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L’Isola che c’è ma… non c’è: considerazioni un po’ estemporanee di Veruccio (1)

di Pasquale Scarpati
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Siede o per meglio dire si distende in mezzo al mare un’Isola che a volte si nasconde alla vista a causa dei vapori e della foschia, a volte appare chiara nel levante fresco e brizzolato.
Quando ciò accade, dalle propaggini dei monti Aurunci appare talmente vicina che quasi quasi la potresti toccare. Vedi le sagome scure delle colline che scivolano tra mezzogiorno e mezzanotte, poi un’isola che fa da sentinella ad occidente ed un’altra cha fa da baluardo ad oriente, quasi a difenderla.
Di notte piccole luci tremolanti ed un occhio più grande a mezzogiorno che ispeziona il mare per tre volte e poi si posa per una piccola pausa.
Persino una cometa che, si sa, ama vagare per gli spazi siderali, si fermò china su di lei e la guardò con occhi stupefatti. Penso che se l’avesse potuta abbracciare, l’avrebbe fatto volentieri.

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Così apparve ad una persona che, per caso, scendeva lungo i costoni dei monti che degradano verso il mare. Si fermò e cercò un punto di osservazione da dove ammirare meglio il magnifico spettacolo che si apriva davanti ai suoi occhi.
Ma Veruccio, sopraggiunto in quel momento, farfugliò: “Purtroppo l’incanto che vedi è solo un… miraggio. Miraggio per i nativi, miraggio per chi vi abita o pensa di abitare, miraggio per i tantissimi “furastieri”.

Non risposi. Riprendemmo il cammino. In silenzio affrontammo le curve ed i tornanti, ognuno assorto nei propri pensieri. Al termine della discesa, sostammo in un bar per sorseggiare una bevanda: io calda, lui ghiacciata. Nel frattempo distoglievo lo sguardo da Veruccio per nascondere la mia curiosità.

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Ma quello, come se mi avesse letto nel pensiero, riprese: “Come la famosa strada della “salita in discesa” dei Castelli romani che crea un’illusione ottica, così Lei, fingendo di mostrarsi, attira tantissimi curiosoni i quali credono di toccarla, di “gustarla” ma, in realtà, non gustano nulla e non toccano nulla. Questo avviene sia perché per la massima parte è interdetta sia perché, “i furastieri” e non solo, seduti negli squassa-coste – così lui definisce quelle barche, quei barconi e tutti quei natanti che solcano il mare in prossimità della costa in modo assiduo, rumoroso e soprattutto veloce – non riescono a recepire a fondo la sua essenza e di conseguenza a gustare la sua bellezza negli anfratti reconditi e la fragranza della salsedine la quale, dopo aver doppiato i vari faraglioni, sembra cambiare da una caletta all’altra e nelle spiagge che si aprono davanti agli occhi le une diverse dalle altre”.
Una, infatti, è totalmente sabbiosa, l’altra è ghiaiosa, un’altra è formata da grossi ciottoli pressoché uniformi ed infine c’è quella che le riassume tutte. Dapprima, infatti, ciottolosa, va degradando fino a divenire sabbia. Per non dire dei fondali assolutamente non uniformi verso cui la vista si spinge come fascio di laser ed il corpo anela a toccarli, bramoso. Puoi, da una parte, toccare il sasso ben levigato e scivoloso o affondare le mani nella piccola ghiaia e sentire in esse il suo brulichio, dall’altra distinguere sul fondo chiazze variopinte, neri ricci e grosse patelle abbarbicate agli scogli nonché pesci guizzanti.
Come un fanciullo, puoi divertirti a lanciare nel mare il ciottolo più grande e quello più piccolo, sentire rispettivamente il
“blom” o il “plop” e vedere gli spruzzi salire oppure prendere una “crastula” e farla saltare a pelo d’acqua; poi notare, prima che si inabissi lentamente, ondeggiando di qua e di là, quanti salti riesce a fare, in base alla tua forza e alla tua destrezza e lasciar correre dietro di lei i tuoi pensieri; ponendo attenzione, però, a non colpire nessuno altrimenti qualcuno, oltre a tutte le limitazioni e le proibizioni, potrebbe pensare anche di interdire questo gioco innocente!
Ma se, per caso, alzi gli occhi da questo incanto non puoi non notare sulla tua testa, oltre alla roccia multicolore, la ginestra e l’agave e la macchia che si spinge fino al mare perché di lui innamorata. Là, in alto, s’ intravede una casetta bianca dal tetto a cupola che fa capolino tra le parracine e i filari di vite; sembra invitarti a salire per gustare una pietanza di un sapore diverso dal precedente, pregna di profumi selvatici, condita dal vento salmastro che soffia ora lieve ora tempestoso”.

