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Isolamento e solitudine

di Francesco De Luca
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– E quando non viene la nave, come fate? – chiede perplessa la signora. Ha capito che sono isolano, si è accertata che vivo stabilmente sull’isola e dà sfogo alle sue paure. Sembra curiosa ma le sue domande, in verità, vogliono ottenere sicurezze per se stessa. Rispondo compassato: – Rimaniamo soli!

Non in solitudine bensì in isolamento. Perché l’isolamento attiene allo stato fisico mentre la solitudine allo stato d’animo.

In isolamento, ovvero senza comunicazione marittima col continente, ed è tutta la popolazione isolana che patisce quello stato. E l’animo reagisce in vario modo. Ecco, di questo voglio scrivere nella presente riflessione.

L’isolamento può preludere alla solitudine ma non necessariamente. Anche perché le condizioni meteomarine interrompono soltanto le corse delle navi. Intoccati rimangono i rapporti telefonici e quelli web.

E tuttavia una qualche sensazione provoca l’impossibilità di lasciare l’isola o di portarsi in un luogo ove la pressione degli elementi naturali sia più tenue.

Dico ovvietà, lo so. Per gli isolani è scontato. Chi è abituato ad essere supportato dall’organizzazione che la società civile ha strutturato intorno all’individuo, costui patisce questo stato. Si sente abbandonato, inadatto a dover affrontare da solo gli eventuali colpi che la vita corrente può infierirgli.

– E se ci si sente male – riprende la donna – come si fa? La signora si allerta solo al pensiero. Questo chiaramente mostra come ella poggi la sicurezza della vita sulla rete di assistenza sociale. Ha demandato ad essa la sua salute.

L’isolano non proietta al di fuori della sua persona le garanzie della sua sicurezza. Non tutte. Quello che la legge ha decretato essere obbligo sociale sì, ma le altre le gestisce lui, in proprio. Con ruvidezza, caparbietà e fierezza.

Rispondo, badando a manifestare il massimo della tranquillità: – Se ci si sente male si va al Poliambulatorio. C’è anche il medico della mutua, e i familiari e i vicini. Ricalco con la voce questi termini per dimostrare la rete comunitaria, che avvolge e protegge l’isolano. È un legame che nei casi di isolamento si evidenzia. Mentre non compare nella normalità della vita quotidiana.

Il che vuol dire che l’isolamento tende a produrre stati d’animo in opposizione alla solitudine. Mi spiego. Nei giorni di burrasca, e si sa che non ci potranno essere corse delle navi, ci si ritrova più vicini, intorno ad un tavolo da gioco, nel bar, o più devoti nelle preghiere in chiesa, o più loquaci a scuola. I luoghi comuni divengono più aggreganti. Si fanno programmi per un prossimo pranzo, per una ricorrenza, per un progetto ideato e lasciato a metà.

Talora avviene questo.
Oppure in altri soggetti scatta l’idea di fare qualcosa al di fuori dall’usuale. Allora la solitudine fagocita l’isolamento, lo fa sua. L’individuo assottiglia i legami sociali, rinforza la dimensione individualistica e si mette in relazione stretta con se stesso e il proprio intimo.

In questi casi c’è il rischio che l’individuo vacilli. Non trovi in sé un punto di forza, si veda privo di sicurezza e si deprima.
Nella popolazione isolana c’è un’alta presenza di depressione. Specie nelle donne. Perché aggrappate alla sola ancora della famiglia. Nell’attività domestica l’affidamento di ogni realizzazione. Ma se i figli sono adulti e lontani cosa rimane alla donna di casa?

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Avverto d’essermi portato lontano dagli inizi. Mi rimetto nella corsia giusta.

La signora guarda il mare solcato da barche beate, nella strada da un carrettino un venditore ambulante vende frutta e verdura, nell’aria profumo di erba e foglie mosse…
– Ma qui state in paradiso… – sospira la signora. L’isolamento è tangibile e, nelle sue pieghe, s’ accuccia la solitudine.

Non ne farò un elogio fuori luogo ma c’è da rilevare che lo stare a contatto stretto con il proprio io possa produrre sentimenti che arricchiscono l’animo.
Si fanno apprezzare, ad esempio, le forze naturali nella loro nettezza, senza sbarramenti o attenuazioni che la società civile pone. Il vento e la sua forza, il mare e la sua rabbia, la calma della marina che accoglie le onde, le ginestre che spandono profumo nei declini, il sorriso dei ragazzi in corsa e le ragazze dalle movenze dolci. Il silenzio delle strade prive di uomini. Il rombo ottuso del turbinio del vento.

In queste circostanze gli occhi degli isolani hanno la pacatezza e l’appagamento di chi è stato fortunato a nascervi.
L’isola è un gioiello nel mare del mondo, Ponza è la perla del Tirreno.

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