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Va in scena il processo a Vittorio Emanuele III

di Rosanna Conte

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Questa sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma sta andando in scena Il processo al re Vittorio Emanuele III la cui salma è stata fatta rientrare in Italia qualche mese fa.

Perché un processo?

Perché, nonostante i gravi danni e le sofferenze apportate alla popolazione italiana col suo appoggio alla dittatura fascista e alle leggi razziali, molti italiani hanno rilevato che, in fin dei conti, essendo stato un re del nostro paese e per di più deceduto da molto tempo, il rientro della sua salma non avrebbe potuto produrre effetti nefasti sugli italiani di oggi. Del resto davanti alla morte non si deve infierire.

Assodato che la pietà privata va rivolta a tutti coloro che sono defunti, quando si tratta di un personaggio pubblico che ha inciso sulle sorti del nostro paese, non è più della pietà privata che si deve parlare, ma del giudizio politico che valuta gli esiti positivi o negativi prodotti delle sue azioni.

E’ il discorso che motiva il rifiuto di celebrare i giovani morti per la repubblica si Salò sempre equiparati dai revisionisti e dalle destre ai morti per la Resistenza.

E’ incompatibile con la nostra repubblica democratica il ricordo celebrativo di coloro che combatterono per mantenere in Italia un regime totalitario straniero – sappiamo tutti che nella Repubblica di Salò erano i tedeschi ad avere l’ultima parola – con la persecuzione di tanti cittadini italiani e lo sterminio degli ebrei, dei rom e degli avversari politici.

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I principi costituzionali del nostro Stato sono antitetici a quelli professati da loro e nessuna celebrazione, tanto meno ufficiale, potrebbe avere senso.

Chi giudica il caso come quello di vinti a cui i vincitori non vogliono rendere l’onore delle armi, non sa quale grave offesa arreca alla Repubblica Italiana.

Certo, nel contesto politico-sociale decaduto in cui siamo giunti a vivere, dove la nostra Repubblica è stata offesa in continuazione anche dal comportamento di alte cariche dello Stato, non si riesce a cogliere la gravità di un riconoscimento pubblico a chi questa democrazia non l’avrebbe mai voluta.

E’ d’obbligo la domanda: ma questi sanno cos’è successo? Sanno di chi e di cosa stiamo parlando?

Forse si, forse no, ma di sicuro sanno che non c’è stato mai un reale processo pubblico a coloro che hanno fatto tanto male all’Italia.

Il processo di Norimberga ai criminali nazisti ha messo il popolo tedesco davanti alle sue responsabilità. I fascisti italiani, quelli che con la loro delazione, collaborazione o diretta violenza hanno portato alla morte decine di migliaia di persone, al di là dei morti in guerra, non hanno subito un vero processo pubblico. Alcuni sono stati incarcerati, come anche alcuni partigiani, per azioni violente considerate reati in quanto non inserite nel contesto bellico, e poi ne sono usciti con l’amnistia Togliatti che riguardò 7.106 fascisti e 153 partigiani, ma un processo pubblico a chi aveva spinto l’Italia nel baratro della dittatura, delle leggi razziali, della guerra e delle deportazioni non c’è stato.

Anzi gli italiani hanno visto diventare ministro della giustizia, nel 1953, Antonio Azara, un presidente di sezione di Cassazione del periodo fascista, membro del comitato scientifico delle riviste “La nobiltà della stirpe” e “Diritto razzista”, e fare carriera come questore l’ex vice direttore della colonia confinaria di Ponza, poi direttore di quella di Ventotene, Marcello Guidi, il questore che ha avallato, nel 1969, la tesi del suicidio di Pinelli mentre veniva interrogato in questura sulla strage di Piazza Fontana.

Sono solo due dei numerosi casi di continuità col periodo fascista negli organi dell’apparato pubblico che vede protagonisti magistrati, poliziotti e prefetti.

E’ sulla percezione di un’assenza di condanne pubbliche del fascismo e di coloro cha hanno prodotto enormi sofferenze agli italiani, che si accettano e propagano, oggi, valori e principi che appartennero al ventennio.

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La prima pagina del Corriere della Sera, dell’11 nov. 1938

Da qui l’idea di una rappresentazione che processi Vittorio Emanuele III, il re che consentì a Mussolini di prendere il potere con un’imposizione di forza come la marcia su Roma nel 1922 e con le violenze ai seggi nelle elezioni successive del 1924, che lo sostenne nella trasformazione dello stato da liberale a dittatura con le leggi fascistissime del 1925 e 1926, lo appoggiò nella guerra di Etiopia nel 1935, promulgò le sue leggi razziali nel 1938 e acconsentì all’entrata in guerra nel 1940.
Si distaccò da lui solo quando fu chiaro che la guerra volgeva al peggio e gli stessi gerarchi fascisti stavano prendendo le distanze, assorbendo nell’esercito regolare la milizia fascista e senza nemmeno il tentativo di riscattarsi restando a Roma dopo l’armistizio, ma scappando a Brindisi sotto l’ala degli alleati.

La rappresentazione focalizza la promulgazione delle leggi razziali, la punta più alta della condotta anti-italiana del re che porta in sè la carica di tutte le altre colpe.

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Non so se sia un’azione abbastanza simbolica da produrre esiti altrimenti irraggiungibili, ma so che è un passo da fare per far porre domande alle coscienze degli italiani.

Specie adesso che si deve andare a votare e la campagna elettorale ci sta già offrendo spaccati poco raccomandabili, non ultima l’uscita del candidato della destra alla Regione Lombardia che  si è pronunciato contro l’immigrazione in nome della difesa della razza bianca, dimostrando malafede storica e politica, oltre che ignoranza scientifica.

Comunicato ANSA [4]

 

Aggiornamento del 19.01Da ‘Il Fatto Quotidiano’ del 18 genn. 2018. Leggi razziali… [5]