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Ancora sul Murenario

di Francesco De Luca
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Sia chiaro, almeno per chi vuole conoscere in modo corretto il paese in cui è nato, il complesso delle grotte sotto il Cimitero portano una denominazione errata e fuorviante. Non hanno nulla a che vedere con Ponzio Pilato. Possono essere chiamate anche ‘peschiera’, pur se con qualche avvertimento. I Romani infatti hanno lasciato testimonianze della loro propensione ad allevare pesci a fini alimentari, ma il complesso di grotte e cunicoli realizzato a Ponza aveva uno scopo principale diverso. Ci informa di questo, meravigliandosene lui stesso, uno studioso dei resti storici in Ponza: Luigi Jacono (Ventotene 1866 – Torre Annunziata 1947).

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Egli nel volume edito da Silverio Mazzella per la Piccola Biblioteca Ponzese – Solarium di una villa romana – Una singolare piscina marittima in Ponza – da pag. 56 in poi si interroga sull’origine del complesso delle grotte e sull’uso.

Le origini.
I Romani con la conquista dei regni d’Oriente conobbero costumi a loro ignoti. Come l’allevamento dei pesci a scopi augurali. Lo stesso Jacono manifesta il suo stupore. Ad augurium!
I pesci nel loro muoversi davano ai sacerdoti segni di buono o cattivo auspicio. Cicerone in una lettera ad Attico chiarisce che ciò facevasi non per diletto ma per pratica augurale. E infatti (Cic. Ad Atticum L. II ep I°): i migliori nostri uomini stimano aver toccato il cielo col dito se una vecchia triglia accorra a cibarsi dalle loro mani.

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L’uso.
Con questo Jacono non esclude che la riserva di pesci nelle peschiere non potesse essere utilizzata come vivanda. Lui stesso si è posto il quesito e scrive: non intendo certo affermare che i piaceri della mensa fossero estranei alla installazione delle peschiere. Ve n’erano, destinate soltanto a vivai o conserve vere e proprie, ma costituite da semplici vasche, carenti di quelle peculiarità costruttive… (pag. 56).

Dunque c’erano le peschiere come vivai ed erano di solito allo scoperto, vicino ai porti, e lui pensa che la esterna, sotto il Cimitero, prospiciente ai Faraglioni, quella, potesse rappresentare il serbatoio dove si accoglievano in un primo tempo tutti i pesci catturati. “Un accurato esame decideva la selezione: i pesci non ritenuti idonei di là passavano naturalmente alle mense, quelli che nell’assiduo studio rivelavano pregi non comuni erano ammessi nelle vasche: preferite dovevano essere le murene nate nella peschiera (vernae)” (pag. 60).

Esempi visibili sono presenti sia nel porticciolo romano dietro il caseggiato dei Carabinieri. Lì, nel tufo giallo, fu ricavato a pelo d’acqua, dai romani, una vasca. Un altro esempio esiste al Varo a Zannone. Anche lì, a pelo d’acqua, fu ricavato, per incisione della roccia, una vasca, come deposito di pesci vivi.

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Tutto questo si innesta nella natura della religiosità dei Romani. Presso i quali era dominante la superstizione.

I Romani avevano affrontato la conquista dei regni mediterranei, privi di uno spirito mistico e insensibili ai richiami metafisici. Sicché l’avvicinarsi alle religioni orientali di sapore più mistico, così come a quelle nord-occidentali di sapore più animistico, li orientò verso un sincretismo, talora superficiale e scettico ma talora settario, esoterico, specioso.

Nella villa imperiale di Ponza è più che evidente come il complesso pescicolo sia di derivazione orientale. Lo afferma Jacono il quale, fa riferimento a marmi e decorazioni che lui ha visto. La peschiera principale lui la descrive dotata di una colonna, posta in un luogo speciale e con sopra recante un’immagine (supposta) votiva.

Non solo, egli riporta anche calcoli matematici e astrologici da cui deduce che la peschiera sia in posizione tale da subire le influenze della costellazione dell’Orsa Maggiore e del Dragone.
Cosa potesse conseguire tale posizione? C’è da rimanere di stucco! Riporto quanto da lui scritto: “Ora, ci è nota da Plinio e da altri autori la credenza degli antichi che le murene non avessero maschi, perché fecondate dai serpi e pertanto potremmo ritenere assai probabile anche la credenza che le murene della piscina Ponziana, avviatesi da quella grotticella a destra dell’ingresso della sala grande, pel canale sotterraneo fino ad uscire al centro della colonna col simulacro, fossero ivi fecondate dai misteriosi effluvi del dragone astrale, procreando così altri esemplari superbamente adatti, a causa della loro origine soprannaturale alla ichthyomanteia, colà esercitata. Quella sala, luminosa di marmi e ricchi ornamenti, costituiva lo straordinario talamo di così straordinarie nozze” (pag. 59).

Sono senza parole! E, nonostante il mio ripudio da simili credenze, devo ribadire, sulle orme di Jacono, che nell’interno dei cunicoli incisi che si innestano nelle fenditure naturali della roccia, i Romani pensavano che ci fossero mistioni con l’acqua dolce, ingabbiata nei serbatoi (oggi giacenti sul Cimitero), alimentati dalle piogge.

E’ stupefacente l’ordito delle credenze che supportava opere ingegneristiche così sofisticate!
A favore di chi ?

Qui Jacono ci toglie ogni imbarazzo. Scrive senza esitazione: “Se troviamo sulla penisoletta della Madonna, una villa di eccezionale suntuosità e ampiezza, fosse pur limitata al solo promontorio, ci sentiamo autorizzati ad ammettere, ipotesi molto verosimile, che proprio in questa villa i suddetti discendenti di illustre stirpe fossero relegati, perché la villa, costruita negli ultimi anni della Repubblica, era compresa nel patrimonio imperiale ”.

C’è altro da dire? C’è altro.

Alla luce di quanto scritto viene naturale chiedere: ma questo complesso è valorizzato come si conviene? Purtroppo la risposta è negativa. C’è una diffusa ignoranza che porta ad una difettosa cura, la quale ingenera rovina. Ecco la verità : il Murenario è in rovina e il degrado di anno in anno allarga la distanza fra la sontuosità del passato e la miseria di oggi.

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Immagine di copertina: Mosaico del catalogo di pesci su sfondo nero. Da Pompei – Napoli, Museo Archeologico Nazionale