Attualità

Pillole elettorali (3). La partecipazione e la condivisione

di Pasquale Scarpati

 

La politica è partecipazione e comunione d’intenti. La politica sono gli affari della polis. Sembra che si attui questo assunto ma solo durante il periodo elettorale. In tale frangente cade su tutto e tutti una strana pioggia, fitta fitta. Strana perché è formata da tantissimi pezzetti di carta simili ai coriandoli. Su questi pezzetti sono scritte tantissime frasi ad effetto soprattutto con il verbo al futuro.
Come quando, tanti anni fa, i bimbi si buttavano a terra davanti agli sposi per raccogliere, nel fango o nella polvere, confetti durissimi, sia per poter addolcire per un istante il palato sia per poter calmare anche i crampi della fame… e anche, qualche rara volta, in mezzo ai confetti si avvertiva il tintinnìo di qualche monetina per cui la ressa si faceva più violenta, così frammisti ai coriandoli piovono anche piccoli lecca lecca pensando con questo espediente di far addolcire la vita amara.

Ma come, passata la festa, si tornava alla dura vita quotidiana fatta di sacrifici e rinunce, così, dopo la competizione elettorale, poche volte i verbi scritti al futuro sui pezzettini di carta vengono coniugati al presente ed i piccoli lecca lecca non solo si esauriscono presto ma finiscono anche con l’essere bilanciati se non totalmente soppiantati da pietanze amare o per meglio dire salate.
Non si attua, infatti, poco o niente di strutturale che possa alleviare le gravose incombenze quotidiane dettate da mille rivoli che rendono il cammino così faticoso da sembrare di muovere i passi in mezzo al fango appiccicoso.
Ovviamente la colpa è sempre di quelli che hanno preceduto o delle immancabili pastoie burocratiche che sembrano cose piovute dal cielo o portate da extraterrestri o dettate da chissà quale ente superiore e pertanto inamovibili se non molto parzialmente. Qualcuno dice che quelle volutamente non vengono cancellate. Ma guarda un po’ la mente umana cosa va a pensare!

Alcuni, scettici o “navigati”, pensano di protestare contro questo stato di cose, astenendosi dal recarsi ai seggi elettorali. È vero che è difficile scegliere, anche perché viene data soltanto una scelta limitata. Nel momento delle elezioni non è data facoltà di scelta del candidato nell’ambito di un partito o movimento politico se non quello imposto dall’alto.

Però si dà il caso che ogni candidato abbia scelto il collegio che più gli conviene! Anzi una persona sogghignando ha detto: “In fondo vi è un paradosso. Al tempo, infatti, in cui moltissime persone erano del tutto analfabete (per cui apponevano la loro firma con una croce) o semianalfabete, era data facoltà agli elettori di scegliere tra ben 4 candidati di una medesima lista (sia pur sotto forma di numeri).

Gli elettori con mano tremolante, quindi, si affannavano a scrivere sulle schede i numeri, ragion per cui nelle cabine impiegavano tantissimo tempo e di conseguenza la fila ai seggi era molto lunga; ora che tutti sanno firmare, gli elettori sono costretti a porre sulla scheda elettorale soltanto una crocetta, alla stregua degli analfabeti!” Così va il mondo!

Un altro, avendo udito questa “curiosa” considerazione, ha aggiunto: “Eh no, oggi tutti vanno di fretta e neppure nei seggi elettorali si può perdere tempo; pertanto facendo apporre soltanto una crocetta, senza preferenze, hanno pensato, di affrettare la scelta e far scorrere la fila al seggio più velocemente!” Bella arguzia! Chissà dove si nasconde la verità!

Si diceva che alcuni, presi da rancore o sentendosi defraudati nella libera espressione, pensano di non andare a votare cioè di non andare a scegliere.
Ciò mi fa ricordare ’u despiett’ ’i Panariéll’, cioè di quel singolare marinaio che per protestare contro alcune presunte angherie, disse all’armatore, proprietario della barca, che non avrebbe più toccato cibo. L’armatore si strinse nelle spalle e gli rispose che anche lui era d’accordo su quella forma di protesta (avrebbe risparmiato sul vitto!).
A chi giova, infatti, l’astensione? Se ne parlerà, forse, per un paio di giorni dopo le elezioni; si farà un gran chiasso o una gran polemica, ma poi chi ha vinto detta i numeri e chi ha perso si consola; nessuno parlerà più del partito dell’astensione anche perché quello non può aver voce né sui mass-media né su internet.
Per questo bisogna andare al negozio oppure al mercato (ai seggi) come se si andasse a scegliere la frutta; anche perché, se la frutta risulta troppo matura si valuta se comprarla; se è acerba si spera che possa maturare; se è in via di maturazione si valuterà se riesce a maturare al punto giusto.