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Poi, come suo solito, dopo avermi portato negli ampi ed eterei spazi, mi fece piombare tristemente a terra.
“Questi natanti – asserì – sono una delle cause dei crolli sempre più frequenti di questi ultimi decenni. Ah se si potesse impedire questo pazzo andirivieni o almeno limitare di molto la velocità dei natanti in prossimità della costa! Così come avviene nei centri abitati o in prossimità delle scuole. Laddove sono stati messi, inoltre, dei dossi artificiali o piani rialzati!”.

Questo parlare mi fece ricordare quei luoghi e quelle bellezze talmente tutelate dove soltanto una o pochissime persone possono accedere. La massa, se vuole, deve aspettare e rispettare il proprio turno.

Ma quello, distraendomi dai miei pensieri, sogghignando, riprese: “I curiosoni rassomigliano a quel tizio che pensò di insaporire la sua fetta di pane molto raffermo nel fumo che si sprigionava da un arrosto di carne. Sicuramente il sapore del pane rimase lo stesso oppure si insaporì blandamente, solo in superficie. Forse a quel poveraccio ciò parve sufficiente: si accontentava di poco. Ma c’è una differenza – aggiunse sorridendo – colui che arrostiva la carne protestò e voleva essere pagato per… “appropriazione indebita”. Ebbe, quale risarcimento, soltanto il suono delle monete; i curiosi, invece, lasciano sul campo moneta… sonante”

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Ma poi, pensoso: “Ma tant’è: oggi si corre talmente tanto per cui non si può che navigare in superficie e ci si accontenta di poco pur sborsando a caro prezzo”.
Lo lasciai nelle sue “strane” riflessioni, pensando altresì che chi ha coniato il termine turismo mordi e fuggi, ha colto nel segno in quanto il termine mordi unito al termine fuggi dà l’idea di ingozzare e trangugiare quanto più velocemente possibile ma senza assaporare e gustare. Per gustare, invece, bisogna sostare, fermarsi; si deve masticare (non mordere), si deve deglutire con calma, innaffiando eventualmente il tutto con un buon bicchiere di vino, meglio se locale, bisogna conversare con tranquillità oppure, se non se ne ha voglia o si è da soli, bisogna osservare attentamente i dettagli sia in ciò che viene servito sia nei dintorni.
Oltretutto gli esperti asseriscono che agire in questo modo faccia bene alla digestione e di conseguenza contribuisca anche al benessere di tutto il corpo. O forse, deglutendo tutto, ma proprio tutto, velocemente, abbiamo abituato il palato a non sentire a pieno i sapori e, senza che ce ne accorgiamo, ingozziamo qualsiasi cosa, come l’ingordo Saturno che ingoiava persino le pietre?

Dopo una breve pausa proseguì: “È altresì un miraggio per il nativo che, per varie cause, è stato sbalzato al di fuori del luogo natio. A lui non valgono gli ascendenti, molti dei quali riposano in alto sulla collina nell’agglomerato variopinto che sa di pace e serenità lì davanti alla distesa marina; a lui non vale il parentado che ancora abita sul posto, a lui non valgono amici o conoscenti o vecchi compagni con cui condividere due chiacchiere “ch’amma fa cu’ i chiacchiere!”, direbbe qualcuno -, lui non è più nessuno perché è “fuoriuscito”. Per lui non si organizza nulla o altro per spingerlo di nuovo al contatto e poter così riabbracciare la natura e soprattutto gli uomini” disse.

 

[L’Isola che c’è ma… non c’è. (1). Continua]