Racconti

Pillole elettorali (4). Il ristorante e i servitori

di Pasquale Scarpati

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Veruccio mi raccontò questa strana storia.
C’era una volta un paese in cui c’era un ristorante molto particolare. Esso era composto da varie stanze o per meglio dire compartimenti dislocati su diversi livelli.

Il primo, quello più in alto, molto lussuoso, aveva ampie vetrate da cui lo sguardo poteva spaziare su un vasto panorama. In esso i tovagliati erano finissimi, i lampadari di cristallo, le posate di metallo prezioso, talmente pesanti che bisognava stare attenti nel sollevarle: potevano anchilosare il braccio! Intorno ai tavoli poche persone. Queste parlavano sempre a bassa voce e ogni tanto buttavano fuori lo sguardo per vedere che tempo facesse. Forse questo silenzio era dovuto al fatto che in questo modo esse potevano percepire prima degli altri se si avvicinava un temporale o se andava via. Intorno a loro una miriade di servitori, in livrea. Tutti affaccendati. C’era chi sollevava i vassoi con le pietanze e chi le serviva nei piatti, e c’erano quelli che non appena il bicchiere di puro cristallo si svuotava del rubicondo vino o dell’acqua, immediatamente lo riempivano, aspettando, con fare vigile, un cenno della mano del commensale. Per ascoltare, poi, le ordinazioni essi dovevano curvare la schiena altrimenti non avrebbero mai potuto sentire ciò che veniva ordinato, tanto le richieste erano bisbigliate. Una volta ricevuto l’ordine, schizzavano in cucina dove chef stellati preparavano succulente e soprattutto costosissime leccornie. Difficilmente si poteva accedere in questa stanza, sia perché non era molto capiente sia perché la porta era stretta sia perché c’era bisogno di una speciale parola d’ordine, per lo più genetica.

Accanto ma un poco al di sotto ve n’era un’altra alquanto simile ma qui, per entrare, non c’era bisogno della password genetica ma di una che, a volte, solo i servitori conoscevano e la sussurravano a qualcuno di loro gradimento. Scendendo, si entrava in una stanza molto più grande. Qui i tovagliati erano nella norma. I tavoli erano più grandi e si sentiva un gran vociare. I servitori qui erano velocissimi. Così veloci che se non si dava subito l’ordinazione si rischiava di rimanere a digiuno. Per questo motivo ed anche per altre ragioni non era raro, anzi piuttosto frequente, che sorgessero litigi furibondi tra i commensali stessi.

Un altro stanzone, ancora più in basso, accoglieva tavoli enormi con tovagliati di plastica e carta intorno ai quali sedevano moltissime persone che non facevano altro che gridare. Erano talmente alte le loro grida che i servitori, non capivano ciò che volevano. Ma soprattutto la maggior parte rifuggiva da qual luogo facendosi vedere una volta tanto solo in determinate occasioni, promettendo di migliorare tante cose: i tovagliati, i tavoli, le sedie invece delle panche, il cibo ed altro. Poi andavano via ma tutto rimaneva come prima. Forse per questo (ma i commensali delle altre stanze asserivano che era nella natura delle cose) l’aria era piena di: “… diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira….”. Le pietanze erano grossolane, unte, e tutte mischiate in un solo piatto. Forse avanzi che i servitori si affannavano a far passare come fresche e nuove ed erano talmente insistenti che alla fine molti erano indotti a credere che tali fossero. Alla stregua del famoso vestito del re che non esisteva se non nella fantasia dell’immaginario collettivo.

Veruccio diceva che più era la gente tanto più scadente era il servigio. Anzi i servitori, invece di servire, approfittando della gran confusione e soprattutto dell’ignoranza che spesso è la causa di molti mali, pretendevano di essere serviti, come dire divenivano padroni. Inoltre si facevano spalleggiare da sgherri che imponevano il loro “diktat” senza tener conto delle esigenze delle persone.

Era tale la confusione che per parlare con il vicino di posto, bisognava usare le mani a mo’ di megafono. Si diceva, inoltre, che alcuni tra i servitori erano divenuti sordi a causa dell’enorme frastuono. Ma anche tra gli stessi commensali non regnava alcuna comprensione e solidarietà, anzi si acuiva l’ira perché, nella confusione, si capiva una cosa per un’altra. Qualcuno afferma che ciò molte volte era pretestuoso.
In mezzo a questo marasma si distingueva un tavolo piccino piccino, minuscolo assai, che, giocoforza, poteva accogliere solo pochi commensali. Alcuni di questi, pur potendo partecipare alle mense in alcune delle altre sale, preferivano stare attaccati anzi inchiodati intorno a questo tavolo.
Qualcuno chiese il perché di tale abbarbicamento. Gli fu risposto: “Amano lagnarsi senza costrutto ma soprattutto litigare!”.

“Ah dimenticavo – concluse Veruccio – c’era, infine, un ultimo enorme, ma proprio enorme, stanzone. Posta giù in fondo, ai piedi della collina, anzi quasi un seminterrato. Freddissimo d’inverno, caldissimo d’estate. A causa di ciò, in esso, le persone si abbattevano al suolo come le mosche quando si spruzza l’insetticida. Esso, infatti, era stracolmo di persone; non aveva né porte né finestre, cosicché chiunque facilmente vi poteva accedere ma difficilmente poteva andar via a causa della ressa che dapprima lo sballottava di qua e di là e poi lo abbatteva al suolo, calpestandolo.
I servitori non vi mettevano mai piede. Ogni tanto oppure in determinate occasioni essi si limitavano a lanciare dai finestroni ogni sorta di alimenti: i più disparati, anche quelli scaduti, ammuffiti o non utilizzati (a vario titolo) da quelle persone. Alla loro vista la ressa diveniva più feroce. Nessuna legge aveva vigore se non quella del più forte o per meglio dire del più alto. Costoro, infatti, a causa della loro altezza riuscivano ad afferrare per primi gli alimenti. Ovviamente afferravano i pezzi migliori, lasciando che le briciole o quelli più piccoli oppure quelli che sembravano maleodoranti e sfilacciati cadessero a terra. Così ognuno si accavallava sull’altro e c’era chi moriva soffocato e chi moriva, paradossalmente, sazio, tra i tormenti dello stomaco non abituato al cibo. Qualcuno poi, molto saggiamente (sic!), invece di offrire alimenti, porgeva loro pezzi di ferro perché, diceva, dal ferro nasce il grano! Strana teoria, perché negli orti si possono rinvenire tantissime schegge di ferro anche grosse e pesanti (residuati bellici) ma da loro, a quanto pare, non risulta che sia mai nata nessuna pianta!

Stranamente, però, da questo enorme stanzone, sozzo, rozzo e disadorno non usciva neppure un lamento”.
Meravigliato, chiesi: “Come mai?”Mi guardò e rispose: “Non hanno neppure la forza di fiatare; per questo i servitori non li sentono e non li vogliono sentire, anzi rifuggono da questo luogo.Solo Uno, mettendosi al loro servizio, si è abbassato tanto da percepire il loro sussurro, ha levato la Sua voce e per questo Lo hanno inchiodato. Ma la fretta alimentata dall’odio li ha indotti all’errore: L’hanno posto in alto, là sulla collina.Un altro, oggi, ugualmente riesce ad ascoltare il sussurro, leva la voce e cerca di darsi da fare ma pare che ugualmente gridi nel deserto”.Una lacrima gli rigò il viso.

 

[Pillole elettorali (4) – Fine]

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