Una persona molto scettica che ascoltava queste stramberie ha aggiunto: “Nei momenti di crisi, difficilmente si riesce a trovare la buona merce. Essa infatti o è poca, oppure manca momentaneamente, o è totalmente irreperibile oppure si trova ma risulta di scadente qualità.
Nonostante questo, però, si compra ugualmente perché è necessaria. Se è poca, si va a cercare, sperando di trovarla da qualche parte; se manca momentaneamente, si ordina; se è totalmente irreperibile, si sostituisce con qualcosa di simile; se è di scadente qualità, si usa con parsimonia e con attenzione in attesa che arrivi quella buona.
Bisogna pazientare. “Nello stesso tempo – ha concluso – è importante andare al negozio o al mercato perché:
a) la frutta è un elemento importante per l’organismo umano;
b) l’occhio può spaziare e rallegrarsi tra una miriadi di forme e colori;
c) di conseguenza la mente ha la fondamentale facoltà di effettuare la sua scelta;
d) solo così la frutta marcia verrà lasciata sul posto stando però attenti a quella bacata perché il marcio spesso si nasconde o viene astutamente occultato.
Per quanto riguarda il sapore non è dato sapere sia perché quello si apprezza solo quando viene mangiata; sia perché esso varia a seconda dei gusti. A qualcuno, infatti, piace più matura, ad altri più acerba; ad esempio a qualcuno la mela piace “farinosa” ad altri croccante e così via. L’importante è essere vigili”.

Per questo… come le luci che si accendono nelle finestre delle casette di un presepe, così, durante il periodo elettorale, si vedono aprire molte sedi elettorali: magazzini che aprono le vecchie serrande, locali sulle cui porte campeggia una scritta a caratteri cubitali. Intorno ad essi un via vai di persone. Si organizzano “cene propiziatorie”, si stringono milioni di mani (anche a due mani), ammiccamenti, cenni di consenso. Tutti sono sorridenti e sembrano soddisfatti. Ognuno ha avuto, in teoria, la sua parte, ognuno la sua promessa. Sembra una festa come quando, finito l’inverno, la gente esce, il giovedì santo, per andare nelle varie chiese per visitare i cosiddetti “Sepolcri”. Chiacchierio, vocio. Ognuno va e dice le proprie preghiere con la speranza che vengano esaudite. È bello vedere questa attiva partecipazione che sembra non finire più. Senonché, passata la “festa”, tutto si spegne. Ognuno si dilegua.

D’altronde, dopo la festa dei Sepolcri arriva il “Venerdì Santo”: giorno del silenzio e della passione.

Si spengono le lucette, si abbassano le serrande come avveniva una volta quando passava un corteo funebre. Ritorna il silenzio cattivo. Qualche raro passo. Rimangono, infatti, soltanto incontri sporadici a cui pochi partecipano. A qualcuno questa situazione può far comodo, perché così gestisce la cosa pubblica come meglio crede.
Invece, come i piccoli di alcune specie di uccelli che spingono sotto il becco dei genitori affinché questi rigurgitino il cibo che li fa crescere (l’alternativa è la morte), così, terminata la competizione elettorale, nessuno può ritenersi soddisfatto, anzi da quel momento inizia il vero lavoro.
Le sedi dovrebbero rimanere aperte e se hanno un costo bisogna che la spesa si divida o chi è eletto contribuisca in una quota maggiore. Bisogna che ognuno spinga dal basso affinché si attuino le promesse elettorali e non rimangano tali.
Costui, a sua volta, pur incontrando innegabili difficoltà si sente corroborato e confortato dalla base nella scelta della sue decisioni. Altrimenti può avere la tentazione di:
a) cambiare tranquillamente “casacca”;
b) “addormentarsi”;
c) fare i propri interessi o quelli di pochi, i quali (non è un caso raro) non appartengono neppure alla schiera di quelli che l’hanno eletto!
Perché, come dice un adagio: “l’occasione fa l’uomo ladro”.

Ma forse molti pensano che sia meglio lamentarsi che agire; sia meglio restare a coltivare il proprio orticello piuttosto che arare e dissodare tutto il campo; sia meglio, insomma, farsi i fatti propri ed eventualmente “arrangiarsi” qualora si ritiene di essere soggetti ad angherie.

 

[Pillole elettorali (3) – Continua]
Per gli articoli precedenti leggi qui: (1); e qui: (2)

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