” Le case seguivano il corso del fiume e si inerpicavano anche sui fianchi della montagna, coperta di verdi e profumati agrumeti e di vigneti disposti su terrazzamenti, faticosi da raggiungere e da lavorare.

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Papà un giorno mi portò in cima alla montagna su cui sorgeva il paese, seguendo viottoli che salivano tra filari di viti con grappoli di uva nera e bianca: nella parte pianeggiante del terreno sopra sopra, tutto lavorato, c’erano dei vasconi grandi circa 4 x 4 e profondi un paio di m, dove si lasciava fermentare il passato d’uva, soprattutto nera, e un profumo di mosto misto a quello del sale dell’aria marina riempiva l’aria; rapida escursione per evitare i gas tossici dei vasconi. Voltandosi da lì verso il mare si godeva di una vista meravigliosa…

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Lungo la litoranea sulle macere che delimitavano i fianchi della montagna e accanto al muretto di protezione verso il mare si alternavano grandi piante di fichi d’india con fiori e frutti di diverso colore e aranci e limoni, costruendo un variopinto gioco di colori e un insieme di profumi diversi che si mischiavano all’aria salina del mare.

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Ero noto per essere “il figlio di Fiore”, il contabile del cantiere, e ogni volta che mi perdevo, o semplicemente mi ero allontanato troppo da casa, lungo il viale che costeggiava il fiume Regina, qualche operaio mi riconosceva e mi riportava a casa.

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Durante la festa della Madonna, passeggiavamo con papà e mamma e con i miei fratelli lungo il viale, assieme a tanta gente, quando incontrammo un venditore di palloncini e mia sorella Elvira insistette con mamma e papà per averne uno; dopo una certa lagna, fu accontentata; mio fratello Carlo ingelosito lo chiese pure lui ma non glielo comprarono, perché lui era grande, e che fece Carlo? Si mise a dire ad Elvira “Te pozza scuppa’… te pozza scuppa’… te pozza scuppa’!” mentre Elvira indifferente si guardava contenta il suo palloncino: improvvisamente il palloncino scoppiò ed Elvira cominciò a piangere senza smetterla più, mentre io ridevo a crepapelle e mamma e papa cercavano di mantenersi seri, anche se si leggeva un sorriso frenato sulle loro labbra, e mio fratello si teneva a distanza di sicurezza con un mezzo sorriso di trionfo dipinto sul viso. Il palloncino era scoppiato! Un evento straordinario e incredibile! Fu d’obbligo ricomprare il palloncino a Elvira!

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Le giornate passavano a Maiori con grande serenità: quasi tutti i giorni me ne andavo scalzo per il paese, con i sandali sulle spalle tenuti con una mano e a torso nudo, gridando “arriva ‘o bagnante…arriva ‘o bagnante!” e quando raggiungevo la pasticceria mi fermavo a guardare dentro il negozio… la signora mi riconosceva, mi veniva vicino e mi regalava un po’ di zucchero caramellato.

Un bel dì mamma ricevette una lettera da zia Dina che stava in America e per l’emozione e la nostalgia si mise a piangere… e io appresso a lei. Stando a tavola, ogni tanto bevevamo un po’ di vino rosso, senza rendercene conto; la cosa andò avanti per un bel po’ per cui alla fine ci ubriacammo tutti e due senza volerlo ed io dicevo: “zia Dina…zia Dina bella…”
Zia Dina sicuramente non ha mai saputo di questo episodio!

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[Che vita, la vita. (2) Maiori – Continua]