Cucina

Le ricette “No chef” (2). Le fettuccine

di Rinaldo Fiore

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Invio un’altra “perla” del mio libro inedito “NO CHEF…” per Ponzaracconta. Io credo fermamente nel valore della nostra storia passata,
quella buona di vita quotidiana e la racconto così come viene alla mia memoria,
che è soprattutto memoria affettiva…
Da un po’ di tempo ho deciso di iniziare ogni mia attività letteraria, artistica o scientifica, con una breve poesia – non necessariamente mia; di ogni Autore che ci può aiutare a comprendere la bellezza della vita -, ed è per questo che oggi “dono” a Ponzaracconta i versi di “Libero”.

“Quando libero
il pensiero fluisce nella mente,
allora in ogni piccola cosa
vedi tutto l’Universo”

Per comprendere le mie ricette bisogna capire che mi son venuti a nausea tutti i programmi di cucina che vengono propinati nei vari media, televisivi o cartacei: gli Chef sono singolarmente bravi ma non posso accettare la compressione subliminale che vogliono esercitare su di noi cittadini e… quando è troppo è troppo.
E allora ho ricordato quello che i nostri genitori e nonni e amiche facevano al mio paese, Castiglione Messer Marino (CH), quando vivevo lì, senza dimenticare che la loro cucina è giunta fino a noi… Mia madre ha sempre conservato il dialetto abruzzese e così ha fatto per la cucina.

Gli Abruzzesi e i Castiglionesi – anche i Ponzesi, immagino – sanno cosa significa nascere in un piccolo paese: è un imprinting profondo che ci segna positivamente per tutta la vita, ma questo succede anche alle altre persone… in altri paesi, è normale.

Il rumore dei ferri di cavallo sul selciato, la pipì nel vaso da notte buttata fuori dalla finestra la mattina presto (mancavano le fogne!), la musica della mazza di ferro sopra le incudini, il profumo del formaggio e della ricotta, l’odore e il colore del fieno, quello delle stalle dove le amate bestie riposavano dalle giornate faticose, il profumo del pane appena cotto assieme a quello della pizza di “grandigne” (granoturco) che si mangiava quando era ancora calda… E come si fa a dimenticare! Per i contadini la pizza di granoturco era il pane quotidiano, mentre per noi era solo una pizza salata, anche se amatissima: appena uscita dal forno si faceva a pezzi e il vapore e il profumo del mais ci inebriavano!
E che dire delle patate: lesse, sotto la cenere o in mezzo alla pasta erano la base dell’alimentazione di tutti i paesani, anche perché, per la pasta fatta in casa, le patate erano essenziali e poi la campagna, lì in montagna, produceva le patate, assieme a grano, poco mais e basta. Senza dimenticare che per ingrassare il maiale servivano le patate. Oggi sembrano quasi secondarie ma credo e spero che torneranno di moda.

Le ferratelle e le ostie che oggi si possono comprare nei supermercati in realtà costituivano un rito magico ancestrale e un momento di unione per le famiglie e per gli amici: si preparavano durante le feste importanti, ben poche rispetto ad oggi, come Natale, Carnevale e Pasqua.

La merenda si faceva con pane e ricotta, oppure con pane intinto all’olio e aggiunta di sale o zucchero: una lunga fetta di pane spalmata da grande quantità di ricotta fatta da amici paesani è di un sapore che in città te lo puoi scordare! Raramente con prosciutto, qualche volta, dopo un po’ di preghiere, tocchi di salsiccia estratti dalla vescica del maiale in cui erano conservati ma, normalmente, bastava pane olio e sale o zucchero.

La ricotta buona, dello stesso sapore antico, l’ho mangiata quattro anni fa da un pecoraio che la produce con il latte delle sue pecore, vicino all’Agriturismo “Il rifugio del cinghiale”“in cima a lu monde”.
Quell’agriturismo sta proprio a pochi metri dalla chiesetta della nostra infanzia e molti paesani, ricordando le esperienze della propria infanzia, tornano in quel posto a godere dell’aria e della memoria.
La proprietaria, neanche a farlo apposta, è la signora che ci dava il latte che mungeva dalle sue pecore quando eravamo piccoli: dopo anni di fatiche, con la sua famiglia, aveva realizzato una attività positiva per le sue tasche e per il suo cuore: ogni volta che ci andavamo a passare qualche giorno di vacanza ci riempivano di cavatille, salsicce di fegato e ventricina. Conoscevano bene i nostri desideri!

Tra i primo piatti che mamma faceva in casa c’erano le fettuccine.
Per le fettuccine mamma preparava la farina a boccuccia di vulcano, aggiungeva un pizzico di sale, due, tre o quattro uova intere (senza guscio!) secondo le persone a tavola, un pizzico di strutto o burro o olio per dare solidità e poi cominciava a mischiare il tutto con la farina usando dapprima la forchetta e poi le mani, fino a formare un impasto omogeneo, molle ma non troppo, a forma di caciocavallo senza testina, e quindi spianava con il mattarello: ogni tanto infarinava le mani e l’impasto con altra farina per evitare che si appiccicasse.
La sfoglia in genere era di una cinquantina o settantina di cm di diametro e spessa circa un mm.
Mentre preparava le fettuccine mamma già sul fuoco aveva impostato il sugo, o l’aveva fatto la sera prima; un sugo di carne ma va benissimo anche solo un sughetto di pomodoro semplice semplice.
L’importante è metterci il cuore, in tutte le cose, anche nel fare un sughetto di pomodoro!

 

[Le ricette “No chef” (2)Continua]

Per la prima parte, leggi qui

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