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Di sirene e tritoni. L’isola di Simone Perotti

di Tea Ranno

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Questa è una sorta di resoconto della presentazione del libro di Simone Perotti – Atlante delle isole del Mediterraneo – a “La linea d’ombra”, l’altro ieri, 12 dicembre; dunque è già uscito sulla pagina facebook di quel bellissimo salotto letterario.
Ci fa piacere pubblicarlo anche su
Ponzaracconta.
la Redazione

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Io le Sirene le ho sempre pensate femmine: acquatiche e di scoglio, magnifiche nella loro capacità d’imbastire cunti che t’incantano e ti stordiscono, ti colmano di un tale bisogno d’infinito che alla fine, talvolta, ci anneghi.
Ci sono però anche le Sirene maschi. Uno di essi l’ho incontrato nelle Fiabe irlandesi di Yeats, un essere beone e allegrotto che non mi è piaciuto perché aveva l’abitudine d’imprigionare in alcune pentole poste in fondo al mare le anime dei marinai annegati.

Simone Perotti, Sirena, l’anima te la prende senza domandarti il permesso, e con quella leggerezza istrionica dei cuntatori nati, la sospende in una irrealtà tutta colma della realtà che ti va raccontando, fatta di robe per sognatori, di virgole appese all’aria in una sospensione del tempo e in un mare vivo che va mormorando solo per te. Un mare Signore davanti al quale devi inchinarti perché è così enorme nella sua potenza che puoi soltanto, con rispetto e ossequio, solcarne le acque seguendo le tue personalissime rotte verso isole che ci sono ma che non corrispondono a quelle imbalsamate delle guide turistiche.

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La prima e la quarta di copertina del libro di Perotti
(cliccare per ingrandire)

Le isole di cui ti cunta Simone hanno la fluidità e la consistenza di un sogno sognato in uno stato di felicità ma pure di inquietudine, perché la felicità, come tutte le vere emozioni, è sempre ambivalente. Guai se non fosse così. L’emozione vera, infatti, smuove le diverse parti di te che fanno coro e sarabanda dentro di te, e tu, anima di mare portata per mare dal comandante Perotti, a questa cosa delle anime emozionate che ti fanno contrasto e sarabanda in petto mica ci avevi pensato: è lui che, incantandoti, ti istruisce, è lui che vorresti acchiappare per il lembo della camicia e implorare: “Portami per mare, aiutami a trovare l’isola mia, quella che mi sta aspettando, quella che ho il dovere morale di trovare perché, trovandola, avrò ritrovato quel pezzo di me che mi farà più prossima alla felicità”. E invece niente. Zitta e muta, resti a contemplarlo, a seguire gli alti e i bassi delle mareggiate che ti rappresenta con la voce e con le mani, con quella vaghezza di parola che ti sospende persino il fiato.

Poi lui smette di parlare. Un sorriso, un sorso di vino, una battuta. Ti guarda e ti restituisce l’anima che, ’mbriaca per tanto vagare, ti si riaccuccia dentro: più ricca, è vero, più ardente, ma pure più affamata e assetata di libertà.