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Il nuovo fascismo e la scuola

segnalato dalla Redazione

 

Scriveva Rita Parisi, vedova di Mario Magri, nel gennaio del 1956:
…purtroppo, nell’ambiente in cui lavoriamo, viviamo fianco a fianco con elementi che lungi dall’apprezzare il nostro diuturno sacrificio, continuano ancora, dopo dieci anni dalla Liberazione, a svalutare i morti della Resistenza Nazionale.
Noi compiangiamo questi incoscienti, quando non sono in malafede, e li disprezziamo come i veri nemici della nostra Patria, quando esaltano un passato che va, invece, sepolto e dimenticato per la stessa dignità che ogni uomo libero dovrebbe sempre custodire gelosamente in sé.
Se questo succedeva a 10 anni dalla fine della guerra, ci meravigliamo che oggi a più di 70 anni il fascismo non venga percepito come un pericolo?
A differenza di Rita Parisi, noi oggi sappiamo che bisogna comunque ricordare quel passato, naturalmente con spirito critico, ma bisogna ricordarlo..! e ad ogni pie’ sospinto bisogna spiegare che il fascismo è assenza di libertà, è negazione della dignità umana, è guerra e odio, è esercizio di forza sui deboli.

Sapere è importante per comprendere.
La scuola può molto anche in questo campo. I ragazzi a scuola imparano a contestualizzare, a riflettere, a ragionare criticamente, quindi imparano a gestire in maniera più o meno corretta il flusso di notizie che li sommerge quotidianamente, distinguendo la propaganda dal problema e individuando le soluzioni posticce dei problemi.

Qui di seguito pubblichiamo un articolo di Mariapia Veladiano, da la Repubblica di ieri, sul tema del fascismo riemergente e della funzione  della scuola
La Redazione

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Il fascismo a scuola
Parlare ai ragazzi
 

di Mariapia Veladiano (*)

Non c’è scuola italiana che non lo insegni il fascismo. Il problema è farlo percepire come qualcosa di tremendo, reale e attuale.
Attuale non perché siamo di fatto già circondati da un nuovo fascismo ma perché il fascismo è una reale possibilità delle società avanzate, una scorciatoia della politica e anche della mente e sta rialzando la testa e glielo lasciamo fare.

Fascismo è un’esperienza politica, sociale e umana illiberale e violenta.
Un problema è che per i ragazzi la sostanza illiberale del fascismo è inimmaginabile. Non tanto perché crescono immersi nelle libertà fondamentali dell’individuo e del cittadino: parlano quando vogliono e di quel che vogliono, si spostano dove li porta il desiderio, si ritrovano, si aggregano e disaggregano. Protestano. Ma soprattutto perché si percepiscono illimitati.

Questa libertà di espandersi non conosce il limite dato, ad esempio, dal divieto di turpiloquio, di offesa, di aggressività verbale. Semplicemente dal rispetto dell’altro. È per molti di loro inimmaginabile che tutto non sia assolutamente sempre ovvio nel momento in cui lo pensano buono per se stessi e così è per i loro genitori, per la politica, per la società. E quando un piccolo limite oggettivo si concretizza, come il numero chiuso a scuola o un’assemblea negata per giusto motivo, scatta la rabbia di lesa maestà e la rabbia è buona nemica del pensiero.

Quanto alla sostanza violenta del fascismo, anche qui ci si scontra con qualcosa di diffuso che è la profonda accettazione sociale della violenza. La violenza dei rapporti sociali, anche quelli più nobili come il confronto politico oppure sportivo, è parte della nostra vita e la violenza fisica non spaventa davvero perché c’è un immaginario costruito da film, videogiochi, giochi di ruolo che ci fa concepire sempre dalla parte di chi la forza ce l’ha e la esercita sull’altro e l’altro è spesso solo una categoria (straniero, avversario politico o sportivo) e non una persona e quindi possiamo (possono) non sentire l’offesa della violenza agita.

Per cui studiano il fascismo illiberale e violento con la stessa partecipazione con cui studiano lo schiavismo nelle civiltà antiche. Deplorevole ma non ci (li) riguarda. E allora come si fa? La scuola un po’ di strumenti ce li ha. Il tempo, ad esempio. Se resiste alla pressione del risultato ad ogni costo e non insegue le attese di tutti, ha 10 spesso 13 anni di tempo in cui scegliere di far conoscere davvero, attraverso lo studio serio e documentato, i meccanismi con cui il fascismo allora e la tentazione fascista ora sono riusciti e riescono ad assopire il senso critico, a illudere di grandezze millantate. Anni in cui far sperimentare davvero la convivenza, mostrare un esercizio della libertà che è soprattutto partecipazione che cambia le cose e non sopraffazione. Decostruire attraverso la consapevolezza la percezione malata di una libertà come infinita espansione di sé e come infinita distrazione da sé. Non inseguire il mondo ma conoscerlo nel dolore delle sue ingiustizie. La violenza del pregiudizio politico e razziale è sorella della violenza che ci fa sentire perennemente (pre)giudicati da stereotipi di successo, di posizione sociale, di possesso.

Complicato? Sì e no. È una vera e propria resistenza quella a cui la scuola è chiamata e in molti a scuola la stiamo facendo. Chi altri la sta facendo? Poi certo si può essere convinti che non ci sia sostanziale progresso sotto il sole e che siamo destinati a ripetere e ancora ripetere gli errori del passato, ma anche da questa posizione di disincanto chi sta tutto il giorno con i ragazzi sa che provare insieme a costruire o anche solo a resistere è molto meglio che scivolare nella connivenza con il male della sopraffazione.

 

[Da “la Repubblica” del 5 dic. 2017]

(*) – Mariapia Veladiano è nata a Vicenza. Laureata in Filosofia e teologia, ha insegnato Lettere e ora è preside. Collabora con la Repubblica e con la rivista Il Regno.
Il suo primo romanzo, La vita accanto, ha vinto il Premio Calvino ed è arrivato secondo al Premio Strega. Sono seguiti il romanzo Il tempo è un dio breve, il saggio per ragazzi Messaggi da lontano, Ma come tu resisti, vita, raccolta di riflessioni sui sentimenti e le azioni; quindi Parole di scuola, liberissimi pensieri sulla scuola.
Dell’ottobre 2017 è il suo romanzo più recente, Lei (Guanda Editore), in cui dà voce a un personaggio unico, Maria di Nazareth, restituendola alla sua piena essenza umana.

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